Elezioni Regionali: è sfiducia nei partiti, l’assenteismo è maggioranza assoluta

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L’unico ad essere soddisfatto è Matteo, non Renzi, il segretario leghista Salvini che ha motivo di essere addirittura euforico per il 19.42% ottenuto in Emilia Romagna al punto da porre la sua candidatura a premier del centrodestra. Se, però, a mente serena compirà un serio esame del voto regionale anche lui deve dire addio all’euforia. Sì, perché quel voto ha clamorosamente dimostrato la notevole sfiducia dei cittadini nei confronti degli attuali partiti, tutti i partiti, e nelle istituzioni in genere, governo compreso. Ha, infatti, vinto l’assenteismo con il 44.07% di cittadini andati alle urne in Calabria e con appena il 37.7% in Emilia Romagna, ossia in quella che era la “rossa”, roccaforte un tempo del Pci e, poi, dei suoi successori ed ieri del Pd.

E’ stato onesto il presidente eletto Stefano Bonaccini a dire: “è inutile girarci attorno, il voto è molto negativo per quel che riguarda la partecipazione. Devo guardare in faccia la realtà per quello che è …Di fatto è mancato un pezzo del Pd che è rimasto a casa”. Bonaccini, che è renziano a tutto tondo, non poteva dire che il vecchio ceppo comunista non si riconosce più in un partito il cui leader, che è anche premier, si affanna inutilmente a dire che è di sinistra, sta dalla parte dei più deboli ed ha portato i democratici nella grande famiglia socialista. Non convince, nemmeno con l’articolo-lettera di una pagina comparsa su “Repubblica” la sua sinistra e, nel contempo, perde consensi moderati. Significativo anche il commento di Romano Prodi, emiliano doc, che, quando la affluenze alle urne è scarsa aveva detto: “Se si andrà su una percentuale al disotto del 50% sarà un dato preoccupante”. Ed aveva aggiunto: “Sorprende che l’Emilia Romagna abbia un dato inferiore rispetto alla Calabria, mentre di solito è di 10-11 punti percentuali superori, quindi c’è una particolare situazione di malessere”.

Se il Pd si lecca le ferite, pur avendo conquistato la Calabria, Forza Italia, doppiata dalla Lega in Emilia Romagna (“storico” ha urlato Salvini, ma di storico c’è poco) appare ai minimi termini come i grillini.

Ha avuto un bel dire Matteo Renzi, riferendosi alle critiche al suo governo, i gufi si sono risvegliati, dovremo rimandarli a dormire. “Forse è lui che deve svegliarsi perché l’Italia è percorsa da continui scioperi, da protesta che, travolta, sfociano in violenza ed è l’unico Paese UE, insieme a Cipro, in depressione e stagnazione sì che l’idillio iniziale tra il premier e gli italiani si sta dissolvendo giorno dopo giorno. Nel contempo la sua sinistra interna è all’offensiva e dopo il voto emiliano-romagnolo lo sarà ancor più, accentuando l’opposizione ai provvedimenti economici del governo a partire dal Jobs Act e dalla legge di stabilità . Le dichiarazioni dei giorni scorsi dei Cuperlo, Civati, Fassino, Bindi, D’Attorre e altri, vicini alle posizioni della Cgil, già non erano incoraggianti per i renziani, ma ora sarà ancor peggio.

La crisi che ha investito il centro-destra, la costante flessione del Movimento 5 Stelle, l’inconsistenza di un centro, dinnanzi alla perdita di consensi del Pd e del governo nel voto regionale e nei sondaggi può indurre una parte dei Dem, oltretutto ben presente in Parlamento, a ricostituire un nuovo partito della sinistra che, conglobando anche Sel, avrebbe una consistente forza elettorale, se Renzi volesse andare, come ritengo, alle elezioni anticipate (questo fa parte del Patto del Nazareno), soprattutto se rimanesse il sistema di voto emerso dalla sentenza della Corte Costituzionale, ossia un proporzionale puro. Per questo, nonostante le insistenze del premier e della Boschi, ministro per le riforme, sull’esigenza di varare entro l’anno l’Italicum, non sarà semplice varare in tempi brevi una riforma elettorale del genere, considerate anche le ultime modifiche volute dal leader Pd ed oggi credo non accettabili da Forza Italia.

Rumors venuti da Oltreoceano dicevano che in novembre Renzi e il governo potevano anche fare un “botto”, voluto o no, per andare al voto anticipato il 22 febbraio. Giorgio Napolitano non era disposto a sciogliere le Camere, ma è già pronto all’addio, come avrebbe detto nell’imprevisto incontro con Papa Francesco. L’ostacolo alle elezioni, quindi, non esisterebbe più. E il terremoto economico-sociale e quello del big-astensionismo potrebbe facilitare una strategia che, purtroppo, non si sa dove possa portare. A noi non rimane che la forza del voto e continuare a seguire l’invito del Pontefice: “non fatevi rubare la speranza!”.