Il rischio calcolato di Matteo Renzi

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Si sta concludendo la settimana politica, una delle più intense della storia della Repubblica.

Gli avvenimenti: La conclusione della “Leopolda” con tutte le polemiche e i messaggi a distanza che si sono succeduti; la grande parata della CGIL che ha decretato il rilancio di una Camusso che sembrava ormai al suo crepuscolo; l’intervento della Polizia sulle teste  e sullka schiena dei lavoratori della FIOM dello stabilimento Acciai Speciali di Terni, con la reazione esasperata di Landini.

Alla Leopolda il Premier aveva apostrofato il sindacato della Camusso, collocandolo alla sua preistorica posizione. I sindacati, dice Renzi, devono colloquire con le imprese, non con il Governo. E’ con loro che devono tutelare gli interessi dei lavoratori, in quella sede possono rinnovare i contratti, stabilire nuove regole a vantaggio dei lavoratori, promuovere nuove formule per creare le condizioni di nuovi posti di lavoro. Le leggi non si decidono con i sindacati, sono una prerogative del Parlamento.

All’affermazione di Renzi, forte del successo della manifestazione romana, risponde la Camusso accusando il Presidente del Consiglio di essere espressione dei poteri forti.

Landini che credeva di aver scavalcato in popolarità la Camusso e già si preparava a sostituirla, visto la rimonta ha pensato giusto di porsi in testa a quei cinquecento metalmeccanici di Terni, in predicato di licenziamento, nella manifestazione romana. Mai avrebbe immaginato che la sua popolarità potesse tornare in prima fila così in fretta, è stata una realtà tragica a rimettere le cose in pari. L’intervento, forse improvvido, delle Forze dell’ordine con i manganelli, hanno esasperato la situazione, costringendo il Ministro dell?interno ad intervenire in Parlamento e li, seppur prudentemente, prendere una posizione di equidistanza dall’operato della Polizia.

Questo è il clima che ci trova al termine di questa settimana. Non si deve trascurare che, a contorno di tutti questi avvenimenti rimane la posizione assunta dalla sinistra Dem che pur assicurando che non vi sarà alcuna scissione nel Partito, se non vi saranno mutamenti di rotta, non voteranno la Legge di stabilità.

Comunque sia, Renzi ha motivo di essere soddisfatto perché così ha raggiunto uno dei suoi obiettivi : spaccare il Pd e porre l basi di quel “partito della nazione”( da lui esplicitamente annunciato), ossia della versione moderna della DC che Aldo Moro aveva, di portare ad esserlo grazie all’accordo non politico, ma programmatico parlamentare con il Pci di Enrico Berlinguer.

Ovviamente oggi, le condizioni sono diverse, non esistono, per fortuna e nonostante la drammatica crisi economico-sociale, le “brigate rosse”, non a caso intersecate con quelle “nere”, e la Cgil ed i potenziali-probabili scissionisti Pd garantiscono non solo la tenuta democratica, ma anche un’opposizione capace di controllare la maggioranza di governo per allontare qualsiasi tentazione di autoritarismo. La presenza, inoltre, accanto agli ex-dc alla Guerini (vice-segretario) e Del Rio ( sottosegretario alla Presidenza del Consiglio), di una parte della sinistra dem convertitasi al renzismo,  ad iniziare dai “giovani turchi” e per finire all’ex-disse Debora Serracchiani, consentirà di caratterizzare il “partito della nazione” . Che costituirà, di fatto, una sintesi tra Alcide De Gasperi ( richiamato , non a caso a Bruxelles, da Renzi insieme ad Adenauer ), che definì la Dc un partito di centro che guardava a sinistra, cioè alla socialità, alla solidarietà, all’uguaglianza di diritti e doveri. ,

Era parso, comunque a taluni commentatori che il premier non avesse, per il momento, affondato i colpi, quando, alla Leopolda, edizione governativa,aveva detto “A San Giovanni c’era una piazza bella e importante da ascoltare: Ci confronteremo, poi andremo avanti”. E ancora : “ Sono due anime diverse, ma rispettabili, un grande partito ha opinioni diverse.” Ed anche il vice-segretario Guerini aveva gettato acqua sul fuoco sostenendo che “ non esistono due partiti distinti. Con il confronto troveremo l’intesa.”

In effetti, in piazza San Giovanni, però, venivano usate parole durissime , più che un possibile dialogo è sembrato un dictak : o il governo cambia politica economica o sarà opposizione dura. L’aveva detto la Camusso : “se qualcuno pensa che questa manifestazione sia una fiammata si sbaglia e non si illuda che basterà chiedere la fiducia in Parlamento:Perché noi ci siamo e ci saremo ancora: Anche il segretario della Fiom Maurizio Landini, ex-amico di Renzi e che molti vedono come leader di una nuova sinistra, aveva chiosato : “questo corteo è solo l’inizio, con noi dovranno fare i conti”.

Renzi non poteva far finta di nulla ed allora ha indossato l’elmetto e giù lancia in resta contro la Cgil e i suoi oppositori interni. Innanzitutto un chiaro: ”Io non mollo . Su job Act e Legge di stabilità vado avanti”.

Ovviamente gli oppositori non stanno zitti, Cuperlo ripete che loro vogliono stare nel Pd e migliorarlo, la scissione sarebbe responsabilità di Renzi”, mentre la Camusso sostiene: ”sul posto fisso Renzi non sa di cosa parla e mi pare abbia un problema lui : non saper maneggiare la memoria come cosa positiva anche per imparare rispetto al futuro.” Siamo, in sostanza, alla resa dei conti tra i Dem, cioè tra quelli che Cazzullo definisce “due mondi separati che non si riconoscono e non si appartengono più”. A Roma i lavoratori, gli esodati,i giovani disoccupati, la gente che gremiva le Case del Popolo e continua a sventolare le bandiere rosse, a cantare “Bella ciao”;  a Firenze, alla Leopolda, importanti imprenditori italiani, come al solito il finanziere David Serra che vorrebbe limitare lo sciopero degli statali e si prende un “no” deciso del sottosegretario Del Rio.

Ma Renzi prosegue per la sua strada: sbaglia chi ignora il “patto del Nazareno” ed i suoi segreti veri e presunti, come elezioni anticipate a fine febbraio, la Finocchiaro al Quirinale per due anni, il tempo, cioè di varare la repubblica presidenziale alla francese, lasciare, poi, il passo a Renzi (ha detto che non farà più di due mandati a Palazzo Chigi) dopo aver lanciato il “partito della nazione”, assorbendo un centro e una Forza Italia con un Berlusconi fattosi da parte.

La sfida renziana, quindi, è diversa da come qualcuno la presenta , il rischio è calcolato . Ed è una sfida che coinvolge anche questa oppressiva Unione Europea e la sua moneta unica che crea solo forti diseguaglianze tra i Paesi comunitari.

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