Il suicidio politico di Bersani e del Pd

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Ci sono voluti circa due mesi per tornare allo stato di partenza e mettere la palla al centro per dare inizio alla partita. C’è però una variante: durante il riscaldamento, l’uomo gol che ha voluto strafare, si è infortunato malamente e rischia di dover abbandonare definitivamente il rettangolo verde per appendere le scarpette al chiodo.

Un suicidio politico non facile da determinare ma Pier Luigi Bersani c’è riuscito. Ha tergiversato tutto questo tempo prendendosi gli insulti e gli sberleffi di Grillo e della sua armata brancaleone, nel tentativo di coinvolgerlo nell’agone politico. Poi, in estremis ha tentato l’accordo con il PdL, l’ha fatto con poca convinzione, forse forzato dalle insistenti voci interne al suo partito, precisando, almeno nelle dichiarazioni che all’elezione di un Presidente della Repubblica concordato, non necessariamente sarebbe seguito un governo di coalizione che comprendesse anche la seconda coalizione uscita dalle recentissime elezioni. Forse interiormente Bersani si augurava che Berlusconi non accettasse la sua proposta, invece no la ha accolta ed ha accolto anche la rosa di nomi che gli è stata proposta indicando il gradimento verso Franco Marini.

Che la rosa sottoposta al PdL fosse uscita da un circolo molto ristretto di suoi collaboratori, alla luce dei fatti, sembra quanto mai evidente: che la stessa rosa non fosse gradita alla sua sinistra è altrettanto chiaro, Vendola esce subito dalla coalizione, che quella rosa non andasse bene neppure alla sua destra, lo ha chiarito immediatamente Renzi che ha bocciato senza discutere la figura di Marini.

Qui l’altro grande errore di Bersani: Pur uscendo con una apparente votazione maggioritaria della assemblea dei parlamentari, porta quella candidatura alla seconda votazione dell’aula dove era necessario avere i due terzi degli elettori, e li prende la prima enorme musata, Marini viene sonoramente bocciato con voto dichiarato dai renziani e da un’altra pattuglia di franchi tiratori che si è associata ai primi.

Nel frattempo Grillo porta avanti la candidatura di Rodotà e ne fa il suo cavallo di battaglia, vorrebbe portare il PD ad accettare questa candidatura che ritiene integra e nuova nella vita politica (sic). Il PD non ci sta, in compenso a votare Rodotà ci pensa Vendola.

A questo punto, Bersani dice di voler cambiare completamente linea politica. Convoca un’assemblea dei suoi grandi elettori e, dopo aver incontrato Renzi, senza avvertire, almeno per un gesto di cortesia, il PdL che si era speso con coerenza e lealtà verso Marini, propone ai suoi parlamentari il nome di Prodi, padre di tutte le versioni che hanno portato al PD, che viene accolto con una ovazione.

Per il PdL quello è un nome improponibile e poiché si deve andare alla terza votazione , ultima a maggioranza dei due terzi, la presentazione di prodi viene rimandata alla quarta votazione, la prima a maggioranza assoluta.

La terza votazione si è svolta con una altissima serie di schede bianche, quelle del PdL e del PD. Scelta Civica di Mario Monti Propone a sorpresa il nome del Ministro Dell’Interno, Anna Maria Cancellieri.

Siamo alla quarta votazione. Viene posta la candidatura Prodi, sembra ormai cosa fatta: se riesce a portare Romano Prodi al Quirinale, si realizza la ritrovata unità tra i democratici e lui come leader consolida la sua posizione.

Purtroppo le cose sono andate in modo completamente opposto: questa volta il PdL anziché votare scheda bianca non si è presentato in aula, Monti ed i suoi hanno votato per la Cancellieri, la quale ha preso anche qualche voto in più di quello che avrebbe dovuto avere dai montiani, e Prodi è stato sacrificato dal fuoco amico, oltre cento democratici lo hanno impallinato.

A questo punto per Bersani a fare un passo indietro è inevitabile e lo fa anticipando che le sue dimissioni da tutto avranno effetto non appena sarà eletto il nuovo Presidente.

 La vittoria di Silvio Berlusconi è indiscutibile. Ma ha vinto pure quel partito, o quei partiti, che si formato all’interno del PD, che per ora ha tolto Bersani di torno ed altri lo seguiranno.

Dopo la fine di Marini, dopo quello che è stato fatto a Prodi, voglio vedere i dalemiani, gli ex-popolari di Marini, i veltroniani e chissà quale è il vero gioco dei renziani. La notte dei lunghi coltelli è appena iniziata.

Dopo l’annuncio della candidatura di Prodi c’è stata una standing ovation tra i “grandi elettori” democratici. Sì, ma i delitti politici vengono commessi spesso  nascondendo la mano che li commette, così è avvenuto. Ma nessuno vuole essere il Bruto della situazione, in molti vogliono vorrebbero la testa di Bersani ma vorrebbero che sia lui ad infilarla nel cappio.

Poi, come è noto a tutti, la corsa al Quirinale, ed è toccato proprio a lui andare ad inginocchiarsi per primo da Napolitano per implorare la sua permanenza nel Palazzo, un invito che ha dovuto rivolgere con la morte nel cuore sapendo di rischiare una votazione “Prodi bis”. Ormai la sua credibilità è a zero e per questo annuncia prima il suo ritiro, le sue dimissioni che, per ora sono dall’incarico di Partito ma che premoniscono un ritiro a vita privata.

E così, gioca l’ultima carta in mano al Pd che potrebbe ricompattare un po’ il partito, Giorgio Napolitano che ascolta le altre forze politiche moderate, quelle che possono dargli qualche garanzia e, comunque, rappresentano l’unico baluardo di serietà.

 La situazione di grave emergenza, impone che al Colle vi sia un personaggio conosciuto e stimato a livello internazionale, realmente al disopra delle parti al di là della sua provenienza partitica , capace di avere la fiducia della maggioranza degli italiani e di guidare , con mano ferma, questa difficile e delicata fase politica, evitando le elezioni anticipate e imponendo un governo del presidente, appoggiato e sostenuto oltre che dal PD che, dopo l’uscita di SEL dalla coalizione, non è più maggioranza relativa, dal PdL e da Scelta Civica,  prospettiva più concreta per portare in porto quei provvedimenti e quelle riforme istituzionali che possono dare respiro al Paese.

Chi altri, in questo momento se non Napolitano aveva ed ha tutti questi requisiti, non a caso Obama sperava di vederlo sul Colle per almeno un altro anno. E, forse, solo l’ex-comunista, con cultura crociana e da sempre filo-americano, può evitare al Paese un caos   dietro al quale può annidarsi la violenza.

 

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