MONTEZEMOLO LANCIA LA TERZA REPUBBLICA

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Era da tempo nell’aria, ora è ufficiale, il Paese ora dispone di un nuovo soggetto politico: Luca Di Montezemolo ha sciolto la riserva, Italia Futura sarà li a proclamare la terza repubblica. Si, ma lui sarà solo il “conduttore”, lui sarà li solo per trovare e sollecitare il voto dei moderati per mantenere la piazza a Monti, anche se quest’ultimo fa ancora il prezioso.

Vediamo la cronaca secondo la fonte ANSA:

Sabato scorso, Luca Cordero di Montezemolo ha lanciato la sua sfida per «iniziare finalmente un capitolo nuovo della nostra vita civile e democratica, che metta al centro questa Italia, l’Italia che rema».
Il manager così lancia la Terza Repubblica, ma non si candida. «Dopo il voto governo di ricostruzione».«Mai più deleghe in bianco alla classe politica».Basta stare in tribuna, quindi, è tempo di scendere in campo. O meglio, a bordo campo. «Non mi candido», ha detto Montezemolo, ma avanti con l’agenda Monti.
Alla convention romana del manifesto sottoscritto con il ministro Andrea Riccardi e il segretario della Cisl Raffaele Bonanni, il presidente di Italia Futura ha usato più volte l’espressione «mai più» per elencare i fattori da eliminare nella Terza Repubblica: «Mai più accetteremo di vedere l’Italia derisa e disonorata. Mai più proveremo l’umiliazione di essere commissariati o di essere l’anello debole in Europa e nel mondo e mai più quindi firmeremo deleghe in bianco alla classe politica».
E prosegue: «L’unica patrimoniale che dobbiamo introdurre è quella sullo Stato». Secondo Montezemolo «chi occulta il proprio reddito ed evade è un ladro, esattamente come chi sperpera i soldi pubblici». Per questo ha chiesto l’istituzione di una «agenzia delle uscite», per pretendere trasparenza sulle spese della pubblica amministrazione.
Dalla Seconda Repubblica, ha spiegato Montezemolo, «abbiamo ricevuto solo macerie» ma ora «dobbiamo innamorarci nuovamente del nostro Paese».
La prossima legislatura deve essere costituente e deve affrontare «il dimezzamento del numero dei parlamentari, i ripensamento delle autonomie locali, la legge elettorale e una stringente regolamentazione del conflitto di interesse».
Dicendo basta alle false promesse, il leader di Italia Futura ha sostenuto che «il problema non è raddrizzare gli italiani ma far funzionare l’Italia. Debito, spesa pubblica, evasione, tasse, crescita, sono problemi risolvibili».
Montezemolo ha aggiunto che non esistono alternative alla creazione di un ampio fronte di forze civiche, associative e politiche, le quali devono «opporsi a due spinte ugualmente deleterie sottraendo gli italiani a un’alternativa nefasta» e cioé da una parte la vecchia politica e dall’altra «chi ritiene che tutto vada distrutto prima di ricostruire». La «dimensione di squadra», ha detto il presidente della Ferrari tra gli applausi della platea, «è l’unica arma vincente».

Proponendo di dare continuità al lavoro di Mario Monti, il manager ha annunciato: «Non chiediamo al premier di prendere oggi la leadership di questo movimento politico. Ciò pregiudicherebbe il suo lavoro e davvero non ce lo possiamo permettere. Ci proponiamo di dare fondamento democratico ed elettorale al discorso iniziato dal suo governo perché possa proseguire».
Dopo le elezioni politiche «dovremo contribuire in maniera determinante alla nascita di un governo costituente di ricostruzione nazionale. Un esecutivo di ampio respiro, credibile e competente che inizi il percorso fondativo della Terza Repubblica».
Montezemolo ha poi concluso dicendo che «non possiamo accettare ‘gattopardismi’, la Terza Repubblica non può nascere all’insegna del ‘tutto cambi perché niente cambi’. Io non mi candido e non ho preteso alcun ruolo per impegnarmi in questo progetto».
L’intenzione è quella di «riportare al voto e all’impegno politico milioni di italiani, ricostruendo il patrimonio di speranza e fiducia della nazione».
Le elezioni del 2013 «saranno l’appuntamento più importante per questo Paese da quelle del ’48. Nessuno potrà chiamarsi fuori. Voltare pagina si può».

 

 

FINI: CHE STRONZO SONO STATO…!

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Luca Telese su “Pubblico”, nuovo quotidiano da lui diretto, titola un corsivo “I 25 Stronzi”, lo fa rifacendosi al Manzoni che diceva di avere 25 lettori, che però per lui erano determinanti.

Non  ho ripreso il pezzo di Luca Telese per il suo contenuto, bensì per l’espressione colorita del titolo che, peraltro, nel testo trova piena giustificazione, l’ho riportata perché se lo scrive Luca, evidentemente è usabile, quindi, poiché rende bene l’idea, mi permetto di usarla anch’io, magari al singolare.

Nei giorni scorsi, lo hanno riportato tutta la stampa nazionale, nonché i telegiornali delle varie reti, Gianfranco Fini ha preso una brutta musata dalla porta che gli è stata sbattuta in faccia da Angelino Alfano che respingeva la sua offerta a voler rientrare nel PdL.

Leggete cosa dichiara o, se preferite, confessa la nostra terza carica dello Stato.

Nel libro di Angelo Polimeno, Repubblica, atto terzo, il nostro Presidente della Camera si lascia andare in una rivisitazione del film che ha visto il suo allontanamento dal PdL e la fondazione del Fli.

Parte dalla Convention di Bastia Umbra del novembre 2010. In quella circostanza Fini decise di ritirare la sua delegazione al governo composta dal ministro Ronchi, dal vice ministro Adolfo Urso e dai sottosegretari Menia e Bonfiglio. A queste dimissioni, per logica sarebbero dovuto seguire le sue da Presidente della Camera. Dice Fini: “Forse è li che ho commesso un errore. Per ufficializzare il riconoscimento di Fli quale terza gamba della maggioranza non serviva chiedere a Berlusconi di andare al Quirinale a dimettersi per poi dar vita ad un nuovo governo. Non serviva perché come il voto di fiducia di settembre aveva già certificato che senza Fli la maggioranza non esisteva”. La dimostrazione del suo errore viene fuori in maniera macroscopica quando la sua mozione di sfiducia, appoggiata dalle opposizioni viene respinta con tre voti di differenza facendo fallire il bliz.

Poi passa a discutere sulla nomina di Alfano alla segreteria del PdL: “Con Casini –ricorda Fini-  ragionammo a lungo. Lui era più ottimista di me, riteneva che Angelino potesse esercitare davvero quel ruolo importante. Io invece gli dissi: Pier, dammi retta, Alfano sarà il segretario del presidente del partito, è stato scelto perché da del lei a Berlusconi. Berlusconi non può stare in panchina. Lui vuole fare regista, primo attore, cameraman. Ecco perché non potrei più stare in partito guidato da lui”.

Ed infine, ricordando la fatidica riunione di Via della Conciliazione, dice: “Ancora oggi non mi spiego il cataclisma di quel giorno. Più volte sono andato a rieleggermi lo stenografico. Non capisco perché Berlusconi reagì in quel modo. Per carità io avrei anche potuto starmene tranquillo senza alzare il dito e senza dirgli ‘Che fai mi cacci?’. Tra l’altro non ricordo neanche a che proposito dissi quella frase. Ma le mie erano solo critiche politiche, A quel punto pensavo di assumere un ruolo scomodo, di fare l’opposizione interna. Ancora oggi non riesco a capacitarmi della decisione di dichiararmi di fatto incompatibile con il Partito”.

Credo sinceramente che il nostro Fini, guardandosi tutte le mattine non possa fare a meno di dirsi: “Che stronzo sono stato…!”.

RENZI E ALFANO a PORTA A PORTA: CHE TRISTEZZA

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Ieri, vedere  “Porta a Porta” è stato veramente uno spettacolo pietoso. Protagonisti della serata, Matteo Renzi e Angelino Alfano. Due “rottamatori” da rottamare prima che inizino a far danni.

Fa tanto tendenza sostenere il cambio generazionale ed è giusto incentivarlo ma, in un momento di crisi recessiva credo che sia prudente favorire l’esperienza.

Renzi, si vede, ha l’aspetto del bravo ragazzo, una gran verve tanto toscana, ha fatto esperienza in provincia e nel comune di Firenze, si è costruito televisivamente, ma, per i miei gusti, parla troppo e dice poco. Su di lui credo sia tempo sprecato soffermarsi: Renzi non vincerà le primarie. Non gliele faranno vincere, fatto salvo non salti fuori un finanziatore che prenda la gente e la “mandi” a votare per lui. Da quella parte il risultato si direbbe ormai scontato: il vincitore è Bersani. Pensate che questo mi tranquillizzi? Assolutamente no. Anzi sono maggiormente preoccupato perché Bersani vincitore delle primarie, potrebbe vincere le elezioni e quindi divenire colui che ci governerebbe. Non voglio neppure pensarci anche se questo sarà fatalmente ineludibile, almeno allo stato attuale.

Cosa mi da la quasi certezza della vittoria del centro-sinistra? I sondaggi, tutti favorevoli a quella parte? No. La mia certezza la traggo dalla assenza di avversari.

Scrivevo prima di Renzi, destinato a non vincere le primarie della coalizione della sinistra, questa stessa certezza mi manca per le primarie che ci saranno (?) nel PdL. Alfano, quella competizione la vincerà sicuramente, non si sa con quali risultati, secondo me, attraverso un grande flop di elettori. Ma chi andrà a perdere tempo per votare per un partito che non riesce a stimolare, a dare quella carica emotiva, indispensabile, data solo da un motivo ideologico, da un programma, dalla figura di un leader indiscusso. Il PdL, diciamolo con estrema franchezza, non è mai stato un partito. Forse Berlusconi lo aveva immaginato quando lo ipotizzò sul “predellino”, supponendo che fosse possibile costruire un partito personale, fatto su misura per se stesso, convinto sulla fedeltà dei seguaci. Errore, non si può costruire un partito vero su una persona, solo un “movimento” può reggere all’individualità. Un partito può reggere solo se dispone di una struttura che riesce a radicarsi sul territorio, quindi ad organizzarsi e a formare una classe dirigente che venga fuori dal contesto e non decisa dal vertice. Per il PdL così non è stato e non è. Trascurando tutta la vicenda Fini, Alfano è nato da quel personalismo e non è riuscito a dare quella svolta di trasformazione da movimento a partito contribuendo all’allontanamento dell’elettorato moderato dall’agone politico. Altro che quid, Berlusconi lo ha lasciato fare sino a dar la sensazione di farsi mettere da parte, cosa poco credibile, secondo me ha solo tolto il guinzaglio al chihuahua ben sapendo che non si sarebbe mai allontanato dal suo padrone.

Capisco che questa mia analisi su Alfano possa anche non piacere ai pochi rimasti attaccati al PdL ma la presenza di Alfano nella trasmissione di Vespa altro non ha fatto che confermare tale tesi: argomenti fiacchi, in difesa anzi che attaccare, aspetto da ragazzetto perbene, troppo educato per evitare lo stato di imbarazzo di fronte ai giornalisti. Ieri sera il PdL ha perso un’altra fetta di elettori.

Per tentare un salvataggio del centro-destra è necessario che Berlusconi o altri tirino fuori dal cilindro un nuovo coniglio bianco che trovi il motivo ideale per richiamare la massa al voto: Ci vuole un capopopolo che restituisca alla gente la voglia ed il motivo per combattere, altrimenti ci aspettano tempi bui, altro che spread: Monti, con il suo governo, forse lo ricorderemo senza grande entusiasmo ma con nostalgia.

 

LA SINDROME DI MARCELLO SORGI

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E’ da un po di tempo che evito di scrivere per il mio blog, questo non significa che non vi siano motivi di discussione, anzi, direi, il contrario: motivi ce ne sono e tanti, tali da creare solo confusione. Se oggi ho deciso di riprende il computer e rimettermi a scrivere, lo faccio perché mi sento tirato per i pochi capelli che mi rimangono. Lo spunto mi viene da un articolo scritto da Marcello Sorgi, editorialista de La Stampa, sul dibattito-confronti sulle primarie del PD.

In prima, titola: “Il rischio della sindrome democristiana”.  E, prosegue: “Doveva essere un confronto all’americana, quello su Sky, ma alla fine s’è risolto in una specie di congresso democristiano”. Dopo una serie di argomentazioni sugli interventi dei candidati alla segreteria del PD, conclude il pezzo: “…il confronto tra i cinque (contendenti) riecheggiava i vecchi congressi della DC: dove tutti fingevano di darsele di santa ragione dalla tribuna per due tre giorni, salvo poi ritrovarsi uniti al momento di fare il governo e spartirsi le poltrone”.

Non posso certo sostenere che a Marcello Sorgi mancano argomenti per evitare di tirare in ballo il solito ritornello della “vecchia Democrazia Cristiana”, non lo posso sostenere perché lui, allora c’era, e da bravo notista politico ha conosciuto sia la Dc nel suo contesto, che gli uomini che ne facevano parte. Ecco perché trovo, quanto meno,  ingeneroso questo continuo denigrare non un periodo ormai concluso, bensì un partito che, attraverso errori, ma anche e soprattutto opere di grande merito ha portato il nostro meraviglioso Paese fra i grandi del Mondo. Questo lo ha fatto attraverso i suoi uomini che ne hanno formulato la politica ed i programmi.

Quando cita i congressi della DC, facendo intendere che da essi poco o nulla ne scaturiva, evidentemente dimostra di essere di corta memoria, allora vorrei consigliare a Sorgi di andare a leggersi gli atti dei congressi democristiani, dal primo all’ultimo, e vedere se da quei dibattiti venivano solo attribuzioni di poltrone o idee e programmi. Quegli atti, sicuramente li troverà negli archivi de La Stampa, giornale di cui è stato direttore, altrimenti potrebbe sempre cercarli presso la Fondazione Sturzo.

Caro Sorgi, quello che non va nel suo articolo, e non solo su questo, è il voler paragonare gli uomini di oggi con quelli di ieri. Sia obiettivo: si può paragonare Bersani a Berlinguer, a Natta, a Ingrao, e tantissimi altri? E, per cambiare colore dove sono oggi i Nenni, I Lombardo, i De Martino: e i Fanfani, i Moro, i Rumor, i Colombo, i Donat Cattin, Malagodi, gli Almirante ecc..

Torniamo alla Democrazia Cristiana ed ai suoi congressi, gli uomini di quella DC erano una fucina di idee loro e quelli che senza apparire hanno contribuito a fare grande l’Italia, a partire da Del Noce, Achille Ardigò, Ermanno Gorrieri, Siro Lombardini, Beniamino Andreatta ecc.. Si possono fare paragoni? Mi dica lei. Purtroppo, la nostra disgrazia è l’aver avuto un ordinamento che ha voluto puntare alla distruzione di quella classe politica, alla distruzione di quei partiti che potevano e tenevano la schiena dritta nei confronti dei vari poteri, senza accettare la loro ingerenza, ma lo facevano sul piano delle idee, della politica, quella vera che oggi tanto auspichiamo e che i pseudo politici di oggi si sono fatti scippare per ignavia e per incapacità.

Questo caro Sorgi dovrebbe essere un motivo di riflessione quando cita qualcuno dei partiti del passato, Democrazia Cristiana compresa. E’ vero che c’era allora una corsa alla poltrona, così come avviene oggi, la differenza però stava nella qualità e negli intenti, basta andare a vedere come erano composti i Governi di allora, chi erano i ministri, chi erano i Presidenti delle Camere, dove stanno gli Spadolini, i Pertini, i Merzagora, i Leone. Quelli erano personaggi che occupavano poltrone per governare, possiamo dire lo stesso oggi? Mi creda e lei potrebbe essere testimone, Fra quelli di oggi, sul piano  della gestione non salverei neppure i tecnici.

Vede, al suo posto, caro Sorgi, anziché denigrare i partiti di una volta, mi sforzerei per richiamare questa classe malamente eletta a prendere esempio dalla storia, guardando si al futuro senza perdere l’esperienza del passato. Se così facessero, forse rimetteremmo al loro posto i tecnici, al ruolo di consiglieri e consulenti di quei politici che erano pur professori e dei quali molti di loro sono stati allievi.