GOVERNO DI SVOLTA O A TEMPO?

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Feltri ha definito il discorso programmatico di Letta per la fiducia alla Governo un intervento democristiano sullo stile degasperiano, io oserei dire che più moderato di così non poteva essere, credo che nessun pidiellino avrebbe potuto pronunciare un discorso diverso. Ora però bisogna attendere i fatti.

Bisogna ben dire che quello presieduto da Enrico Letta è un governo di svolta, come spera persino Eugenio Scalfari nell’elogiarlo, o soltanto a tempo? Difficile dirlo oggi prendendo alla lettera le sue parole, cioè, se entro diciotto mesi, tempo ragionevole per fare quelle riforme istituzionali indispensabili per quella svolta che lui stesso auspica, ne trarrà le dovute conseguenze. Dissento in pieno da Matteo Renzi che ha definito quello di Letta un buon governo, ma debole. E’ vero, ci sono le divisioni e le delusioni nel Pd, l’ira nascosta degli esclusi da ministri e le sirene dei sondaggi nel Pdl, oltre allo scontento dei montezemoliani in Scelta Civica. Sono queste realtà che costituiscono rischi per Letta (magari non subito) quando ci saranno voti segreti.

Che  sia un “governo politico, l’unico possibile come ha detto Il Capo dello Stato, lo testimoniano il premier, vice-segretario del PD,  il suo vice e ministro dell’Interno  Angelino Alfano, segretario  del Pdl e il ministro della Difesa Mario Mauro, capo dei senatori  di Scelta Civica.

Che sia l’unico possibile lo dimostrano la posizione di chiusura ad ogni collaborazione con gli attuali partiti espressa dal Movimento 5  Stelle, più volte confermata dal suo leader Beppe Grillo, e il risultato delle urne che non ha dato ad alcuna coalizione la maggioranza a Senato.

Altrettanto evidente è che Napolitano ritiene possa essere di tregua e pacificazione dopo gli inutili vent’anni di guerra continua, non a caso ha messo in soffitta l’antiberlusconismo, tornando ad un normale confronto  senza “impresentabili” e c’è la speranza che anche il berlusconismo più becero faccia un passo indietro. Tutto questo lo ha ripetutamente sottolineato nella parte politica del suo discorso programmatico, ferme restando le differenze, ma l’indispensabile necessità di rimanere tutti uniti nel momento delle necessità del Paese.

E’, senza ombra di dubbio, un governo di svolta ed è maggiormente evidenziato dalla scelta dei ministri  con l’evidente rinnovamento: basta guardare all’età media che non pare contraddire le capacità dei singoli, con significative  new entry ad alti livelli politico-operativi. Questo aggiunto ad un programma che, sintesi dei tre partiti e del lavoro dei dieci saggi, dovrebbe non solo affrontare e superare  l’emergenza, ridando fiato a famiglie e imprese e rilanciando l’occupazione, ma anche varare indispensabili riforme di struttura per determinare una discontinuità con i “vent’anni di guerra” e operare quei profondi cambiamenti che siano alla base di un nuovo sistema e di un nuovo stato.

Ci sarà il senso di responsabilità degli attuali attori politici per consentire tutto questo? Questo il problema. Non v’ha dubbio, infatti, che all’interno  dei partiti di maggioranza parlamentare esistano sacche di resistenza per l’intesa e delusi per le scelte dei ministri.   Soprattutto sono evidenti in un Pd profondamente diviso è a rischio scissione, con una sinistra interna all’offensiva, forse anche stanca dell’ anima ex-dc, oggi privilegiata dal governo Letta; una sinistra che, in alcuni parlamentari, si è già criticamente espressa nei confronti dell’accordo con il Pdl ed avverte il richiamo della foresta di Vendola. Se si aAggiunge l’ira delle  vittime della rottamazione (i dalemiani), dei franchi-tiratori (i mariniani e i prodiani), gli ignorati (i veltroniani)  e l’incognita renziani si  avrà un quadro non proprio esaltante.

Né è tutto tranquillo nel PdL, dove le esclusioni governative pesano , e non mi riferisco solo alla componente ex-An, tutto questo aggravato  dalla tentazione dei sondaggi e, quindi, di elezioni anticipate, mettiamo addirittura in autunno. Elezioni  che potrebbero dare la maggioranza al centrodestra anche al Senato con un’alleanza con Scelta Civica sempre più vicina al Pdl e con un Monti che in TV ha definito Silvio Berlusconi il “miglior politico” in circolazione.

Non mi pare, infine, che tutto fili liscio anche tra i montiani con i malumori dei montezemoliani esclusi dai ministeri.

Certo, nel voto palese  di fiducia  e nemmeno per i provvedimenti popolari mancherà la maggioranza, il rischio dei franchi-tiratori  è nei voti segreti. Alla Camera c’è, per il governo, un margine di 112 voti (maggioranza  315, 437 la somma dei tre partiti) e al Senato di 59 (160 la maggioranza, 219  la somma per Letta): sono molti , ma se si sommassero i malumori tutto potrebbe accadere. Va aggiunto, infine, il problema dei processi in corso per Silvio Berlusconi: una eventuale condanna ,con interdizione dai pubblici uffici, porterebbe inevitabilmente alla crisi governativa.

Saranno i prossimi mesi a dirci se quello Letta è veramente un governo di svolta o a tempo. Sarebbe un bel giorno, per il Paese, se fosse, davvero, quella realtà pacificatrice che chiude una dissennata e distruttiva “guerra dei vent’anni”.

L’INCARICO A LETTA HA EVITATO DI BRUCIARE RENZI

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“E’ una responsabilità che sento forte sulle mie spalle. E se posso permettermi, la sento più forte e pesante della mia capacità di reggerla”. “Ma mi metto con grande determinazione al lavoro perché penso che il paese abbia bisogno di risposte. Gli italiani non ne possono più di giochi e giochetti della politica, vogliono risposte, io mi metto davanti a loro con grande umiltà e senso dei miei limiti con una responsabilità che mi onora”. Con queste parole Enrico Letta ha comunicato di aver accettato con riserva l’incarico di formare un nuovo governo ricevuto da Giorgio Napolitano.

La sensazione che se ne trae dalle parole del Presidente incaricato è che l’incarico che gli è stato affidato sia come il dover bere un bicchiere di olio di ricino in uno momento di grave stipsi, sarebbe come dire: “non mi piace ma devo”.

Tutto sembra scorrere liscio come se tutto fosse predisposto solo che per arrivare a questo c’è voluto più tempo di quanto il Paese se ne potesse permettere. C’è voluta la svolta che portasse all’esecuzione di Bersani che, certamente non era amato da quegli ambienti internazionali che hanno il potere di decidere anche in casa d’altri: e, secondo me si tratta sempre della stessa regia, la solita, quella, cioè, che ha portato alla rielezione di Napolitano al Quirinale. Così l’incarico di formare il nuovo governo è andato ad Enrico Letta, da tempo lontano dai suoi trascorsi  con l’Arel e con Prodi, voglio dire non più allineato su posizioni che non piacciono agli americani. Inoltre, era il meno esposto all’interno di un Pd, dove ormai si assiste quasi ad una guerra per bande e le scissioni sono dietro l’angolo.

In sostanza, Letta, per il quale ha anche pesato d’esser nipote del più famoso Gianni, braccio destro del Cavaliere, offriva maggiori garanzie di avere la fiducia, quella del voto palese,  da parte dei suoi compagni democratici e non essere impallinato dai franchi tiratori al primo voto segreto. Per questo, Berlusconi gli ha dato il “via”, preferendolo addirittura ad Amato in testa alle scelte anche di Napolitano.

Così si spiega  il suo “no” a Matteo Renzi, dopo una prima entusiastica adesione di molti esponenti Pdl, con in testa Bondi, perché la regìa d’oltreoceano non voleva correre il rischio di bruciare il sindaco di Firenze e, forse, non era, inoltre, ancora pronta alla svolta che una tale situazione avrebbe provocato. Ho l’impressione che non si sia definitivamente individuata la nuova classe dirigente che dovrebbe accompagnare Renzi e il movimento politico-sociale che la comprenda. La scelta di Letta, con buona pace di Alfano che continua a non comprendere bene la situazione, rilasciando dichiarazioni improvvide che, evidentemente non ha concordato con il Cavaliere, in viaggio per Dallas, non è per un governo di lunga durata, ma per una tregua che consenta di affrontare l’emergenza.

Mi pare una mistificazione quella di dare per scontato che il “no” di Berlusconi dipenda dal timore che Renzi a Palazzo Chigi porti via consensi ad un Pdl in grande spolvero, con anche 8-10 punti di vantaggio su un Pd  in crisi. Se fosse vero, pensate davvero che si sarebbe andati, come voleva Obama (credo di averlo scritto in tempi non sospetti), alla rielezione di Giorgio Napolitano? Che il sindaco di Firenze goda di molte simpatie a Washington ed abbia anche il sostegno di un big della General Electric come Fresco è fatto noto . Che il Cavaliere goda di eccellenti relazioni con i presidenti Usa, non a caso è in volo per Dallas per andare ad una manifestazione dai suoi amici Bush, dove troverà Obama, Clinton, Blair  e Aznar.

Ora è possibile che proprio il filo-americano Berlusconi, probabilmente convinto a scendere di nuovo  in campo degli yankees per bloccare Bersani, abbia voluto stoppare un personaggio sul quale gli amici a stelle e strisce puntano anche per il futuro ?

Certo, da oggi gli avversari del sindaco di Firenze non potranno più accusarlo di intese con il nemico e, forse, potrà muoversi meglio nel preparare l’indispensabile svolta. Per il momento dobbiamo accontentarci di soluzioni interlocutorie che, comunque, confermano l’interesse americano verso il nostro Paese e il suo ruolo nel Mediterraneo, quindi per aver evitato ,almeno per il momento, l’esplodere della violenza. I provvedimenti del nuovo governo dovranno andare in questa direzione positiva, dando respiro a famiglie e aziende.

 

Il suicidio politico di Bersani e del Pd

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Ci sono voluti circa due mesi per tornare allo stato di partenza e mettere la palla al centro per dare inizio alla partita. C’è però una variante: durante il riscaldamento, l’uomo gol che ha voluto strafare, si è infortunato malamente e rischia di dover abbandonare definitivamente il rettangolo verde per appendere le scarpette al chiodo.

Un suicidio politico non facile da determinare ma Pier Luigi Bersani c’è riuscito. Ha tergiversato tutto questo tempo prendendosi gli insulti e gli sberleffi di Grillo e della sua armata brancaleone, nel tentativo di coinvolgerlo nell’agone politico. Poi, in estremis ha tentato l’accordo con il PdL, l’ha fatto con poca convinzione, forse forzato dalle insistenti voci interne al suo partito, precisando, almeno nelle dichiarazioni che all’elezione di un Presidente della Repubblica concordato, non necessariamente sarebbe seguito un governo di coalizione che comprendesse anche la seconda coalizione uscita dalle recentissime elezioni. Forse interiormente Bersani si augurava che Berlusconi non accettasse la sua proposta, invece no la ha accolta ed ha accolto anche la rosa di nomi che gli è stata proposta indicando il gradimento verso Franco Marini.

Che la rosa sottoposta al PdL fosse uscita da un circolo molto ristretto di suoi collaboratori, alla luce dei fatti, sembra quanto mai evidente: che la stessa rosa non fosse gradita alla sua sinistra è altrettanto chiaro, Vendola esce subito dalla coalizione, che quella rosa non andasse bene neppure alla sua destra, lo ha chiarito immediatamente Renzi che ha bocciato senza discutere la figura di Marini.

Qui l’altro grande errore di Bersani: Pur uscendo con una apparente votazione maggioritaria della assemblea dei parlamentari, porta quella candidatura alla seconda votazione dell’aula dove era necessario avere i due terzi degli elettori, e li prende la prima enorme musata, Marini viene sonoramente bocciato con voto dichiarato dai renziani e da un’altra pattuglia di franchi tiratori che si è associata ai primi.

Nel frattempo Grillo porta avanti la candidatura di Rodotà e ne fa il suo cavallo di battaglia, vorrebbe portare il PD ad accettare questa candidatura che ritiene integra e nuova nella vita politica (sic). Il PD non ci sta, in compenso a votare Rodotà ci pensa Vendola.

A questo punto, Bersani dice di voler cambiare completamente linea politica. Convoca un’assemblea dei suoi grandi elettori e, dopo aver incontrato Renzi, senza avvertire, almeno per un gesto di cortesia, il PdL che si era speso con coerenza e lealtà verso Marini, propone ai suoi parlamentari il nome di Prodi, padre di tutte le versioni che hanno portato al PD, che viene accolto con una ovazione.

Per il PdL quello è un nome improponibile e poiché si deve andare alla terza votazione , ultima a maggioranza dei due terzi, la presentazione di prodi viene rimandata alla quarta votazione, la prima a maggioranza assoluta.

La terza votazione si è svolta con una altissima serie di schede bianche, quelle del PdL e del PD. Scelta Civica di Mario Monti Propone a sorpresa il nome del Ministro Dell’Interno, Anna Maria Cancellieri.

Siamo alla quarta votazione. Viene posta la candidatura Prodi, sembra ormai cosa fatta: se riesce a portare Romano Prodi al Quirinale, si realizza la ritrovata unità tra i democratici e lui come leader consolida la sua posizione.

Purtroppo le cose sono andate in modo completamente opposto: questa volta il PdL anziché votare scheda bianca non si è presentato in aula, Monti ed i suoi hanno votato per la Cancellieri, la quale ha preso anche qualche voto in più di quello che avrebbe dovuto avere dai montiani, e Prodi è stato sacrificato dal fuoco amico, oltre cento democratici lo hanno impallinato.

A questo punto per Bersani a fare un passo indietro è inevitabile e lo fa anticipando che le sue dimissioni da tutto avranno effetto non appena sarà eletto il nuovo Presidente.

 La vittoria di Silvio Berlusconi è indiscutibile. Ma ha vinto pure quel partito, o quei partiti, che si formato all’interno del PD, che per ora ha tolto Bersani di torno ed altri lo seguiranno.

Dopo la fine di Marini, dopo quello che è stato fatto a Prodi, voglio vedere i dalemiani, gli ex-popolari di Marini, i veltroniani e chissà quale è il vero gioco dei renziani. La notte dei lunghi coltelli è appena iniziata.

Dopo l’annuncio della candidatura di Prodi c’è stata una standing ovation tra i “grandi elettori” democratici. Sì, ma i delitti politici vengono commessi spesso  nascondendo la mano che li commette, così è avvenuto. Ma nessuno vuole essere il Bruto della situazione, in molti vogliono vorrebbero la testa di Bersani ma vorrebbero che sia lui ad infilarla nel cappio.

Poi, come è noto a tutti, la corsa al Quirinale, ed è toccato proprio a lui andare ad inginocchiarsi per primo da Napolitano per implorare la sua permanenza nel Palazzo, un invito che ha dovuto rivolgere con la morte nel cuore sapendo di rischiare una votazione “Prodi bis”. Ormai la sua credibilità è a zero e per questo annuncia prima il suo ritiro, le sue dimissioni che, per ora sono dall’incarico di Partito ma che premoniscono un ritiro a vita privata.

E così, gioca l’ultima carta in mano al Pd che potrebbe ricompattare un po’ il partito, Giorgio Napolitano che ascolta le altre forze politiche moderate, quelle che possono dargli qualche garanzia e, comunque, rappresentano l’unico baluardo di serietà.

 La situazione di grave emergenza, impone che al Colle vi sia un personaggio conosciuto e stimato a livello internazionale, realmente al disopra delle parti al di là della sua provenienza partitica , capace di avere la fiducia della maggioranza degli italiani e di guidare , con mano ferma, questa difficile e delicata fase politica, evitando le elezioni anticipate e imponendo un governo del presidente, appoggiato e sostenuto oltre che dal PD che, dopo l’uscita di SEL dalla coalizione, non è più maggioranza relativa, dal PdL e da Scelta Civica,  prospettiva più concreta per portare in porto quei provvedimenti e quelle riforme istituzionali che possono dare respiro al Paese.

Chi altri, in questo momento se non Napolitano aveva ed ha tutti questi requisiti, non a caso Obama sperava di vederlo sul Colle per almeno un altro anno. E, forse, solo l’ex-comunista, con cultura crociana e da sempre filo-americano, può evitare al Paese un caos   dietro al quale può annidarsi la violenza.

 

SIAMO AL CAPOLINEA. CHISSA’ SE NE HANNO COSCIENZA

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Scrive oggi Sergio Romano, editorialista del corriere della Sera, riportando nel suo articolo di fondo, una cronaca ragionata della giornata politica di ieri. Riferendosi all’insuccesso di Marini Presidente scrive: “Benché altri,in questo caso abbiano contribuito all’insuccesso di Marini, la persona che può maggiormente compiacersi del risultato e rivendicarne la vittoria è Beppe Grillo”.

Credo non sia difficile per nessuno riconoscere che la giornata di ieri è stato un gravissimo disastro e, andando come sempre si fa in queste circostanze, si va alla ricerca delle responsabilità. Senza alcuna ombra di dubbio, tutto ricade sul partito di maggioranza seppur relativa. Bersani da oltre cinquanta giorni ha balbettato politica a livello di principiante, malgrado lo stato in cui versa il paese, ha insistito per “non fare”un governo che fosse in grado di emanare provvedimenti; all’ultimo momento, pressato da chi ne mastica più di lui, ha partorito un suo candidato per la Presidenza della Repubblica senza averlo concordato prima con il suo vero antagonista, Renzi. Il risultato è sotto gli occhi di tutti.

Ora, il tempo è scaduto ed a lui spetta la decisione finale: ma, con quali alternative? Credo che Bersani si trovi in un quadrivio: Imboccare la strada Grillo? Questo significa, oltre a rompere definitivamente con il PdL. Contribuire alla elezione di Rodotà o eventualmente a quella di Prodi, ammesso che riesca a ricompattare il suo partito, cosa quanto mai improbabile, significa mettersi totalmente nelle mani di Grillo e della Piazza, entrambi nemici giurati dei partiti che, imbaldanziti dal risultato ottenuto, se lo mangerebbero in un sol boccone.

La seconda via è quella di tentare di ricompattare il partito trattando (si fa per dire) con Renzi: Questo significa accettare un candidato indicato da lui che potrebbe essere Prodi(rivendicato pur4e da Grillo): questo potrebbe farcela, sempre che tutto il PD lo accetti, ma non sarebbe il suo candidato e poiché, se non interviene Grillo, non vi sarebbero poi numeri per costituire  un governo stabile, anche Prodi sui vedrebbe costretto a decidere per lo scioglimento delle Camere. Dopo le elezioni, dove sarà Bersani?

La terza via è quella di Berlusconi: Con lui potrebbe trattare, ma lo deve fare subito, un nome di grande impatto, un nome a livello di Draghi, al quale nessuno, escluso i soliti, possano rifiutare il voto, primi fra tutti quelli del suo partito. Questa potrebbe essere una soluzione praticabile, ma, anche qui vi è una incognita: il PdL è ben consapevole del grado di cottura del segretario del PD, a questo punto gli conviene seguire una linea che è ormai arrivata al capolinea? Non sarebbe più logico pensare di poter trattare con il futuro del PD anziché rischiare con il vecchio?

Rimane l’ultima via: Bersani riunisce la sua Direzione, magari allargata ai maggiori esponenti del Partito, e ad essa rimette il suo mandato di segretario, magari cercando di pilotare la composizione di un triunvirato con l’incarico di chiudere la partita della Presidenza della Repubblica per poi pensare ad un governo di “scopo”, come si una dire oggi, allargato possibilmente al periodo “balneare”, come si usava dire prima, risolvere quei quattro cinque punti urgenti per la nostra economia, disporre una nuova legge elettorale e, quindi, andare in ottobre al voto e, che vinca il migliore.

A questo punto qualcuno chiedersi: e Bersani? Be…per tutto c’è un inizio ed un termine; la legge Fornero non è detto che valga per tutti, una deroga si può sempre fare, se a goderne fosse Bersani, credo proprio che dopo questa triste, per il Paese, esperienza, per Bersani questa eccezione sia acclamato da molti.

Le mistificazioni dei nostri politici

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Lo spettacolo che ci sta offrendo oggi la politica è veramente deprimente,e non dico questo per la defezione di Marini che, tra l’altro, poiché lo conosco sin dai tempi della sua ascesa alla segreteria generale della CISL, ritengo sia stato sopravvalutato nel ruolo al quale Bersani o ha voluto esporre, tutto questo non giustifica il comportamento del PD.

Io credo che si sia ormai giunti al punto di non ritorno. Forse andare al voto è il male minore.

Tutto questo mentre la disperazione dilaga, i suicidi di disoccupati e piccoli imprenditori non fanno quasi più notizia, mentre rischia di esplodere la violenza com’è inevitabile quando la gente muore di fame  e i poveri sono  quasi sei milioni .

Ormai è chiaro anche ai più ottusi che la ricetta dell’UE è sbagliata e che la “cura tedesca”  dell’austerità a tutti i costi provoca  recessione, depressione e finirà per devastare persino la Germania. Lo ha documentato il professor Bernardo Bortolotti  nel suo bel libro  “Crescere insieme”, dove sostiene l’esigenza di  un nuovo paradigma economico che riscopra l’economia etica, empatica di Adam Smith, con gli adeguamenti successivamente apportati da altri studiosi.

Ad oltre un mese e mezzo dalle elezioni non si vede ancora non dico un governo, ma  almeno la sua prospettiva e si sta andando verso l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica, tra veti, attacchi a questo o quel candidato, nessuno dei quali, comunque, sembra avere il gradimento della maggioranza degli italiani  .

Forse Matteo Renzi con le sue provocazioni , la sua propensione per Prodi, che della famosa casta è stato un tipico rappresentante, anzi qualcosa di più  visto che ha fatto parte di altre lobby , forse Renzi, dicevo, brucia candidati in serie , quindi lo stesso Prodi, per tornare a Napolitano. Me lo auguro perché confermerebbe d’aver tempra di leader .

Comunque, appare certo che i nostri politici, compresi quelli più recenti, ci stiano prendendo in giro, pensando , ognuno, ai propri presunti interessi. Presunti perché, poi, in realtà non lo sono  e si tratta solo di autodistruzione.

Il primo partito a correrla è il Pd , il cui leader opera una evidente mistificazione. Sostiene, infatti, che lui vuole un governo di cambiamento, per questo come fa a fare un accordo con il Pdl .  Lui, inoltre, è responsabile e debbono esserlo anche gli altri, consentendogli di fare un governo di minoranza , intendiamoci : non votandolo , non sostenendolo alla luce del sole, per carità!, questo proprio no, ma con qualche marchingegno ,mettiamo  uscendo dall’aula del Senato al momento della fiducia. E non tutti,ovviamente, per evitare commenti negativi.

Ora se questa non è una mistificazione, ditemi voi cos è  . Visto che i 5 Stelle gli hanno detto no, considerato che i berlusconiani sono, sì, disponibili, ma solo alla “grande coalizione, che Bersani rifiuta, verificato che al Senato non ha la maggioranza, l’interesse generale avrebbe voluto che l’esponente democratico lasciasse il passo ad un altro. Nemmeno a pensarci. “Il “tortellino magico”,  che nel gergo giornalistico richiama il “cerchio magico” di Bossi, fa quadrato attorno al capo : si va fino in fondo. Con tanti saluti all’interesse del Paese e dei cittadini.

Si dirà : ma il Pdl è stato lineare con, o grande coalizione, o elezioni anticipate. Così appare, ma in effetti anche qui c’è la convenienza di parte perché i sondaggi di un eventuale voto anticipato danno – per quel che può valere oggi – la maggioranza a Berlusconi tra i deputati  e, con un probabile ritorno a casa dell’Udc, forse anche al Senato. Per questo si è detto no ad un governo di scopo  o del Presidente, proposta che avrebbe messo in grave difficoltà Bersani. E per questo si fanno manifestazioni di carattere pre-elettorale con accentuazioni che rendono più difficile il dialogo con il Pd.

Di “Scelta Civica” e dell’Udc mi pare superfluo parlare : appaiono in lenta dissoluzione, Monti, benché smentisca, non  ne vuol più essere alla guida ed ha perfettamente ragione visto come si stanno comportando i suoi in questa elezione per il Presidente della Repubblica, ma rimane in politica, dov’è salito contraddicendo tutto quel che aveva detto a più riprese : non è anche questa mistificazione?

Rimane il terzo convitato di pietra, ossia Grillo. Doveva salvarci da questi partiti, doveva salvarci dalla Merkel e la sua austerità, determinando il cambiamento. Ha avuto l’occasione di farlo con Bersani che aveva l’acqua alla gola e pur di fare il presidente del Consiglio avrebbe accettato qualsiasi compromesso proposto dal Movimento 5Stelle. Invece il comico-politico  ha detto no al Pd, spiazzando anche una parte dei suoi eletti .Ora cerca, maldestramente, di rientrare nel gioco con l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica, ma alla quarta votazione, non prima, dunque se gli altri non si saranno messi d’accordo. Ancora perdita di tempo, ancora gioco al massacro, dunque mistificazione  e fanno un po’ pena quei parlamentari grillini lì con i loro computerini ad attendere notizie dal Capo o dal suo gurù Casalegno.

La più grande mistificazione, comunque, è contrabbandare una piccola parte, ossia il web, per il tutto, ossia il totale dei cittadini. Quando per scegliere il proprio candidato al Quirinale al massimo votano  48 mila grillini, mentre i voti riportati alle “politiche”  sono più di 8 milioni , beh !, siamo in presenza di una distorsione democratica. E mi pare abbia ragione un collega di Beppe Grillo, ossia Enrico Brignano, quando afferma : “Beato quel Paese che non ha bisogno di comici per essere credibile!”

 

 

PAPA FRANCESCO: LA DOLCEZZA E’ LA SUA FORZA

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Papa Francesco con la sua figura estremamente paterna, molto comunicativa, la gente avverte la vicinanza e il suo calore, e risponde ai suoi gesti coinvolgenti, non deve far pensare a nessuno che questi siano desti di debolezza. Questo suo modo di esprimere e predicare l’amore, fa parte della sua persona e del suo percorso di fede, ogni Papa ha il suo carattere.

Certo, è’ finito un mondo, nella Chiesa e per i cattolici, soprattutto italiani, ne sta iniziando un altro. Appresa questa consapevolezza, qualche riflessione è d’obbligo.

Dopo il gesto di rottura come la rinuncia di Papa Benedetto, un nuovo Papa che intervenisse con decisione nel governo della Chiesa era nelle aspettative di tutti e Papa Francesco almeno dal primo impatto sembra non voglia tradirle.

Molto attese, dicevamo, le sue iniziative sul governo della Chiesa: è stato proprio Papa Ratzinger a motivare la sua rinuncia con il fatto che gli mancavano le forze per affrontare tutte le esigenze dei tempi nuovi. Tutti, quel drammatico 11 febbraio, abbiamo ripensato alle tante difficoltà dei suoi otto anni di pontificato, difficoltà fra le quali il furto delle sue carte è stata solo l’ultima, la più amara e la più eclatante, ma francamente di problemi dovuti anche ad una inadeguatezza di suoi collaboratori ne abbiamo visti fin troppi. Basterebbe scorrere l’indice del libro “Attacco a Ratzinger”, scritto da Tornielli e Rodari– due vaticanisti equilibrati, documentati e sicuramente non ostili a Papa Benedetto e alla Chiesa – scritto nell’agosto 2010, un libro basato su fatti noti a tutti: dalle dimissioni dell’arcivescovo di Varsavia Wieglus alla revoca della scomunica ai lefevriani mentre veniva diffusa un’intervista negazionista di uno di loro, e via dicendo. Attacchi al Papa da nemici della Chiesa, certo, ma facilitati e a volte proprio causati dall’interno, da clamorose gaffes e incredibili inadeguatezze di chi invece avrebbe dovuto vigilare sul Papa e proteggerlo.

Insomma: giusto o sbagliato che sia – veramente in questo caso sarà la storia a giudicare – prima del Conclave il dito era puntato contro la Curia romana, e la riforma del governo della Chiesa era indicata fra le priorità del nuovo Papa. In questo senso il primo atto significativo di governo di Papa Francesco è stata la recentissima nomina del “gruppo” di otto cardinali, i Saggi della Chiesa, provenienti da tutti i continenti, per consigliarlo nel governo della Chiesa, e studiare un progetto concreto di revisione delle norme esistenti, piuttosto, un sano criterio di comunione: il Papa vuole sburocratizzare e depotenziare la segreteria di Stato – al centro delle polemiche del pontificato di Papa Benedetto, che le aveva delegato molto – e ripristinare un contatto più stretto con il popolo cristiano di tutto il mondo, mediante alcuni suoi pastori, scelti da lui.

La prima conseguenza, adesso, è evidente: fine della centralità della chiesa europea, e soprattutto italiana. Fra i cardinali c’è solo un italiano, il Card. Bertello, che rappresenta la curia, e un altro europeo, il tedesco Card. Marx. Durante il pontificato di Giovanni Paolo II la centralità italiana era sottolineata con forza, nel panorama della cattolicità mondiale, e lo stesso Papa era attentissimo alle vicende interne italiane. Lo spiega bene in un editoriale il Card. Camillo Ruini, un grandissimo protagonista della vita italiana, quando ricorda la particolare attenzione che Giovanni Paolo II aveva per il nostro paese, attenzione culminata nel discorso al convegno di Loreto del 1985, e particolarmente evidente nella lettera ai vescovi italiani il 6 gennaio 1994, mentre il nostro paese attraversava una crisi che ricorda molto quella che stiamo attraversando adesso.

In quella lettera bellissima e accorata Papa Wojtyla scriveva “Sono convinto che l’Italia come nazione ha moltissimo da offrire a tutta l’Europa. Le tendenze che oggi mirano a indebolire l’Italia sono negative per l’Europa stessa e nascono sullo sfondo della negazione del cristianesimo. […] All’Italia, in conformità alla sua storia, è affidato in modo speciale il compito di difendere per tutta l’Europa il patrimonio religioso e culturale innestato a Roma dagli apostoli Pietro e Paolo”. Riferendosi poi alle iniziative giudiziarie di Mani Pulite, il Papa non negò certo le colpe, ma specificò: “Un bilancio onesto e veritiero degli anni dal dopoguerra a oggi non può dimenticare, però, tutto ciò che i cattolici, insieme ad altre forze democratiche, hanno fatto per il bene dell’Italia” E ancora: “È ovvio che una società ben ordinata non può mettere le decisioni sulla sua sorte futura nelle mani della sola autorità giudiziaria. Il potere legislativo e quello esecutivo, infatti, hanno le proprie specifiche competenze e responsabilità” e infine diceva di essere convinto “che la Chiesa in Italia possa fare molto di più di quanto si ritiene. Essa è una grande forza sociale che unisce gli abitanti dell’Italia, dal Nord al Sud. Una forza che ha superato la prova della storia”.

Sicuramente la consapevolezza del ruolo della Chiesa italiana per la cristianità è maturata nel tempo, per Giovanni Paolo II, che non era italiano ma comunque era europeo, e non veniva “dalla fine del mondo” come Papa Francesco, che del nostro paese conosce ben poco, e che è vissuto sempre in un altro continente, con una storia totalmente diversa dalla nostra, e con condizioni sociali, culturali, ed economiche lontanissime dalle nostre. Ci vorrà tempo perché il nuovo corso di Papa Francesco prenda una forma compiuta, e vedremo quel che succederà: una gestione più “in comunione”, come quella indicata dal “gruppo” degli otto cardinali, non contrasta certamente con la consapevolezza del presidio che l’Italia è per la cattolicità tutta.

Intanto questa consapevolezza deve essere la nostra, una responsabilità per tutti noi. L’eccezionalità italiana – che non è un merito, ma una condizione storica – va compresa e custodita, senza tentennamenti.

 

 

 

SIAMO ALLA RESA DEI CONTI. BERSANI SA CHE IL SUO DESTINO E’ SEGNATO

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Credo sia chiaro a tutti che ormai siamo alla resa dei conti. Bersani sa che il suo destino è segnato anche se, dalle apparenze vorrebbe far intendere che il mazzo delle carte è ancora in mano sua e quindi a distribuirle tocca ancora a lui. Ma, non è così. Gli stanno lasciando il mazzo per dargli l’illusione che ancora possa dare ancora una mano mentre invece i suoi avversari interni, quasi tutti,  hanno già un altro mazzo di carte e le stanno distribuendo ai giocatori ponendo la condizione di tenerle ancora per poco coperte. Non è un caso quello della visita di Dalema a Firenze, dove si è incontrato con Renzi. Quest’ultimo anche lui non si trova in buone acque dentro il suo partito: chi di politica ci capisce è ben cosciente che se gli si desse dello spazio sarebbe ben capace di vincere ma ciò significherebbe la scomparsa di tutte le vecchie generazioni ancora dentro il partito. Quindi, Bersani va distrutto, così come fecero per Occhetto, ma, attenzione, meglio una media sconfitta elettorale che Renzi al potere.

Se accendiamo il televisore su qualche canale, a qualsiasi ora vediamo la faccia di Bersani e da essa si intuisce che qualcosa contro di lui si stia tramando: le stesse parole di Napolitano dovrebbero avergli fatto ben intendere quale è la sua attuale posizione. Nell’elogio fatto al gruppo dei cosiddetti saggi il Presidente della Repubblica rilancia abbastanza chiaramente la grande coalizione, quella che il segretario del PD continua a rinunciare malgrado l’incontro avuto con Berlusconi. Dice testualmente Napolitano: “solo da scelte di collaborazione, che spetta alle forze politiche compiere, può scaturire la formazione del nuovo governo di cui il Paese ha urgente bisogno”. Poi rimanda: “ci penserà il mio successore”. E se succedesse a se stesso almeno per un anno? Sarebbe la soluzione migliore auspicata da molti: chi più dell’attuale inquilino del Quirinale può dare garanzie di imparzialità, di essere un riferimento per la stragrande maggioranza degli italiani come dimostrano tutti i sondaggi?

Le difficoltà del segretario del PD sono evidenti: s’è deciso a parlare con Silvio Berlusconi, sino ad ieri quasi un appestato, ma insistendo su un tema caro solo a lui e a un parte degli ex-diesse: troviamo l’intesa sul nuovo Presidente della Repubblica e voi consentite, con qualche strattagemma, a far partire il mio governo. Impostazione, questa, che viene ripetuta come una lezioncina faticosamente appresa dai bersaniani anche in tv, provocando i commenti ironici anche di giornalisti non certo berlusconiani e persino l’irata reazione della presidente Pd, Rosy Bindi: “così Bersani ci mette nelle mani di Berlusconi”.

Confesso che fa un po’ pena il leader Pd che vede lo spettro di far la fine di Occhetto, anche lui convinto di una grande vittoria e, poi, messo all’angolo dal Cavaliere sceso, inopinatamente in campo e da allora, si era nel 1994, un vero incubo per la sinistra italiana. Che non riesce ad uscire dai suoi recinti, dalle sue paure, dalla sua incapacità di leggere la lezione dei tempi e dalle sue manie autodistruttive, non comprendendo che il nostro, crisi o non crisi, è un Paese a maggioranza moderato, direi di centro se ancora i vecchi termini destra, sinistra, centro hanno valore, cosa della quale fortemente dubito.

Bersani, che è, certo, una brava persona, incarna agli occhi di tre quarti almeno degli italiani questa sinistra oltretutto molto velleitaria, confusa, divisa e tale da vedere nei rivali non un avversario da rispettare, ma un nemico da insultare. E non gli giova certo la cocciutaggine, per certi aspetti l’arroganza, con le quali pretende che il nemico gli consenta di fare un governo, senza, però, apparire perché lui non si vuol sporcare le mani. E quando Berlusconi gli dice: siamo pronti a votarti  perché l’emergenza sta devastando l’Italia, ma vogliamo sia alla luce del sole, tramite un accordo politico, al minimo anche con ministri della nostra area. La risposta è sempre la solita: no!

Certo una grande coalizione potrebbe avere conseguenze negative nei rispettivi elettorati, ma allora- dice Matteo Renzi – perché continuare a perder tempo sulla pelle degli italiani? Meglio andare al voto. Come dargli torto? Qui il Paese brucia con i quasi sei milioni di disoccupati, con le tasse a livelli mai visti, con le migliaia di aziende che ogni mese chiudono, con la disperazione di tante famiglie e di giovani che sanno di non avere un futuro, è ripresa a grandi numeri l’emigrazione, in Svizzera hanno messo cartelli in italiano contro la troppa immigrazione. Vi tralascio il dramma di chi si suicida perché non ce la fa a tirare avanti o dei furti che aumentano.

se non avremo presto un nuovo governo e provvedimenti urgenti a favore di famiglie e aziende non solo la guerra tra poveri rischia di conoscere sviluppi devastanti, ma la violenza può diventare normale aspetto della nostra quotidianità. Questo il problema di fondo.

Hanno ragione coloro che parlano di eccezionale senso di responsabilità e di sopportazione degli italiani, anche questo sta a dimostrare che siamo una maggioranza di moderati (che, comunque, è cosa ben diversa da conservatori), ma fino a quando? Quando non si può dare da mangiare ai propri figli, quando con lo sfratto per non aver pagato il mutuo si cacciano gli ex-proprietari da casa, quando il  fisco sequestra quel poco che si ha perché non si ha un euro per pagare tasse ingiuste, beh!, tutto può accadere.

Possibile che l’attuale politica non se ne renda conto? Qui si scherza con il fuoco e  gli appelli di Giorgio Napolitano non dovrebbero cadere nel vuoto e non dovremmo assistere a quegli sproloqui  televisivi di certi politici che giustificano l’ingiustificabile.

Non possiamo, non dobbiamo cedere alla rassegnazione e seguire Papa Francesco che ci invita ad avere speranza. I partiti, però, la smettano di pensare ai loro interessi e ci diano un governo. Forse persino Pierluigi Bersani potrebbe politicamente salvarsi ed evitare la sempre più probabile implosione del Pd.

 

 

BERSANI O RENZI PURCHE’ SI SBLOCCHI LA SITUAZIONE DI STALLO

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Ieri sera Affari Italiani chiude con un pezzo di Tommaso Cinquemani dal titolo “Comunque vada il PD si Spacca. L’analisi di Cinquemani è del tutto verosimile: l’uscita di Renzi ha certamente creato una spaccatura verticale nel partito e non è detto che la maggioranza sia ancora in mano a Bersani e, comunque, Renzi gode ormai chiaramente di un largo consenso fuori dalla stessa struttura partitica, è sempre più chiaro che i media e l’opinione pubblica, ormai stanca di questa situazione di stallo, vedano nel sindaco di Firenze una soluzione alla crisi politica che stringe il Paese. Certo, risolvere la crisi non significa aver trovato soluzione allo stato di sofferenza economica che tutti abbiamo ben presente, però sarebbe già un grosso passo avanti se almeno quella si potesse chiudere.

Torniamo all’analisi di Affari Italiani.  Ieri il Primo cittadino di Firenze ha definito la sua linea: “O Bersani riuscirà a spaccare i 5 Stelle oppure farà un accordo con il Pdl. Io personalmente sarei per andare a votare”. Con queste parole lapidarie Renzi ha voluto porre uno stop alla politica attendista di Bersani la cui resa dei conti si vedrà sicuramente nella prossima direzione dove, con ogni probabilità, Bersani chiederà ancora che gli venga confermata la linea che ha tenuto e sostenu to sino ad oggi, cioè quella di poter fare un governo di minoranza per presentarsi in aula e chiedere li la fiducia.

E’ chiaro che dopo l’ulteriore conferma che i grillini non hanno alcuna intenzione di concorrere a sostenere alcun governo dei partiti, fatto salvo qualche franco tiratore di quell’area, comunque non sufficiente a far passare la fiducia in Senato, e, poiché il PdL non è gradito, Renzi avrà buon gioco a porre ufficialmente la sua candidatura. A questo punto, lo scenario che si presenta ha due prospettive: se la Direzione dovesse confermare la fiducia  a Bersani a Renzi non resta che prendere le distanze dalla decisione della Direzione e abbandonare il Partito, ovviamente seguito dai suoi di stretta osservanza a cui si accoderebbe anche l’ala modem che fanno capo a Soro e Franceschini, i liberali e i lettiani, con qualche possibilità che vi aderiscano anche i veltroniani: cioè la maggioranza del Partito. La seconda ipotesi potrebbe vedere accolte le tesi del Sindaco di Firenze, a Bersani resterebbe solo la possibilità di fare un passo indietro, accusando la sconfitta e quindi, in questo caso sarebbe tutta l’ala sinistra ed i sindacalisti della CGIL a non accettare le posizioni di Renzi, lasciando il Partito al seguito del Segretario sconfitto.

Comunque vadano le cose, un chiarimento dovrebbe esserci dal quale uno dei due avrà la sorte dello sconfitto. Allo stato delle cose, più debole sembrerebbe la posizione del Segretario che, sin dal primo momento della crisi ha voluto rincorrere lo MCS, sbarrando la strada alla soluzione più logica di un governo di coalizione con Berlusconi e Monti ed ora ci si sta avviando alla resa dei conti.

Di una cosa siamo tutti ormai consapevoli, qualunque sia la decisione che si dovrà prendere, governo o elezioni, si impone un’urgenza inappellabile, non c’è più tempo per discutere, questa volta non è solo l’Europa a chiedere di fare presto, sono i cittadini italiani, sono le tragiche morti di gente disperata che preferisce il gesto estremo alla vergogna dell’indigenza.

BERSANI: UN TAPPO SCOMODO – NAPOLITANO: FACCIA QUALCOSA

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Ormai sono in tanti a dire che il cappio che ci impone l’Europa germano centrica non è più sostenibile e noi, grazie a quel signore che sostiene di averci ridato credibilità internazionale e che grazie al nostro Presidente della Repubblica che dopo avercelo dato ancora ce lo mantiene, stiamo morendo soffocati, stretti da quella specie di guinzaglio chiamato “strozzo”, i cui capo e tenuto da una certa signora che viene a godersi le vacanze nel nostro Paese.

Andiamo per ordine nella cronaca ultima: annuncio di pagamento dei debiti verso le imprese; voto del Parlamento, unanime; convocazione del Consiglio dei Ministri; rinvio del C.d.M. dalla mattina al pomeriggio; Consiglio dei Ministri annullato.

Il decreto che avrebbe dovuto varare il Consiglio dei Ministri per mettere a disposizione i quattrini dovuti alle imprese creditrici, neppure l’ombra.

Risultato: ancora suicidi.

Nel frattempo i cosiddetti “saggi”, inutili per pubblica ammissione del più rappresentativo fra di loro, il prof. Onida, si riuniscono sorridenti, tranquilli, a ricercare la formulazione di un programma di urgenze con il quale dovremmo avere la panacea per i mali causa di tutte le difficoltà che accusa il nostro Paese. Tutto questo però non si capisce  a chi potrebbe servire, quelle urgenze ormai le conoscono pure i poppanti, sono chiarissime a tutti, forse l’unico ad avere qualche incertezza è il nostro Presidente Napolitano che li ha insediati. Intanto l’Italia e li attonita, nella speranza che Grillo la smetta di insultare Bersani e quest’ultimo si decida a riconoscere che l’unica possibilità di fare qualcosa è trovare l’accordo con il PdL.

Oggi anche il Sindaco di Firenze, Matteo Renzi a detto “Il Pd – sostiene in un’intervista al Corriere della Sera – deve decidere: o Berlusconi è il capo degli impresentabili, e allora chiediamo di andare a votare subito; oppure Berlusconi è un interlocutore perché ha preso dieci milioni di voti. Non è possibile che il noto giurista Migliavacca un giorno proponga ai grillini di votare insieme la richiesta di arresto per Berlusconi, che tra l’altro non è neanche arrivata, e il giorno dopo offra al Pdl la presidenza della convenzione per riscrivere la Carta costituzionale”.

“In un momento si vagheggia Berlusconi in manette, in un altro – ragiona Renzi – ci si incontra di nascosto con Verdini. Non si può stare così, in mezzo al guado. Io ho tutto l’interesse a votare subito. Ma l’importante è decidersi”. Nella convinzione che “io non voglio Berlusconi in galera, voglio Berlusconi in pensione”.

Delle parole di Renzi si è risentito l’Uomo del Colle che ha replicato sostenendo che no crede che si stia perdendo tempo, almeno da parte sua e, a che gli chiedeva se avrebbe fatto un nuovo giro di consultazioni, Napolitano ha risposto: “Sapete quello che sto facendo e quel che non farò”. Renzi comunque aveva già chiarito, comunque, che dare la colpa al Capo dello Stato per l’impasse “è come dare la colpa la vigile se in città c’è traffico”.

Che dire? I commenti vengono lasciati a chi legge. Qui la situazione se non fosse così grave come in realtà è, rasenterebbe il paradosso, non dico “il ridicolo” perché i tempi ed il luogo non me lo consentono. Certo è che con un po di buona volontà tutto sarebbe stato risolto da tempo, a questo punto credo che l’unica soluzione sia quella che chi ha causato questo blocco capisca e si tolga da quella posizione di “tappo” e lasci ad altri la possibilità di prendere quella strada che porta ad una soluzione, seppur temporanea, darebbe respiro al Paese.