LA PAURA FA 90 E RENZI (non solo lui) TENTA DI ACCELERARE I TEMPI

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Nei giorni scorsi scrivevo che, contrariamente a quanto poteva apparire, il sindaco di Firenze avrebbe lasciato maturare i tempi per porre la sua candidatura al premierato, appoggiando Letta nella sua azione di governo. Anche se le cose, apparentemente non hanno subito accelerazioni evidenti, forse Anche per tener vivo il discorso, Renzi si autopropone, lo fa ripetendo quello che fece a Bersani sulla proposta del nome di Marini alla Presidenza della Repubblica quando, pubblicamente, fece dire ai suoi uomini in Parlamento, che loro non lo avrebbero votato. In occasione della mozione sulla proposta della modifica della legge elettorale, un suo uomo capeggiava una sua mozione in contrapposizione a quella concordata dalla maggioranza. Era quasi ovvio che quest’ultima non passasse, comunque è rimasta li come fatto di disturbo e di dimostrazione che nel PD l’aria di fronda è latente ed i trabocchetti sono sempre a portata di mano per fare lo sgambetto al governo al momento che se ne presentasse l’occasione.
Dopo il fatto “mozione”, altro campanello d’allarme lo ha fatto squillare lo stesso Renzi, presentando la sua ultima fatica letteraria a Roma, “Oltre la rottamazione”. Le espressioni usate dal giovane Sindaco di Firenze rivolte al governo sono “basta vivacchiare, si devono fare le riforme” e , sfidando Letta dice “ abolite il Senato e fate la riforma elettorale, oppure vuol dire che vivacchiate. E così non ci salva neanche Rambo”. “La prima cosa da fare, che richiede il tempo di una riforma costituzionale (minimo sei mesi), è quella di abolire il Senato come Camera che da la fiducia”. Per Renzi, i senatori devono varare la Camera delle autonomie. “E’ una scommessa. Se siamo coraggiosi lo facciamo. Se non siamo pronti poi non ci lamentiamo della legge elettorale più brutta possibile”. Ed aggiunge: io non voglio scardinare il governo “siamo alle barzellette… Ieri è successa una cosa molto semplice: la cosa che chiedono gli italiani è che si facciano le riforme. Se saranno fatte torneranno a parlare lo stesso linguaggio la società politica e quella reale. Se non avverrà si sarà persa una occasione”.
Le parole di Renzi vorrebbero convincere sia i media che lo stesso Letta che non vi è nessuna accelerazione, ma questo, come abbiamo detto, contrasta con i comportamenti dei suoi. La mozione presentata dal deputato Giacchetti, di un ritorno alla vecchia legge elettorale definita Mattarellum è li a dimostrare due cose: se non è lui a voler anticipare i tempi di una crisi si governo che porta inevitabilmente al voto, pensa che altri stiano tramando per far cadere il governo, allora vuole tutelarsi per non andare al voto con l’attuale legge elettorale. Ma chi vuole eventualmente far cadere Letta? Possiamo ben dire che su quella linea vi sono posti in piedi e tutti o quasi, vengono dallo stesso pollaio. Quella dei renziani potrebbe essere solo un atteggiamento di protezione, la vera minaccia, come ho più volte sottolineato, viene dal fuoco amico, il PD. Chi ritiene che la vecchia guardia si sia rassegna alla rottamazione, sbaglia di grosso: D’Alema e Veltroni dimostrano ancora una vivacità di tutto rispetto. Renzi, nella sua azione cerca di distinguersi dalla linea ufficiale del partito, non così i due ‘notabili’: D’Alema, appena ieri dichiarava in materia di legge elettorale: “La vera misura di salvaguardia è il ritorno alla legge maggioritaria fondata sui collegi funzionava”. “Se invece ci limitiamo a passare dal porcellum al proporzionale, a una legge di liste bloccate con il proporzionale puro, rischiamo di favorire uno sgretolamento del sistema politico. Oppure il disegno potrebbe essere rendere non eccezionale le larghe intese, ma la nuova regola”.
Un avvertimento a Letta, nemmeno troppo velato.
Veltroni invece affronta il problema da lato della richiesta della Corte Costituzionale in materia di legge elettorale e sostiene che “l’Italia deve ispirarsi al modello della alternanza: E prosegue “Se l’unica modifica consiste nell’introdurre una soglia del 40 per cento per ottenere il premio di maggioranza, non va bene. Possono esserci altre soluzioni per rispettare le decisione della Corte”.
Una cosa è certa, la confusione che è nel PD lascia Letta al suo posto ed anche se sarebbe sogni di tanti, nessuno ha il coraggio di scagliare la prima pietra e il Premier finchè avrà il coraggio di ‘governare’, sarà molto difficile che vi sia qualcuno disposto a far cadere il governo. Solo se vi saranno tentennamenti le cose potrebbero prendere una piega diversa ed allora, unica soluzione plausibile è andare al voto.

IL VOTO CONFERMA LA CRISI DI SISTEMA

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E’ veramente difficile dire chi ha vinto in questo turno di elezioni amministrative anche se, bisogna riconoscerlo, il PD ha segnato un punto in più degli altri. D’altra parte, per i partiti di sinistra è fisiologica la partecipazione al voto, è sempre stato così. Comunque, nessuno può cantare vittoria quando l’astensione raggiunge un livello record, rappresentato da 4 italiani su 10 hanno disertato il voto.
Imputare alla crisi che sta attraversando i partiti, è una semplificazione lontana dalla realtà. Secondo me, la crisi è di sistema. Queste elezioni hanno proposto un ventaglio di offerte attraverso tantissime liste civiche, molte fuori dai partiti tradizionali, per poter dare una ampia scelta di amministratori locali a più diretto contatto con i cittadini. Risultato?Ci ritroviamo sindaci, comunque, di netta minoranza a conferma della disaffezione che colpisce duramente le istituzioni, oltreché le forze politiche.
Siamo, in sostanza, alla crisi dell’attuale sistema di rappresentanza democratica. Che non funziona più e va profondamente innovata se non si vuole che la rivolta dei cittadini assuma forme non compatibili con una società civile perché determinata dalla disperazione del presente e dal terrore per il futuro. Quando tra astensionismo, voto anti-partiti per Grillo siamo al 50%, che diviene maggioranza se aggiungete i voti bianchi e nulli, significa che è saltato un vecchio modo di intendere lo Stato e la democrazia, dunque la stessa società.
Per questo si impone un cambiamento radicale e appare risibile che in Italia si pensi di risolvere problemi politici e di struttura con una semplice ingegneria costituzionale.
L’incapacità totale degli attuali partiti ad affrontare la sfida che i tempi impongono ha aperto un vuoto che la protesta grillina in realtà ha acuito, avendo determinato una forte delusione tra i suoi aderenti.
La crisi economica, che continua mordere gli italiani, aggiunge, certo, forti motivi negativi e l’unica nota positiva del voto di domenica e lunedì è il rafforzamento del governo Letta che, grazie al nuovo corso europeo, può meglio operare, cercando di uscire da un’austerità a senso unico e, quindi, dare respiro a famiglie ed imprese.
Si tratterà, comunque, di palliativi perché sarà difficile, addirittura penso sia impossibile, che l’attuale politica sia in grado di determinare, con la necessaria discontinuità e l’indispensabile innovazione, l’atteso cambiamento strutturale. Questo il vero problema.
Se non si riuscirà a collegare la macroeconomia con la microeconomia, ad esempio; se non si delineerà una nuova forma di Stato che tenga anche presenti gli obblighi internazionali e il dovere di fortemente attenuare, non dico eliminare come sarebbe pur giusto, le diseguaglianze purtroppo in costante aumento, non potremo costruire la nuova democrazia . Che dev’essere fondata su istituti che garantiscano davvero i cittadini , anche con nuovi modelli di rappresentanza, favoriscano la partecipazione, affermino un’economia etica , valorizzino le scoperte scientifiche e tengano presente, insieme a quel che offre la tecnologia, il grande valore ella spiritualità.
Tutto questo può essere portato avanti da quella parte, probabilmente minoritaria, degli attuali politici che comprendono il nuovo che si è affermato nel mondo e da nuova classe dirigente, quella esistente sul territorio e quasi sempre ignorata da partiti vecchi e superati anche strutturalmente.
Non sarà facile né semplice, ma questa è la strada giusta per ridare un futuro anche alle nuove generazioni.

ITALIA, QUALE FUTURO?

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Oggi quanto abbiamo trovato sulle prime pagine dei giornali dovrebbe farci ben pensare sul futuro che aspetta il nostro Paese, non è poca cosa essere fuori dalla asfissiante sorveglianza speciale cui ci aveva sottoposti la Comunità Europea con la procedura d’infrazione in atto sin dal 2009. Questo non dovrebbe però a farci adagiare sugli allori, sono ancora in molti, in Europa ed anche nel nostro Paese a voler mettere il bastone fra le ruote per bloccare la cancellazione dell’IMU sulla prima casa e sull’aumento dell’IVA. Questi due provvedimenti, senza i quali il rilancio dell’economia è a rischio così come rischio sarebbe per il governo se quei provvedimenti non vedessero la luce.
L’altra notizia che ha occupato i posti d’onore delle prime pagine dei giornali è il crollo della partecipazione al voto. Non è cosa di poco conto: se il cittadino non va a votare, dichiara la sua disaffezione alla politica e, quindi, alla vita del Paese. Non cosa di poco conto. Per un momento cerchiamo di immaginare quali catastrofiche conseguenze potrebbe causare: un esiguo numero di scalmanati che concorre al voto potrebbe prendere una maggioranza fasulla ed occupare legalmente il potere. E’ vero che è passato quasi un secolo ma l’Italia quell’evento lo ha conosciuto e vissuto, le generazione che lo avevano determinato ora non ci sono più, ma le conseguenze sono in molti a ricordarle ed anche le nuove generazioni le conoscono attraverso i libri di storia e non credo abbiano voglia di vederle ancora sulla propria pelle. D’altra parte gli elettori moderati si sentono quanto mai tartassati e la loro protesta la manifestano, sbagliando, attraverso l’indifferenza. Forse una maggiore riflessione sull’importanza del voto, nella scelta a chi darlo, sarebbe la cosa migliore. Dare il voto ad un partito, quello che rappresenta ancora un minimo di fiducia, sostenerlo, può dargli quello stimolo, quella forza per affrontare quei provvedimenti indispensabili al rilancio del Paese.
La politica sta già attraversando un momento critico, anzi direi che i partiti sono in panne, sono loro che non riescono più a determinare la politica, in particolare, di questi ultimi vent’anni di devastante “guerra politica” e di governi di coalizione che non funzionano per i condizionamenti dei partiti e l’esistenza di forze politiche senza radici e divise al loro interno -mi riferisco principalmente al Pd e al Pdl, :il primo ha cercato, invano, di assemblare i contrari ( ex-dc, ex-pci) ed ora è alla soglia dell’implosione dopo le molte defezioni; il secondo ha unito tradizioni diverse grazie al carisma del suo leader Silvio Berlusconi, ma ha già subito scissioni e senza il Cavaliere sarebbe già imploso. Bisogna uscire da questa politica, ormai i partiti di massa, come insegna il filosofo francese Bertrand Marin che i partiti-apparato, di massa, sono finiti, superati da quelli “leggeri” e conta la leadership perché gli elettori guardano al numero uno, non al partito che lo esprime, dunque si afferma un rapporto diretto tra cittadini e capo del governo. Non è un caso se proprio Renzi viene indicato, in tutti i sondaggi, come il Presidente del Consiglio ideale con punte altissime anche nel Pdl e maggioritarie in Scelta Civica e perfino in Sel . Pensate che anche quasi il 50% dei 5 Stelle è a suo favore.
Ecco, se si da corpo a questa ipotesi, torna in campo il perché Renzi non voglia concorrere alla conquista della segreteria del partito, un partito rissoso, sull’orlo della scissione e nel quale in molti nemmeno lo sopportano per guidare un governo sostenuto da più forse politiche ognuna delle quali porrebbe condizioni e veti? E se una prima parte della missione renziana fosse quella di spaccare il Pd in modo che se ne esca l’ala più a sinistra che vede in Vendola un alleato preferenziale ?
Comunque sia, rimane il fatto che anche con una nuova legge elettorale tale da ricalcare i vecchi schemi,ad iniziare da quelli da “prima repubblica”, non ci sarebbe alcuna garanzia di governabilità ed anche un leader forte troverebbe difficoltà come s’è visto con la grande maggioranza di cui disponeva Silvio Berlusconi. Renzi non vuole bruciarsi su questa via ed ha giocato la carta del”sindaco d’Italia”, cioè di una vera riforma di sistema, basata sull’elezione diretta del premier, l’unica che garantisca una governabilità certa, sia con il sistema semi-presidenziale alla francese sia con quello americano, tout court presidenziale.
La sinistra italiana ha sempre definito reazionaria questa soluzione, dimenticando i presidenti socialisti d’0ltr’Alpe, e il sindaco di Firenze sa benissimo che da segretario , costretto alle mediazioni, gli sarebbe stato difficile imporre questa riforma elettorale per lui fondamentale.
Quando ha riproposto l’idea del “sindaco d’Italia”, sull’esempio del sistema elettorale che ha ben funzionato per i Comuni, subito dal Pdl e da Scelta Civica è venuta una risposta positiva , mentre il neo-segretario del Pd Epifani l’ha accolta positivamente, rilanciandola. E la sinistra interna, per il momento, non ha fatto fuochi di sbarramento, forse ritenendo la proposta non attuabile dovendosi fare una riforma costituzionale.
Renzi , però, nel dare il suo sostegno al governo Letta , con il quale ha fatto un patto quasi generazionale, certo di cambiamento, ha parlato di un anno, un anno e mezzo prima di tornare alle urne essendo usciti dall’emergenza. Guarda caso proprio il tempo necessario per mettere in costituzione il “sindaco d’Italia”.
Un anno-un anno-e-mezzo di tempo farebbe anche evolvere la situazione politica. Non v’ha dubbio, infatti, che se il governo Letta funziona, come c’è da sperare, i grillini si sgonfierebbero come accadde all’Uomo Qualunque di Giannini, mentre la sinistra Pd sentirebbe sempre più la sirena Vendola. Renzi avrebbe, così, la via aperta ,inserendo alla guida del partito un suo amico .E se nel Pdl, Silvio Berlusconi facesse un passo indietro, o fosse nominato senatore a vita, determinando l’immancabile l’implosione di questo partito, sarebbe questa un’altra importante novità. Aggiungiamo poi che nei prossimi tre mesi sapremo se possiamo o no uscire dalla crisi. Sapremo, in particolare , se tecnologia, finanza etica, spiritualità e integrazione etnica, ossia i quattro pilastri di un nuovo sistema e di un nuoco Stato, hanno vinto sulla violenza, sulle manovre di chi cerca di impedire l’affermazione di un mondo migliore. Dinnanzi a tutto questo perché Matteo Renzi dovrebbe anticipare i tempi della sua carriera politica? Lui ha sempre avuto lo sguardo rivolto al futuro, non al passato. Certo può commettere errori, ma è, al momento, davvero l’unica speranza per il domani che ci rimane.

Letta va a Bruxelles e Renzi propone il “sindaco d’Italia”

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Mentre Enrico Letta si prepara per giocare la sua partita europea, con la prudenza che richiede il momento, attento a non commettere l’errore di far vedere che vi possa essere qualche indizio di eventuali fughe in avanti, procede con l’appoggio di tutta la maggioranza che e con l’assicurazione dell’approvazione anche da parte della Francia e della Spagna in contrasto con la linea “negativa” portata fin qui dalla Germania.
Il Premier chiederà di sbloccare subito le risorse stanziate dall’Ue per l’arco di tempo 2014-2020 e rafforzare il piano europeo per l’occupazione. Escogitare ulteriori misure, definire un progetto operativo subito contro la disoccupazione giovanile. E’ questa la strada che Enrico Letta indichera’ all’Europa. Il premier sta pensando ad un’iniziativa comune tra paesi europei su piu’ fronti, gli ‘sherpa’ italiani stanno lavorando a stretto contatto con francesi e spagnoli. L’obiettivo e’ convincere la Germania a cambiare marcia. Ma soprattutto l’esecutivo punta a convincere l’Europa affinche’ chiuda la procedura di infrazione per deficit eccessivo.
Su queste proposte l’Italia puo’ contare anche sul sostegno del presidente americano che, in un colloquio con Letta, ha sottolineato gli sforzi fatti dall’Italia. Solo quando riuscirà a sboccare la partita sull’Europa si potrà pensare con più tranquillità al nostro Paese e passare alla fase del risanamento della nostra economia. Letta, pur facendo lavorare i ministri per predisporre proposte ed eventuali provvedimenti, rimane in stand-by in attesa dei due Consigli europei di domani e di fine giugno.
Intanto la politica continua a muoversi, non mi riferisco al disegno di legge presentato al Senato dalla senatrice Finocchiaro e dal capogruppo PD, Zanda, sull’applicazione dell’articolo 49 della Costituzione che sostiene che solo i partiti regolarmente organizzati possono concorrere alle elezioni ed al finanziamento pubblico, escludendo così i movimenti, Il riferimento è a quanto ha detto Renzi partecipando alla trasmissione di Vespa, “Porta a Porta”.
Ieri sera Renzi, tra le molte cose giuste dette in risposta alla pioggia di domande c’è stata una proposta che nel Pd suscita, in una parte consistente di dirigenti reazioni fortemente negative. Mi riferisco alla riforma elettorale : no ai palliativi,ma cambio radicale, eleggendo il “sindaco d’Italia” . Questo tipo di elezioni funziona per i sindaci, per i presidenti di Provincia ( finchè ci sono) e per i presidenti di Regione, perchè non applicarlo anche al vertice dello Stato ?
Matteo Renzi, non è la prima volta che lancia questa sua idea, solo che ora lo può dire con maggiore forza, è il momento che glielo consente oltre che la sua attuale posizione nel partito.
Sicuramente, Matteo Renzi ha letto l’ultimo libro di Bernard Marin “Princìpi del governo rappresentativo”, ma certo è che riflette le più moderne teorie politiche riassunte dal filosofo francese che insegna alla New York University. Il mondo è cambiato, non è una novità, ma l’attuale classe dirigente italiana non pare rendersene conto nemmeno dinnanzi al rischio dell’esplosione della violenza dei cittadini che non intendono più essere semplici sudditi vessati, oltretutto, da uno Stato inefficiente .
In questo contesto i partiti,così come sono oggi concepiti, si dimostrano largamente superati ed appare grottesco ritenere di risolvere problemi che sono politici con piccoli aggiustamenti della legge elettorale. Siamo , infatti, ad una crisi di sistema , sconvolgendo o distruggendo strutture consolidate, minando la rappresentatività di istituzioni obsolete e dimostrando l’incapacità di marxismo e capitalismo di risolvere i problemi che l’umanità si trova davanti.
Forse partendo dall’antica Atene a Montesquieu, da Aristotele a Rousseau, riscoprendo l’economia etica di Hume ci accorgeremmo che la nostra democrazia, quella nata dalla rivoluzione francese e integrata dagli sviluppi inglesi, è vecchia e sarà necessario passare dalla “democrazia dei partiti” di massa alla “democrazia del pubblico”. I partiti, così,”cedono spazio alle persone”, le identità collettive si svuotano,sostituite dalla “fiducia personale diretta” e la scelta elettorale non si esprime più con una appartenenza, ma col sostegno o la fiducia ad una proposta avanzata dal leader”, sostenuto da “nuove tipologie di comunicazione”.
In sostanza, oggi va messo in naftalina il partito-apparato con masse di iscritti a vantaggio di un partito-leggero che presenta un forte leader . L’elettore, così, “ sembra votare sempre più in base alla personalità del candidato e sempre meno in base all’identificazione con un campo politico.” E’ quel che è avvenuto con Grillo e sta avvenendo, soprattutto, con Matteo Renzi indicato come il presidente del Consiglio ideale dalla maggioranza degli elettori del Pd e del Pdl .
Credo che il sindaco di Firenze abbia ben compreso questo cambiamento epocale , abbia o no letto Manin, e per questo non ha alcuna intenzione di fare il segretario dei democratici. Un’identificazione così stretta con un partito gli farebbe perdere consensi diciamo berlusconiani e, inoltre, avrebbe la fronda di una parte consistente della sinistra interna che non lo sopporta e credo si prepari alla scissione attirata dalle sirene vendoliane. Ed è una sinistra che pare fuori dalla storia perché non comprende i cambiamenti intervenuti e, quindi, l’esigenza di una profonda autocritica ad iniziare proprio dai comportamenti di questi ultimi vent’anni.
Tacciare , ad esempio, di destra chi, in Italia, sostiene l’esigenza di una riforma del sistema politico che introduca o l’esempio francese – semipresidenzialismo_ o quello americano –presidenzialismo tout court – significa essere conservatori della peggior specie perché in drammatico ritardo nell’appuntamento con la storia.
Per questo ritengo che Renzi sia incompatibile con questi presunti progressisti .
Per vari personaggi della sinistra questa proposta apparirà quasi come un delitto di lesa maestà alla democrazia repubblicana, ma in Francia funziona, idem negli Stati Uniti e, guarda caso, nei due Paesi ci sono presidenti che piacciono a questi presunti progressisti nostrani .
Certo, per una innovazione così forte come “il sindaco d’Italia” va cambiata la Costituzione, occorrerà almeno un anno, un anno e mezzo, giusto il tempo per tutti gli altri provvedimenti capaci di farci uscire dalla crisi e di dare una concreta speranza ai giovani , aprendo le porte alla ripresa.
Qualche giornale interessato ha titolato che Renzi ha proposto nuova legge elettorale, provvedimenti urgenti economici e ,poi, subito alle elezioni, quasi facendo intendere che il sindaco di Firenze vuole il voto in autunno per presentarsi candidato premier. Non è così perché la riforma elettorale proposta richiede tempo, quel tempo che servirà per profonde novità politiche. Berlusconi, ad esempio, potrebbe fare un passo indietro come, del resto, già aveva fatto, richiamato,anche dall’estero, in servizio attivo per bloccare Bersani e così il Pdl imploderebbe senza più il suo capo carismatico, mentre nel Pd la sinistra, sempre più inquieta , potrebbe trovare un’altra strada. Due operazioni e il gioco sarebbe fatto per portare un Matteo Renzi a Palazzo Chigi, sostenuto da un’ampia maggioranza, magari composta da un grande centro alleato con una sinistra riformista. Utopia? Qualcuno lo abbia pensato quando, in tempi non sospetti,scrissi che Giorgio Napolitano sarebbe stato rieletto presidente della Repubblica . E proprio gli atti dell’attuale Capo dello Stato, in una situazione d’emergenza , danno forza all’ipotesi di un “sindaco d’Italia” eletto dal popolo.

TREGUA ARMATA NEL PD E CON IL PDL?

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Vorrei riprendere le considerazioni che avevo pubblicato ieri a caldo per approfondire quanto avevo scritto e aggiornare ad oggi con i nuovi fatti.

E’ tregua armata nel Pd, ma le tensioni rimangono , non a caso  nell’Assemblea che ha eletto segretario Guglielmo Epifani i votanti sono stati solo 593 su 939 aventi diritto (mi scuso se ieri avevo dato dei numeri superiori, parlavo di componenti l’Assemblea e non di delegati). E l’ex-segretario della Cgil ha ottenuto 458 voti , con 59 voti nulli e 71 schede bianche, quindi  il trionfalistico comunicato che parla dell’85,8% di consensi ha un fondamento molto relativo perché in realtà l’eletto è stato espresso da una minoranza. Forse avrà influito anche il fatto che il suo primo partito è stato il Psi, ma stando al risultato non avrà vita facile il successore di Bersani appoggiato, soprattutto,  da bersaniani e franceschiniani .  E, se vorrà come sembra ricandidarsi al Congresso, dovrà affrontare  concorrenti agguerriti, ad iniziare da quel Cuperlo che in molti volevano sin da sabato. Questo senza  considerare cosa farà Matteo Renzi che dice di non pensare al partito, lui punta alla premiership  per la quale è già in contesa (senza dirlo) con Enrico Letta, ma se le due cariche rimassero unite come lo sono oggi?

Da qui all’autunno, comunque, ne passerà di acqua sotto i ponti politici  e chissà se esisteranno ancora un Pd ed anche un Pdl. Il primo è sulla via dell’implosione  e l’iniziativa di Vendola, Rodotà, Gad Lerner, Concita De Gregorio (ex-direttrice de l’”Unità”) riuniti  per un comizio in piazza, sempre a Roma in concomitanza  dell’Assemblea dei democratici, per  sponsorizzare la rifondazione a sinistra, è un ulteriore segnale che le acque sono sempre più agitate nel fronte antiberlusconiano.  E’ significativo che “Il Fatto” abbia titolato a caratteri di scatola, in prima pagina, “PD: il funerale frettoloso di un partito imploso”. E che il sindaco di Bari, nonché segretario pugliese del partito, abbia detto: ”siamo in una “fase ospedaliera”, mentre  il prodiano Sandro Gozzi ha parlato di “suicidio del Pd”, imitato da altri. Né va dimenticato che né D’Alema, né Veltroni abbiamo parlato.

Indubbiamente, la scelta di Epifani a segretario ha, per il momento, sancito la tregua armata, ma fino a quando. L’ex-segretario della Cgil, probabilmente, è stata la mossa giusta anche se può aver  scontentato i “giovani turchi”. Lo è perché, di fatto, è un moderato , convinto che l’alleanza con il Pdl non aveva alternativa se si voleva tentare di salvare il Paese, non a caso Enrico Letta ha commentato: ecco una buona notizia per il governo.” Che qualche sussulto ha avuto visto lo scontro tra il premier e il suo vice ministro degli Interni Alfano , “reo” d’essere stato a fianco di Berlusconi al comizio di Brescia polemico con le toghe “rosse”.  Poi nella quiete piovosa di un’abbazia toscana, dove  l’Esecutivo è stato in ritiro di lavoro sino ad oggi, s’è trovata un’intesa che, trovo ridicola. 

Pensate un po’ che trovata: i ministri non parteciperanno alla campagna elettorale    in corso per una regione e vari Comuni, Roma compresa. Altro che governo di tecnici, qui siamo ad un governo di scimmiette che non vedono e non sentono, autocatapultati fuori dalla realtà sino al 26 maggio e quindici in più laddove si  andrà al ballottaggio.

Comprendo che Letta (nipote) cerchi di evitare polemiche, ma perché non ha richiamato, prima, all’ordine certi suoi ministri e sottosegretari, guarda caso tutti del suo partito, che se ne sono usciti con dichiarazioni capaci solo di provocare reazioni e critiche?

Certo, forse era meglio che Alfano non fosse andato a Brescia, ma ha certamente ragione  un osservatore come Antonio Polito, non certo berlusconiano visto che è stato anche senatore Pd, quando nel suo editoriale sul “Corriere” ha scritto: “E’ un diritto del Pdl di sventolare le sue bandiere , anche sulla giustizia e quando Epifani potrà srotolare le sue , lo stesso varrà per il Pd”. Ed ha definito “inquietante e non tollerabile” il riemergere di gruppi di facinorosi che, come a Brescia, aggrediscono  per “conculcare un diritto garantito dalla Costituzione.”  Sono, queste, affermazioni che avremmo voluto sentire echeggiare anche nell’Assemblea Pd e ripetere da quei componenti del governo che hanno criticato pubblicamente  il comizio di Brescia ed Alfano.

Sarebbe meglio che Letta limitasse anche lui certi interventi, non vorrei che a furia di ripetere in ogni circostanza, a proposito e a sproposito  che il suo non è “un governo a tutti i costi” e che “non deve andare avanti a tutti i costi”, alla fine qualcuno potrebbe prenderlo sul serio e provocarlo per fargli fare ciò che lui minaccia. Se dovesse prendere quella strada, Letta credo che sappia bene che anche per lui come per il suo amico PierLuigi, la pensione è quel che lo aspetta.

Comunque, ho l’impressione che dovremo più volte registrare polemiche e polemichette  di questo tipo con la speranza che non trovino eco quando in Parlamento ci saranno votazioni a scrutinio segreto. Se non prevale il senso di responsabilità, aiutando l’Esecutivo a compiere il suo dovere, che è quello  di varare, con urgenza, provvedimenti che blocchino la recessione ed aprano la strada alla ripresa, il rischio reale è di aprire le porte alla violenza e, di conseguenza, a soluzioni politiche di fatto autoritarie.

Dovrebbero rendersene conto anche  quei Pm che, con troppa disinvoltura, fanno prevalere le loro prevenzioni dando per acquisiti fatti che lasciano ampi spazi di dubbio. Adoperare due pesi e due misure nel giudicare, com’è avvenuto anche per Tangentopoli, significa delegittimare la magistratura più di chi  esasperato per l’eccesso di inchieste nei suoi confronti, può esagerare  nelle critiche.

Consiglierei anche a quei politici che sperano di eliminare Silvio Berlusconi per via giudiziaria di rifletterci su e di rifletterci molto. Perché, nonostante accuse, processi, assoluzioni e condanne discutibili, il Cavaliere aumenta i suoi consensi, mentre gli avversari vanno giù, pensate che il Pdl è valutato 27-30 % e il Pd  22-23,6%.

Per carità!, i sondaggi sono indicazioni molto parziali, mettete in conto anche un 30% di incerti o astenuti, ma  una tendenza la dimostrano. E va a tutto vantaggio di Berlusconi  che aveva già deciso di farsi da parte, ma una condanna in primo grado ha fatto tornare in campo, probabilmente anche su sollecitazione internazionale. Così, come già successe a Occhetto, la gioiosa macchina da guerra di Bersani s’è  rotta ed ora il governo presieduto da un esponente del Pd vive condizionato proprio dai berlusconiani. Fossi un Pm di sinistra farei, quindi, un pensierino a cambiar registro.

 

Assemblea PD: Epifani saprà evitare il rischio di implosione?

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Qualcuno aveva ipotizzato che  nell’Assemblea Pd alla fine Pier Luigi Bersani sarebbe stato costretto a ritirare le dimissioni come garante sulla strada del Congresso e , indirettamente, anche dell’Esecutivo.  Dicevano: potrebbe essere l’unica momentanea ancora di sicurezza per un partito allo sbando.

Poi le cose sono andate diversamente: alla fine un candidato si è trovato, forse non ha accontentato tutti ma nessuno ha voluto scoprirsi per avversarlo. L’uomo è il sindacalista Epifani che non ha avuto concorrenti.

La contesa era partita abbastanza sopra le righe: il ribelle Pippo Civati si lanciava nel dire che “ se va avanti così domani il Pd non c’è più”. Lo scontro interno è al calor bianco (“il primo che si alza scoppia la rissa” aveva scandito ancora Civati). Ed era andato oltre sostenendo che se non si fosse riuscito a trovare un successore sarebbe toccato al dimissionario Bersani portare il partito al congresso in autunno.

A causa dei veti incrociati  sono stati bruciati molti nomi,  compreso il giovane  Speranza , presidente dei deputati, non gradito a due big come D’Alema e Veltroni. Per la verità in una intervista apparsa oggi su “Repubblica”  ha fatto intendere che non avrebbe accettato la segreteria perché preferiva  essere il numero 1 dei suoi deputati.  

Il fatto è che ci vorrebbe un segretario condiviso in grado di pacificare un partito, dicevano in molti. Il problema, comunque, non è solo quello  di trovare un candidato accettato da una vasta maggioranza, ma anche di non sceglierlo tra la nomenklatura interna, cioè da personaggi per troppi anni in servizio attivo . Poi, come già era nell’aria, ecco che salta fuori dal cappello “il coniglio condiviso”, Guglielmo Epifani, già Segretario Generale della CISL di area socialista, eletto con voto minoritario ( delegati 1500, presenti 593, voti per il segretario 458) e, secondo qualcuno sarebbe stato nominato per convocare il congresso ma, senza porre limiti di tempo.

Questa segreteria non nasce certo sotto i migliori auspici. Dalla cronaca della giornata si dice che: “il segretario-fantoccio (così viene definito) scelto ieri alla Fiera di Roma, nel Partito democratico i veri comandanti sono e saranno i tanti capi corrente che nelle ultime settimane hanno guidato l’assalto alla diligenza dei posti di governo e di sottogoverno, e che da oggi in poi manovreranno come un burattino il nuovo sfortunato leader del Pd”.

Stando sempre ai si dice,  i renziani lavorano alacremente da giorni per vedere assegnati, in questa pur provvisoria segreteria, le principali poltrone di comando del partito. Ovviamente la preferenza sarebbe per organizzazione, dipartimento economico ed enti locali: cioè il fulcro del partito. Ma i bersaniani doc, quelli che non si arrendono alla fine del leader del tortellino, si starebbero riunendo in corrente per poter così accedere a qualche briciola che li mantenga in vita.

Insomma, Epifani che pur nelle parole, ha ottenuto un viatico tranquillo, Renzi nel suo intervento  gli ha dato la benedizione dicendo che lui sarà dalla sua parte come cittadino e come sindaco, così come ha assicurato che da parte sua non vi sarà alcuno sgambetto al governo, Letta può stare tranquillo (?). Letta, da parte sua, pur sostenendo che il governo che presiede non è quello che sognava, incassa gli appoggi poco convinti che gli vengono dati dall’Assemblea e va avanti mascherando la soddisfazione per una fortuna che gli è giunta talmente inaspettata che egli stesso stenta a crederci.

Il problema è: quanto durerà questo governo?  Le assicurazioni di Berlusconi ci sono tutte e sono pubbliche, non vengono neppure scalfite dalle polemiche sulla partecipazione di Alfano, vice premier e ministro dell’Interno,  alla manifestazione di Brescia, ma attenzione, sotto la cenere si nasconde sempre una bella brace viva, tutto sta a vedere chi sarà ad andare a scoprire la cenere per  ravvivare la fiamma.

 

IMPARARE A TACERE, PARLARE CON TEMPERANZA

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“Ad ognuno il suo mestiere”: sono pochi i proverbi che calzano a pennello come questo in relazione alla tenuta del Governo. L’ultima uscita dell’olimpica Iden, Ministro delle Pari Opportunità, che fa seguito a quella della sua collega Kyenge, affidandosi alla veicolo mediatico, l’idea di proporre un disegno di legge per il riconoscimento delle coppie gay.

Prima di entrare in questo argomento abbastanza delicato, sgombrare il campo dichiarando ufficialmente che il problema non mi tocca minimamente: non mi ritengo omofobo e mi è indifferente la scelta della sfera sessuale di qualsiasi individuo che, già di per se stesso dispone dei diritti che a tutti sono riconosciuti. Detto questo, senza entrare assolutamente nel merito della proposta, direi, e richiamo il mio articolo “Per Enrico Letta vita difficile”, pubblicato il 6 di maggio, Tutti abbiamo diritto alle nostre idee, anzi, direi, problemi di questa portata andrebbero sottoposti a referendum popolare, quello che invece mi preme rilevare è la mancanza e la carenza di valutazione politica nel buttare in pasto ai media proposte che più che essere di un ministro della Repubblica, sembrano chiacchiere da bar dello sport fatte di lunedì mattina dopo il derby giocato la domenica.

Perché dico questo? E’ sotto gli occhi di tutti il barcamenarsi del Presidente del Consiglio per tentare fra tanti scogli di approdare alla soluzione dei gravi problemi economici, dove già sarebbe sufficiente La controversia sull’IMU prima casa, senza dover mettere altra carne al fuoco. Già l’uscita della signora Kyenge sullo “ius soli”, tra l’altro bocciato brutalmente dal Grillo, oltre che dal PdL con la differenza che quest’ultimo è parte integrante della maggioranza di governo, per poi avere un ulteriore motivo di contrasto come quello delle coppie gay per mettere in discussione la vita del governo stesso.

Qui ritorna il proverbio: poiché non ritengo la signora Iden in malafede, così come sicuramente non lo era la sua collega, cioè non credo che abbia voluto buttare una molotov  fra i piedi di Letta, devo giocoforza pensare che, le due ministre, non hanno valutato minimamente ciò che andavano a proporre e quali potevano essere le conseguenze delle loro esternazioni.

Parole al vento, forse dettate più dall’apparire che da veri sentimenti. Entrambi le ministre, sicuramente credono in ciò che hanno detto, è la loro mancanza di professionalità politica che gli crea dei brutti scherzi: hanno fatto delle proposte che, guarda caso, sono all’opposto del pensiero del PdL che, sino a prova contraria, se il governo vuole sopravvivere deve andare in sintonia con gli alleati e, pertanto, sarebbe stato opportuno avere più cautela, non fosse per altro che per non mettere in difficoltà il Presidente del Consiglio.

Il consiglio per coloro che si agitano è sempre quello: ragionare e usare prudenza. La politica è un’arte nobile, la prima cosa che la contraddistingue è oltre alla capacità di sintesi c’è quella della meditazione su ciò che si dice e quella della mediazione, prima con se stessi poi con gli “altri”.

 

RISCHIO SCISSIONE – SCONTRO TRA LE VARIE ANIME

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PD: Ieri postavo sul blog (www.santateresagallurablog.it) una mia personale analisi sulla tenuta del governo. Mentre scrivevo non ero ancora a conoscenza del caso Nitto Palma – presidenza Commissione Giustizia, risoltosi poi positivamente. Nel mio scritto volevo sottolineare sottoliniare lo stato di crisi del PD che potrebbe trasmettersi sul governo con il preciso scopo di abbattere Letta.

Da notizie che mi pervengono, sembrerebbe che si sia giunti alla prima resa dei conti  in un Pd, dove lo scontro totale tra le varie anime, in particolare quelle ex-pci ed ex-dc, evoca una scissione. Il fatto è che la sinistra interna, anche a causa degli errori di Pierluigi Bersani, è sempre più insofferente per la scelta di un governo a trazione berlusconiana. Lo stesso premier Enrico Letta , che oltretutto nel partito ha scarso seguito, viene visto non proprio come un corpo estraneo, ma certo qualcosa di simile anche  per la stretta parentela con il braccio destro del Cavaliere. Aggiungete il malumore per ministri e sottosegretari ,anche con esclusioni eccellenti, la rivolta della base con varie occupazioni di sedi ,i  sondaggi che registrano continue emorragie di elettori con corrispondente crescita del centrodestra   e l’incognita Matteo Renzi con il timore che voglia essere leader di un vero grande centro ed avrete un quadro approssimativo di quel che si muove tra i democratici.

La vicenda dell’elezione del Capo dello Stato ha lasciato strascichi pesanti e  le varie correnti non si fidano più le une con le altre, alimentando sospetti , rancori, spirito di vendetta anche per i troppi franchi tiratori che hanno  impallinato  i due candidati del Pd, prima Franco Marini, accettato anche da Berlusconi, e  poi addirittura, uno dei padri storici del partito come Romano Prodi la cui candidatura era stata persino accolta con un’acclamazione dei grandi elettori democratici. Il risultato è stato la rielezione di Giorgio Napolitano, sponsorizzata da Obama e rilanciata dal Cavaliere con conseguente governo PD-PDL, dovuto certo all’emergenza Paese, ma in aperta contraddizione con gli impegni assunti proprio dal Pd con i propri elettori e dalle ripetute dichiarazioni di tutti i dirigenti, Enrico Letta compreso,  che  ci hanno inondato , un’ora sì, un’ora no, di “mai con Berlusconi”.

Tutto questo troverà eco sabato prossimo nell’assemblea che dovrà ratificare le dimissioni della Bindi da presidente e di Bersani da segretario ,nominando un leader provvisorio( qualcuno vorrebbe una triade) che accompagni il partito al Congresso in autunno, E si dovrebbe decidere anche  di scindere la carica di segretario da quella del candidato premier, oggi unite con le primarie, soluzione che ha visto il deciso no di Walter Veltroni e il consenso di Massimo D’Alema e Matteo Renzi che   intende candidarsi solo alla premiership e non alla segreteria.

Sembrano, queste, questioni di  lana caprina, in realtà  rispecchiano differenti concezioni del partito, La divisione tra i due ruoli, infatti, rispecchia il voler perpetuare la diversità tra l’anima ex-Pci e quella ex-Dc, proprio quello che Veltroni scongiura di non fare altrimenti non esisterà un PD.  La tendenza, però, è proprio quella temuta dall’ex-sindaco di Roma  e lo dimostra il fatto che candidati segretario, sia pure pro-tempore, siano Guglielmo Epifani e Gianni Cuperlo, il primo ex-segretario CGIL, il secondo ex-segretario della Federazione giovanile comunista, ossia l’opposto del premier Enrico Letta che viene dalla DC.

Sarà, quindi, quella di sabato un’assemblea tumultuosa se rispecchierà le dichiarazioni  di partenza come quella di Pippo Civati che non  nasconde l’eventualità di una scissione  e di Walter Veltroni che boccia i due candidati alla segreteria provvisoria e mette in campo un Chiamparino, renzuano  ex-sindaco  di Torino e un Castagnetti, che è stato luogotenente di De Mita nella DC e segretario del Partito Popolare ,

A  farne le spese potrebbe essere il governo, non certo amato dalla maggioranza del Pd  e dove un vice-ministro della sinistra come Fassina  non perde occasione per fare sull’Imu dichiarazioni che nel Pdl considerano provocatorie . E’ vero che Silvio Berlusconi cerca di calmare i non pochi falchi di casa sua, sostenendo che il governo Letta durerà almeno due anni , ma  come potrebbe passare sotto silenzio decisioni per lui negative assunte dall’Assemblea dei democratici ?

Come appunto scrivevo ieri, ci troviamo di fronte ad una crisi latente, in piena burrasca e non è certo Napolitano ancora una volta ha mettere in campo tutta la sua autorità per sedare i facinorosi del suo partito di origine a più miti consigli e ad anteporre le necessità degli italiani a quelle, di più bassa lega, del partito

PER ENRICO LETTA VITA DIFFICILE

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Da un pò di giorni ho diradato i miei commenti sulla vita politica del Paese, ho voluto farlo per rendermi conto dello stato di salute del neonato governo e se l’innesto ibrido di due ceppi originariamente incompatibili potesse superare il rigetto per poter dare buoni frutti ai cittadini italiani.

Benché i giorni trascorsi siano ancora pochi, obiettivamente, il mio abituale ottimismo è messo a dura prova dai fatti costringendomi ad ammettere che le possibilità di convivenza stanno affievolendosi di ora in ora, rendendo sempre più difficile una possibile convivenza.

Berlusconi continua a minacciare di togliere la fiducia al governo, votata solo da poche ore, se non si trova soluzione immediata per quell’IMU prima casa, ritenuta una tassa non solo iniqua ma, addirittura, per dirlo con un eufemismo, ingiusta. Letta, gda parte sua fa notare che il problema non è solo del PdL ma che, con qualche differenziazione per non apparire una scopiazzatura, è anche stato del PD sin dalla campagna elettorale. Quindi se tutto fosse ridotto all’IMU e a Letta, il caso non avrebbe seguito. Si da il fatto che i problemi sono tanti e non è sufficiente la buona volontà e la grande tradizionale capacità dei Letta nella mediazione.  Il PD con i suoi uomini rappresentativi, continuano a comportarsi non da maggioranza come sono nella coalizione di governo, bensì come fossero opposizione. Sta di fatto che oltre ad aver mal digerito l’inevitabile costituzione di un governo di coalizione con il PdL, non accettano che ad esserne stato messo a Capo sia stato Letta.

Perché questa contrarietà verso quell’uomo loro che gli ha tolto le castagne dal fuoco? La spiegazione la troviamo nella elezione del Presidente della Repubblica, dove, dentro il PD è successo di tutto e di peggio. Il risultato elettorale che avrebbe dovuto dare una maggioranza eclatante al PD, disegnata dall’ala post-comunista, non vi è stato. Questo ha imbaldanzito sia la parte catto-progressista che quella renziana che già si era smarcata dalla linea emersa dal partito. Possibilità di fare un governo che potesse avere qualche caratteristica ideologica accettabile, nulla dopo la posizione assunta dal Movimento 5S, pertanto bisognava sacrificare sull’ara dell’idea Bersani e ritentare la carta elettorale nella speranza che da qualche parte arrivasse la ciambella di salvataggio. Questi erano i conti fatti senza l’oste. Il grave stato di contingenza del Paese, quindi l’urgenza di dover affrontare i problemi legati alla situazione economica e sociale, hanno dovuto far riflettere e sollecitati dal Presidente Napolitano, al quale non hanno potuto non ridare il loro appoggio per la sua riconferma, hanno imposto la soluzione della coalizione con il PdL e Scelta Civica. A chi dare l’incarico? Fuori Bersani tutti avrebbero detto che toccasse al suo antagonista Renzi: questi pur disponendo di un discreto plotoncino di parlamentari, all’interno del partito ancora conta poco, perciò, non potendo pensare a nessuno dell’ala bersaniana, il gioco è passato nelle mani degli ex democristiani che hanno giocato la carta Letta.

Non potendo avversarlo direttamente il problema che si è posto immediatamente come limitare l’uomo. L’avevano sempre visto intelligente ma disponibile e dimesso, buon consigliere (consigliori) e ottimo numero due: in molti erano convinti che non ce l’avrebbe fatta e, se anche fosse, sarebbe stato afflitto da una debolezza endemica. Niente di tutto questo. Letta ha immediatamente sposato il ruolo e lo ha fatto con il pesante appoggio di Napolitano. In cinque giorni ha fatto ciò che non è riuscito a Bersani in cinquanta. Ricevuto la fiducia in Parlamento è volato nelle capitali europee che contano e rischia di essere il mattatore nel prossimo consiglio dei Capi di Stato e del Governo dei Paesi europei che si terrà a giugno. Se le cose vanno secondo le previsioni, cioè ottenere un minimo di apertura da parte europea, Letta diventa un mito, d’altra parte, così come stanno le cose nel vecchio continente, qualche maglia deve essere allargata, conviene a tutti, diversamente i paesi falchi sono sempre di meno e le colombe stanno aumentando giorno per giorno. Converrà alla Signora Merkel puntare sull’intransigenza se il rischio è ritrovarsi contro oltre alla Gran Bretagna, la Francia, l’Italia e la Spagna, oltre la Grecia, Portogallo, Cipro e quanti si trovano in difficoltà? Certamente no e a Letta arrivano i meriti non solo italiani ma anche il riconoscimento dei Paesi cui si è messo a capofila assieme a Holland.

Allora, bisogna limitare Letta ed il suo governo, l’IMU non è sufficiente, ci vogliono altre provocazioni: Le battute  della Biancofiore sulla omosessualità, nominata sottosegretario alle Pari Opportunità, vengono ingigantite e Letta viene costretto a spostare le deleghe appena date; Berlusconi si autopropone a presiedere la commissione per la Convenzione e li un fuoco di sbarramento contro; la nomina di Miccichè a sottosegretario viene osteggiata perché ritenuto impresentabile; ed alla fine le dichiarazioni della Ministra Cecile Kienge sono solo l’ultima goccia versata in un vaso che ormai è quasi al limite del travaso. Letta cerca in tutti i modi di destreggiarsi e lo fa con toni di grande saggezza nella trasmissione di Fazio ma, benché l’applob di famiglia non sembra essere scalfito, non riesce a nascondere completamente le difficoltà e gli handicap che si stanno susseguendo sul suo cammino.

Per quanto tempo riuscirà a superare indenne gli ostacoli che gli stanno ponendo è difficile dirlo ma è certo che in un clima così non sarà affatto facile andare avanti per realizzare un programma che già di per se diventa ogni giorno più difficile.

E’ di pochissimi minuti la notizia battuta dalle agenzie: la Cassazione ha respinto lo spostamento dei processi di Berlusconi da Milano. Se il Presidente del PdL venisse condannato, allora nulla potrà evitare la crisi di governo con l’unica alternativa di andare al voto.

Questa è la mia convinzione, chi vivrà vedrà.