IL CERCHIO MAGICO DI MATTEO RENZI

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E’ sempre più solo Matteo Renzi , a parte il “cerchio magico che lo contorno, un “cerchio” che non funziona più anche per Silvio Berlusconi, unito al premier da quel Patto del Nazareno oggetto di tante contestazioni e proiettato sul voto anticipato. Probabilmente con un breve rinvio ad aprile rispetto al concordato 22 febbraio perché Napolitano non se la sente di sciogliere lui le Camere e sta preparando le dimissioni, riservatamente comunicate a Papa Francesco e, dunque, si dovrà prioritariamente eleggere il nuovo Capo dello Stato. E non sarà semplice perché in Parlamento c’è sempre lo spettro dei franchi tiratori ed ora anche la realtà dell’opposizione dem, quei 40 deputati Pd contrari al Jobs Act sono usciti allo scoperto , avrà il governo la maggioranza al Senato visto che non ci sarà quello che poteva essere il soccorso di Forza Italia? Renzi ritiene di sì, ma da qualche tempo pare che faccia conti sbagliati: prima sottovaluta il forte astensionismo in Emilia Romagna e in Calabria con i 700 mila voti persi dal suo partito; poi fa dell’ironia sui suoi deputati che non hanno votato la riforma dl lavoro, mentre un’altra parte della sinistra dem ha detto sì obtorto collo, cioè per responsabilità -come dice Bersani– nei confronti della Ditta, come lui definisce il partito con un, forse, inconscio, richiamo ai tempi del Pci

Voglio dire che il governo rischia al Senato sul Jobs Act e, probabilmente, ancor più sulla legge di stabilità, mentre la spaccatura nel Pd è sempre più evidente e la scissione non è da escludere con la costituzione di un nuovo partito della sinistra che conglobi anche Sel. Ad essere maligni si può anche dire che questo è quel che Renzi vuole anche perché era il suo obiettivo ed ora si sono aggiunte l’esplosiva situazione sociale del Paese e le critiche, sempre più vaste all’azione del governo. Se fossimo nella prima republica oserei dire che questo governo è ormai cotto.

Fa, ad esempio, impressione assistere alle trasmissioni televisive di politica e vedere il vero e proprio assalto verbale che gli ospiti portano agli esponenti del Pd, sempre più in difficoltà, lì a ripetere la lezioncina quasi imparata a memoria di un governo che sta facendo bene risolve i problemi, abbassa le tasse, come ha fatto ieri sera a Ballarò una giovane parlamentare europea molto presente in Tv, prendendosi le ironiche repliche della Camusso. la furia verbale di un noto economista e l’irata reazione di Freccero, big televisivo. Se, poi, andavate su La7, dove si svolgeva un altro confronto condotto dall’ex di Ballarò, Floris, la musica era la stessa con le contorsioni dialettiche di una neo-sottosegretaria per cercar di replicare alla pioggia di critiche

Lo stesso avviene in altre trasmissioni e gli editoriali dei grandi quotidiani nazionali rispecchiano questi umori non certo favorevoli al governo che, da giugno, ha perso ben 20 punti di gradimento da parte degli italiani. Se aggiungete le dure prese di posizioni dei sindacati, gli scioperi a getto continuo, il crescente malessere delle forze di polizia, l’ostilità dei magistrati e dell’alta burocrazia, i dati negativi dell’Istat per varie voci fondamentali per l’economia, le vere e proprie rivolte che serpeggiano nelle periferie della grandi città, la reazione di varie categorie e via dicendo avrete il quadro della solitudine di Matteo Renzi che, pure, tante speranze aveva suscitato e nei confronti del quale mi pare ingeneroso addossare tutta la responsabilità dell’attuale situazione.

Errori, però, ne ha commessi ad iniziare dal rifiuto di dialogare con i sindacati come fossero un inutile retaggio del passato, l’ironia portata all’eccesso nei confronti di chi non la pensa come lui e la costante sottovalutazione delle difficoltà oggettive che esistono con una crisi di non facile soluzione e, questo, per l’editorialista del “Corriere” Polito è l’errore più grave. Forse farebbe bene Renzi a uscire un po’ dal suo cerchio magico, da chi gli dice sei bello, sei bravo e da improvvisati esperti economici che gli suggeriscono soluzioni errate come i famosi 80 euro. I quali sono un cavallo di battaglia dei renziani, dimenticando che quegli 8 miliardi era meglio darli alle pensioni minime, agli incapienti e, oltretutto, valutando il reddito familiare per evitare, com’è avvenuto in vari casi, che i soldi sono andati ad un coniuge, mentre l’altro aveva un reddito alto.

Probabilmente, Renzi non si preoccupa affatto della sua solitudine, anzi ho l’impressione gli piaccia secondo la formula che un famoso radiocronista disse per Fausto Coppi “un uomo solo al comando”. Renzi, però, è fiorentino e farebbe bene a ricordare il suo conterraneo Gino Bartali, quello dello “è tutto da rifare”, ad iniziare da un atteggiamento di totale disprezzo nei confronti di chi non la pensa come lui.

 

Elezioni Regionali: è sfiducia nei partiti, l’assenteismo è maggioranza assoluta

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L’unico ad essere soddisfatto è Matteo, non Renzi, il segretario leghista Salvini che ha motivo di essere addirittura euforico per il 19.42% ottenuto in Emilia Romagna al punto da porre la sua candidatura a premier del centrodestra. Se, però, a mente serena compirà un serio esame del voto regionale anche lui deve dire addio all’euforia. Sì, perché quel voto ha clamorosamente dimostrato la notevole sfiducia dei cittadini nei confronti degli attuali partiti, tutti i partiti, e nelle istituzioni in genere, governo compreso. Ha, infatti, vinto l’assenteismo con il 44.07% di cittadini andati alle urne in Calabria e con appena il 37.7% in Emilia Romagna, ossia in quella che era la “rossa”, roccaforte un tempo del Pci e, poi, dei suoi successori ed ieri del Pd.

E’ stato onesto il presidente eletto Stefano Bonaccini a dire: “è inutile girarci attorno, il voto è molto negativo per quel che riguarda la partecipazione. Devo guardare in faccia la realtà per quello che è …Di fatto è mancato un pezzo del Pd che è rimasto a casa”. Bonaccini, che è renziano a tutto tondo, non poteva dire che il vecchio ceppo comunista non si riconosce più in un partito il cui leader, che è anche premier, si affanna inutilmente a dire che è di sinistra, sta dalla parte dei più deboli ed ha portato i democratici nella grande famiglia socialista. Non convince, nemmeno con l’articolo-lettera di una pagina comparsa su “Repubblica” la sua sinistra e, nel contempo, perde consensi moderati. Significativo anche il commento di Romano Prodi, emiliano doc, che, quando la affluenze alle urne è scarsa aveva detto: “Se si andrà su una percentuale al disotto del 50% sarà un dato preoccupante”. Ed aveva aggiunto: “Sorprende che l’Emilia Romagna abbia un dato inferiore rispetto alla Calabria, mentre di solito è di 10-11 punti percentuali superori, quindi c’è una particolare situazione di malessere”.

Se il Pd si lecca le ferite, pur avendo conquistato la Calabria, Forza Italia, doppiata dalla Lega in Emilia Romagna (“storico” ha urlato Salvini, ma di storico c’è poco) appare ai minimi termini come i grillini.

Ha avuto un bel dire Matteo Renzi, riferendosi alle critiche al suo governo, i gufi si sono risvegliati, dovremo rimandarli a dormire. “Forse è lui che deve svegliarsi perché l’Italia è percorsa da continui scioperi, da protesta che, travolta, sfociano in violenza ed è l’unico Paese UE, insieme a Cipro, in depressione e stagnazione sì che l’idillio iniziale tra il premier e gli italiani si sta dissolvendo giorno dopo giorno. Nel contempo la sua sinistra interna è all’offensiva e dopo il voto emiliano-romagnolo lo sarà ancor più, accentuando l’opposizione ai provvedimenti economici del governo a partire dal Jobs Act e dalla legge di stabilità . Le dichiarazioni dei giorni scorsi dei Cuperlo, Civati, Fassino, Bindi, D’Attorre e altri, vicini alle posizioni della Cgil, già non erano incoraggianti per i renziani, ma ora sarà ancor peggio.

La crisi che ha investito il centro-destra, la costante flessione del Movimento 5 Stelle, l’inconsistenza di un centro, dinnanzi alla perdita di consensi del Pd e del governo nel voto regionale e nei sondaggi può indurre una parte dei Dem, oltretutto ben presente in Parlamento, a ricostituire un nuovo partito della sinistra che, conglobando anche Sel, avrebbe una consistente forza elettorale, se Renzi volesse andare, come ritengo, alle elezioni anticipate (questo fa parte del Patto del Nazareno), soprattutto se rimanesse il sistema di voto emerso dalla sentenza della Corte Costituzionale, ossia un proporzionale puro. Per questo, nonostante le insistenze del premier e della Boschi, ministro per le riforme, sull’esigenza di varare entro l’anno l’Italicum, non sarà semplice varare in tempi brevi una riforma elettorale del genere, considerate anche le ultime modifiche volute dal leader Pd ed oggi credo non accettabili da Forza Italia.

Rumors venuti da Oltreoceano dicevano che in novembre Renzi e il governo potevano anche fare un “botto”, voluto o no, per andare al voto anticipato il 22 febbraio. Giorgio Napolitano non era disposto a sciogliere le Camere, ma è già pronto all’addio, come avrebbe detto nell’imprevisto incontro con Papa Francesco. L’ostacolo alle elezioni, quindi, non esisterebbe più. E il terremoto economico-sociale e quello del big-astensionismo potrebbe facilitare una strategia che, purtroppo, non si sa dove possa portare. A noi non rimane che la forza del voto e continuare a seguire l’invito del Pontefice: “non fatevi rubare la speranza!”.

 

BENEDETTI, MALEDETTI SONDAGGI

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Benedetti, maledetti sondaggi. Renzi, al rientro dall’Australia ha sicuramente di che riflettere. Il suo governo è sceso al 43% dei sì, perdendo ben 26 punti rispetto a giugno e 13 nei confronti di ottobre. Perde lui stesso 8 punti rispetto a settembre nel gradimento tra i leader, pur rimanendo in testa in una classifica che vede però il leghista Salvini al 30%, il big della Fiom Landini al 28% e una sorprendente Meloni (che qualcuno indica come candidato premier del centrodestra) al 27% e Berlusconi al 20% come Grillo. Perde Lui nel gradimento degli italiani ben 22 punti rispetto a giugno, pur rimanendo in maggioranza: 52%.

Che significa tutto questo? Siamo al “disastro Italia”, unico Paese dell’Ue in recessione e stagnazione insieme a Cipro, con un territorio che va a pezzi, mentre i fiumi esondano, provocando alluvioni disastrose. La colpa, a sentire i politici d’oggi, è tutta degli altri, loro, poverini, non c’entrano, i cattivi sono coloro che li hanno preceduti . Dimenticano i recentissimi vent’anni di guerra, dove loro erano e sono protagonisti, dopo la distruzione dei partiti politici tradizionali con Tangentopoli ed anche con la caduta del “muro di Berlino”.

Certo, il governo Renzi ha minori responsabilità degli esecutivi precedenti del ventennio, ma non può essere del tutto assolto perché è assurdo che, come è stato documentato, oltre due miliardi di lavori per la messa in sicurezza sul territorio siano bloccati e i provvedimenti economici risultino inefficaci quando, come i famosi 80 euro al mese per chi stava già discretamente, addirittura controproducenti se non nei voti acquisiti dal partito del premier. Che, non a caso è in pesante flessione nei sondaggi .e vede avvicinarsi un’eventuale centrodestra ricompattato e capace di ulteriormente aumentare se troverà un leader credibile, pur se, poi, farebbe i conti con le molte differenze che esistono al suo interno, probabilmente superiori anche a quelle del Pd sempre sull’orlo della scissione.

Credo siano, questi sondaggi, estremamente significativi e l’impegno renziano per le riforme costituzionali che, pare interessare scarsamente i cittadini alle prese con problemi come la sempre più grave crisi economica, le tasse che aumentano invece di diminuire, come s’affannano a ripetere a Palazzo Chigi per i famosi 80 euro confermati nella legge di stabilità insieme al lieve taglio dell’Irap. Diciotto miliardi di tasse in meno, ma chi se ne accorge visto che anche coloro che hanno quei benedetti 80 euro al mese ne pagheranno altrettanti, bene che vada, per un incremento di balzelli e balzellini. Mettete, poi, in contro la corsa delle addizionali regionali e comunali con le prime che potranno salire nel 2015 al 3.3% per i tagli del governo e i rientri sulla Sanità, un punto in più di quel che già applicano Piemonte, Lazio, Molise, Basilicata , guarda caso tutte a maggioranza Pd. Altrettanto saranno costretti a fare i Comuni, con tutta probabilità, anch’essi alle prese con i tagli governativi. Comuni alla disperazione nelle zone delle frane e delle alluvioni anche per colpa del patto di stabilità che non consente di usare, pur se li hanno, i soldi per prevenire i danni al territorio o ricostruire argini, pulire alvei dei fiumi, intervenire nelle emergenze.

Sergio Chiamparino, presidente del Piemonte e della Conferenza delle Regioni, è stato esplicito in proposito: “se un sindaco valuta che un’opera è davvero urgente per tutelare la sicurezza dei suoi cittadini, per salvare vite umane, deve poter sforare il patto di stabilità e fare le spese urgenti se ha i soldi. E’ una situazione semplicemente assurda, i sindaci sono furiosi per questo”. Perché, dunque, il governo non interviene invece di limitarsi, come ha fatto Renzi dal G20 in Australia, che “anche nelle Regioni di sinistra vent’anni di politica del territorio sono da rottamare”? Certo, è anche vero e le Regioni di sinistra, oltretutto, sono maggioranza, ma intanto il premier decida che, in questi casi, si può sforare il famoso e assurdo patto di stabilità, oltre a sbloccare con uno dei tanti decreti che fa gli oltre 2 miliardi per la difesa del territorio, bloccati da burocrazia e cause.

Non ci sono solo la nuova legge elettorale e la riforma, da molti contestata, di un Senato, dove si continua a nominare dirigenti: qui siamo ad un disastro vero e proprio e non solo per alluvioni e frane, ma anche e, per certi versi,soprattutto per stagnazione, recessione, depressione. Il costante aumento della violenza, ad iniziare dalle periferie delle grandi città, gli scioperi, quasi quotidiani, contro le politiche governative con ripetuti scontri con le forze dell’ordine e, certo, tra chi protesta ci sono infiltrati che vogliono il caos, tutto questo è il segnale di un profondo malessere che non può essere ignorato. E che non si risolve trattando a pesci in faccia i sindacati che incalanano democraticamente le contestazioni. Perché se cade anche questo argine, dinnanzi alla devastazione dell’Italia s’apre la strada alla rivolta. Continuare a dare la responsabilità di quel che accade solo agli altri aggraverebbe la situazione perché sarebbe la guerra di tutti contro tutti. La conseguenza sarebbe la distruzione di tutto il molto che di positivo è stato pur costruito nei 68 anni della Repubblica Italiana.

Auguriamoci che lo si comprenda. E, per questo, continuiamo a seguire l’invito di Papa Francesco: “Non lasciatevi rubare la speranza”!

giustus

 

UN ACCORDO A META’ CONFERMA: LA SCENEGGIATA PROSEGUE

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Sull’incontro Renzi-Berlusconi, La Stampa di oggi apre: “Solo nella patria di Machiavelli può accadere che due leader si dichiarino in disaccordo su altrettanti punti chiave della riforma elettorale, salvo sostenere poi che il loro patto non è mai stato così forte. L’incontro tra Renzi e Berlusconi si è concluso con un comunicato congiunto dove viene argomentato proprio questo paradosso. Per cui viene da domandarsi come ciò sia possibile ed, eventualmente, che cosa si nasconda dietro”.

I due leaders sostengono, in un comunicato congiunto, che il Patto del Nazareno “è più solido che mai” ed è vero perché, probabilmente, hanno definito anche chi sarà il nuovo inquilino del Quirinale e il futuro del famoso “partito della nazione”. Aggiungono –è questo non è affatto vero– che “funzionerà fino al 2018”, quindi niente elezioni anticipate. Vi risparmio le altre sceneggiate perché questa è la fondamentale. Sì, perché , ignora sia che un Parlamento eletto con una legge elettorale anticostituzionale non può eleggere il successore di Napolitano, sia che il governo difficilmente potrà superare le forche caudine del Senato su almeno una parte dei provvedimenti economici. Ossia quelli che Forza Italia ha detto di non votare imitato dalla sinistra del Pd ormai scesa in campo sotto l’impulso di D’Alema e Bersani. Dunque, è solo utopia che si giunga al 2018, evitando quelle elezioni anticipate che, in realtà hanno fatto sempre parte del Patto del Nazareno e sulle quali punta tutte le sue carte Renzi, che vede diminuire, ogni settimana, i consensi sul suo operato e sul Pd ormai diviso in due partiti.

La conferma di tutto questo viene, oltre che dai sondaggi ai quali guarda con ossessione berlusconiana il nostro premier, anche e soprattutto dal comportamento renziano nei confronti dell’opposizione interna. Chi, infatti, al Senato ha una maggioranza risicata , che rischia ancor più di assottigliarsi dall’annunciata uscita dell’ex-ministro Mauro ed un suo collega senatore dai Popolari per l’Italia, non tratta a pesci in faccia la sua sinistra in ogni occasione. L’ha fatto anche ieri durante una Direzione, dove s’è presentato in ritardo di un’ora, irritato perché i Cuperlo, i D’Attorre, i Boccia, i Fassina, i Civati e compagni erano, sì, presenti,ma senza prendere la parola , pronti ad andarsene se si fosse votato.Ebbene, Renzi ha detto ai dissenzienti : non ho bisogno del vostro mandato, “per me possiamo anche non votare, non cambia niente “ la Direzione ha già deciso nelle precedenti riunioni.

Il fatto è che la sinistra dem contesta l’impianto dell’Italicum com’è venuto fuori, in particolare, i 100 capilista nei collegi, “un parlamento di nominati, è inccettabile” ha detto Bersani nella riunione pomeridiana dei suoi e dei dalemiani. Sul jobs Act ha presentato 15 emendamenti (sui 55° totali), “Vogliamo correzioni profonde” precisa lo stesso Bersani, imitato da Fassina. E se il governo mettesse la fiducia sul provvedimento? “Non vogliamo crederlo” –è la risposta dei due-, facendo intendere che il rischio di non votarla è reale. Critiche pesanti, inoltre, anche sulla Legge di Stabilità e richiesta di precederne l’esame rispetto a quello del Jobs Act per “aumentare le risorse destinate al lavoro”

In questa situazione, aggravata dallo sciopero generale del 5 dicembre indetto dalla Cgil contro la politica economica del governo, da tutti gli indicatori economici in flessione e dai rilievi dell’Ue , il governo oggettivamente rischia.

Se il Patto del Nazareno è uscito –come pubblicamente affermato dai due contraenti– “rafforzato, il fatto che siano rimaste le differenze su due punti non secondari della nuova legge elettorale –soglia di sbarramento, premio di maggioranza alla lista o alla coalizione– appare veramente strano. I sospetti vengono maggiormente alimentati dal fatto che, tanto, si va al voto anticipato o con l’attuazione di un accordo segreto Renzi-Berlusconi sui due punti, in particolare la soglia di sbarramento al 4%, o con il consultellum, ossia la legge elettorale uscita dalla sentenza della Suprema Corte,il cui nuovo presidente ha pur sottolineato l’esigenza di una nuova legge elettorale.

In sostanza, tutto congiura a portare al voto anticipato, costringendo Napolitano ad un atto che ha sempre rifiutato: sciogliere lui anticipamente le Camere, E, magari, mantenere il Senato elettivo , considerato che si continua a fare nomine : tre vice-segretari generali e 13 capi servizio decisi, all’unanimità, dall’ufficio di presidenza , assente solo la rappresentante grillina, impegnata nell’alluvionata Carrara. ”Le nomine sono un atto vergognoso” hanno detto i M5S , “sono a costo zero” ha replicato il presidente Grasso, prendendosi l’accusa di non considerare che “indennità di funzione e premi saranno dovuti quando si farà l’unificazione dei ruoli tra Camera e Senato” . Vedremo chi avrà ragione. Di certo c’è che la caratura politica di queste nomine e la loro inopportunità in questo momento di crisi sempre più devastante hanno accentuato , giusto o no che sia, le caratteristiche di casta.

Alla luce di tutti questi fatti incontestabili. come si fa a non pensare che la sceneggiata Renzi-Berlusconi continua.

E SCENEGGIATA SIA, QUELLA DI RENZI (con l’ausilio di Berlusconi)

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Chissà se quanto scrive Sallusti nell’editoriale di ieri su “Il Giornale”, corrisponde a verità. Vi è certo da dire che il ragionamento ha un filino di verosimiglianza. Di fatto è difficile dirlo, e ancor più difficile è farlo passare per buono attribuendo antefatti e fatti ad una figura come quella del Presidente Napolitano.

Scrive Sallusti: “Testimoni raccontano di come fu lui ad aizzare Fini contro Berlusconi promettendo al primo il posto di premier che era del secondo. Fallita per un soffio l’operazione ribaltone, Napolitano – come si racconta nel libro di Friedman – avviò consultazioni clandestine con banchieri (Bazoli e Passera) e finanzieri (De Benedetti) per preparare il colpo di stato del governo tecnico poi affidato a Monti. E c’è ancora lui dietro la scissione di Alfano che fu indispensabile per sorreggere il governo di Enrico Letta.

Tre fallimenti (Fini, Monti e Letta-Alfano) che portano la firma di Napolitano ma che soprattutto hanno portato il paese vicino alla rovina.”.

Se quanto riportato da Sallusti, ed anche da Friedman, avesse veramente fondamento, allora, a maggior ragione diventerebbe più credibile “la sceneggiata” di Renzi, il quale, ieri con la riunione di maggioranza sembra abbia voluto sottolineare, pur  se fra le righe; quella tesi, blindando la vita del Governo:

“Renzi blinda la maggioranza” titola, con soddisfazione anti-berlusconiana, il quotidiano-partito “La Repubblica”. E indica uno scenario con un patto di governo fino al 2018 tra i nove partiti che lo sostengono .Patto che prevede la  riforma elettorale con il premio di maggioranza alla lista e non più alla coalizione, un misto capolista-preferenze, la soglia di sbarramento addirittura al 3%, varo al Senato entro la fine dell’anno e alla Camera entro febbraio; sostegno allo Jobs Act, sulla delega fiscale e sulle riforme costituzionali.

Addio, quindi, al Patto del Nazareno, Silvio Berlusconi messo alla porta con il “prendere o lasciare”, ma non potrebbe prendere, e la gioiosa macchina da guerra messa in piedi dal premier via verso la vittoria perché il Pd è quotato sopra al 40%, dunque si prenderebbe subito il premio di maggioranza? Non voglio lasciarmi ingannare dalle apparenze, la realtà, secondo me, è ben diversa.

Prosegue, infatti, la sceneggiata renzian-berlusconiana con l’obiettivo di costringere Napolitano a subire le elezioni anticipate domenica 22 febbraio, rinviando le dimissioni per l’aggravarsi di una crisi economica come dimostrano tutti gli indicatori in preoccupante discesa e le previsioni delle agenzie di rating, comprese quelle Ue sul nostro Paese.

E che sceneggiata sia lo dimostra il fatto che non può reggere, al Senato, il patto di governo tra le nove sigle perché l’opposizione ovvia di Forza Italia, Lega, Grillini, unita a quella di una parte della sinistra Pd è pronta a mettere in minoranza l’Esecutivo. Che è, appunto, il passaggio voluto dal premier per giungere, in tempi brevi, alle elezioni in febbraio.

Per questo non credo abbia fatto dispiacere a Renzi sia l’attacco frontale che Massimo D’Alema gli ha fatto, ieri sera in Tv, sia l’annuncio in una intervista del “no” di Stefano Fassina alla Legge di Stabilità, definita recessiva e avventurista (“Cosi’ Renzi porta l’Italia sul Titanic”). Inoltre lo stesso Fassina ha firmato con il lettiano Boccia, Civati, Cuperlo, D’Attorre, Miotti, Rosy Bindi una lettera-appello al premier per sostanziali cambiamenti alla Legge di Stabilità e al Jobs Act con maggiori stanziamenti, almeno un miliardo e mezzo di euro in più, per il lavoro, altrimenti “le riforme senza soldi rischiano di rimanere solo buone intenzioni “ e “non sarà possibile raggiungere gli obiettivi che lo stesso presidente del consiglio si propone di centrare”.

La sinistra dem, in sostanza, scende ufficialmente sul piede di guerra e non è un caso che D’Alema si sia così esposto in una pubblica requisitoria anti-Renzi, dicendo chiaro e tondo che “la pazienza della minoranza Pd sta per finire” e “sbaglia chi pensa chi nella sinistra ci sia aria di smobilitazione. Anzi, una parte del partito potrebbe assumere un atteggiamento un po’ combattivo”. Ed ancora: “Renzi è un episodio della sinistra, non il suo punto di arrivo, la nostra storia continua”.

Il premier, quindi, –anche ammesso, ma non concesso che la sua non sia una sceneggiata- non è in grado di blindare la sua maggioranza perché se NCD accetta tutto, pur di rimanere al potere, la sinistra Dem non pare disposta a subire ancora. Gli annunzi di Fassina (che significa Bersani) e D’Alema ( che significa Cuperlo) lo dimostrano. Possibile che Renzi sia così ingenuo da andare ad uno scontro che lo vedrebbe solo perdente? Non credo proprio. Più probabile che lo faccia di proposito con un preciso obiettivo: convincere Napolitano a rimanere qualche mese e subire il voto anticipato a febbraio. Molto dipenderà, a mio avviso, se i suoi sponsor internazionali, soprattutto quelli americani, sono o no ancora al suo fianco.

 

NAPOLITANO ROMPE LE UOVA NEI PANIERI DI RENZI E BERLUSCONI

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Prima di scrivere questo pezzo ho voluto aspetta tare l’evolversi degli avvenimenti, tanti e confusi, tali da non convincere sul loro fine. Poi, mi sono reso conto che gli atteggiamenti di Renzi, altro non erano che un diversivo per sviare l’attenzione dell’opinione pubblica e dei media su fronti diversi.

Si, l’ultimatum di Renzi a Silvio Berlusconi sulla legge elettorale, è tutta una sceneggiata. Anzi, il seguito di quella iniziata dopo il Patto del Nazareno, con i due big a dire e ripetere: niente voto anticipato, nonostante l’accordo “segreto” di andarci nell’ultima settimana di febbraio. Ora, però, con lo scoop sulle dimissioni a gennaio di Napolitano da parte del neo-editorialista di “Repubblica” Stefano Folli (ex-direttore del “Corriere della Sera”, del “Sole 24 Ore”, de “La Voce Repubblicana” e un praticantato all’agenzia Asca, allora dc) quella sceneggiata non è più necessaria. E già “La Stampa di Torino” (proprietà Fiat) ha anticipato che il premier rinvierà la riforma elettorale in primavera. Il motivo è semplice: il Presidente della Repubblica non è disposto a firmare lo scioglimento anticipato delle Camere, quindi niente voto a febbraio, quando, probabilmente, scatteranno i 15 giorni di interregno con il presidente del Senato, mentre andrà avanti l’iter per giungere alla convocazione dei 1008 grandi elettori che eleggeranno il nuovo Capo dello Stato.

Matteo Renzi, quindi, si trova nel guado. Già la sceneggiata poteva convincere gli antiberlusconiani doc che vedevano con gioia la possibile rottura del Patto del Nazareno, mentre era tutta una finta. Si’, perché le dichiarazioni renziane: se Berlusconi non si decide subito, faremo la riforma elettorale con altri, condivise con forza dalla Boschi, erano basate sul nulla. Chi avrebbe potuto votare, ad esempio, il premio di maggioranza alla lista e non alla coalizione? Non certo la Lega e Salvini aveva chiaramente detto: la legge elettorale non ci interessa: Non certo Grillo che vedeva l’occasione di mettere in minoranza il premier al Senato considerata l’ostilità alla modifica da parte del Nuovo Centro Destra e, sicuramente, di una parte della minoranza Pd.

In sostanza, era tutta una pantomima per calmare le acque all’interno del Dem e di Forza Italia, giungendo alle elezioni anticipate:

  • con il varo della riforma con il premio di maggioranza alla lista , non alla coalizione, e lo sbarramento al 5% per costringere molti Ncd, oggi indecisi, a tornare alla casa madre per essere eletti, mentre, rimanendo il Senato elettivo, si ponevano le basi della “grande coalizione” sulle via dell’annunciato “partito della Nazione”, epurato di un parte degli ex-comunisti;
  • o, ipotesi più probabile, con il Consultellum, ossia quel che è rimasto dopo la sentenza della Suprema Corte che ha bocciato parti della vecchia legge elettorale ( definita Porcellum dal suo stesso autore ), rimanendo voto proporzionale, sbarramento al 4% e nessun premio di maggioranza, quindi, anche in questo caso, “grande coalizione” con quel che segue.

Giorgio Napolitano, nonostante le accorate invocazioni di Renzi: rimani, abbiamo bisogno di te, resta almeno sino a maggio quando compirai 90° anni, è stato irremovibile. E per dissipare ogni equivoco ha “filtrato” a Folli le sue intenzioni: annunzio delle dimissioni, per motivi di salute, nel messaggio di fine anno e formalizzazione a gennaio.

E se il premier giocasse lo scherzo di provocare in novembre una crisi di governo, magari costringendo Alfano ed i suoi a farla? Il Capo dello Stato, dopo le consultazioni, incaricherebbe probabilmente Giuliano Amato o il presidente del Senato Grasso di fare il nuovo governo (come un tempo si facevano quelli cosiddetti balneari), inviando nel contempo un appello ai partiti. Poi l’iter delle dimissioni che già da oggi ha aperto il gioco al massacro del toto-presidente con Renzi che non controlla una parte dei grandi elettori Dem.

Ci sono, per completare il quadro,anche gli spifferi maligni che vengono d Oltre-oceano, secondo i quali la strategia renziana non coincideva con quella di alcuni poteri forti o fortissimi e, quindi, Napolitano, che ha oggettivamente problemi di salute come testimonia il suo amico d’antica data Emanuele Macaluso, l’ha bloccata. Sono quegli stessi spifferi che annunciavano per il nostro premier un novembre di fuoco, durante il quale avrebbe rischiato molto. Uno dei motivi: non aver assecondato l’operazione di un euro forte del nord Europa ed un euro mediterraneo, svalutato al 30%, che per qualcuno potrebbe anche essere un dollaro mediterraneo sempre svalutato.

Venticelli, più recenti, dicono anche di una “battaglia” in corso negli States tra lobby potenti già proiettate nel dopo-petrolio e in lotta per il mettere. Mettete in conto che è già iniziata la campagna elettorale presidenziale, senza candidati, ma, secondo alcuni esperti, si profila uno scontro Hilary Clinton e Jed Bush con quest’ultimo favorito.

Di certo c’è che le turbolenze americane le stiamo pagando anche noi. E la recessione-stagnazione rimane e morde. Questo, il vero problema.

Sarebbe l’ora che i potenti della terra ascoltassero, prima che sia toppo tardi, Papa Francesco. Che continua ad ammonire: “stiamo vivendo la terza guerra mondiale, ma a pezzi. Ci sono sistemi economici che per sopravvivere devono fare la guerra”: “fermiamo questa pazza volontà di distruzione”, “non lasciatevi rubare la speranza”. Questa: “nessuna famiglia senza casa, nessun contadino senza terra, nessun lavoratore senza diritti, nessuna persona senza la dignità che dà il lavoro”.

giustus