REFERENDUM – IO VOTO  “NO”

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Una vera riforma sarebbe dovuto essere votata punto per punto per due scopi : il primo, perché si sarebbe spersonalizzata, come dovrebbe essere, automaticamente, solo così ci sarebbe stato il trionfo della vera democrazia, una riforma popolare decisa dal popolo sovrano. Al secondo posto metterei quella possibilità per ogni elettore di votare, mettendo la sua mente ed il suo intendere per quei quesiti che riteneva condivisibili ed avrebbe potuto votare contro quelli che riteneva ingiusti secondo il suo modo di vedere, oppure avrebbe potuto addirittura non ritirare la scheda  e votare solo quelli a cui è interessato.

Renzi ha voluto fare una prova di forza ed ora si trova con il Paese spaccato a metà con la probabilità di perdere non solo il referendum  ma addirittura il governo lasciando una economia in coma o quasi. Fuorchè,  conoscendo lo stato economico non abbia giocato la carta, “dopo di me la fine”

Be, non mi sembra una buona ragione. Io non credo assolutamente che dopo di lui il deserto, L’Italia non è la Grecia, se salta il nostro Paese non c’è Europa, se salta il banco Italia, altre economie farebbero una brutta fine, molto peggiore della nostra. Ma a questo è meglio non pensare. Di certo una cosa;io non vado a votare sotto paura: voglio esprimere il mio voto in piena libertà valutando tutti i punti di questa riforma.

Partendo dal primo punto, IL NUOVO SENATO, per il sottoscritto, accettando la soluzione Renzi, quella di diminuire il numero dei Parlamentari, la soluzione migliore sarebbe stata quella della totale abolizione. Sarebbe stato sufficiente  rimodulare il regolamento della Conferenza Stato Regioni, trasformando quell’Organismo in Conferenza (o, che dir si voglia) Stato – Istituzioni Territoriali, ottenendo così un vero tangibile risparmio di spesa, in quanto, non solo  sarebbero venuti a mancare i 335 Senatori, ma anche il personale avrebbe potuto avere un grosso taglio ed al personale del nuovo organismo si sarebbe potuto e dovuto applicare un nuovo contratto, quello del pubblico impiego. Ma, ritengo che una sforbiciata significativa si sarebbe potuta dare anche per la Camera dei Deputati: se si fosse pensato di ridurli di 200 unità, l’emanazione delle leggi avrebbe potuto avere una accelerazione non indifferente ed anche qui con un risparmio di spesa molto superiore a quello insignificante che ci viene prospettato con tanto clamore.

Come arrivare a questo tipo di riforma è abbastanza semplice: Renzi avrebbe potuto arrivarci nello stesso modo con cui è arrivato a quella attuale. Io ritengo che avrebbe trovato molte adesioni in Parlamento ed anziché farla a colpi di maggioranza sicuramente, avrebbe ottenuto il plauso del Paese.

Altra cosa non condividibile è la soppressione, toutcourt, del Titolo V. E’ giusto che lo Stato non debba rimanere bloccato nella costruzione di una autostrada che serve  a tutte le Regioni che questa attraversa, solo perché una di queste con le sue regole ambientali si oppone? Ma non è neppure giusto che un giorno qualsiasi salta fuori che ci sono scorie nucleari da smaltire e così, a caso, magari scegliendo quella più debole per economia e rappresentanza, lo Stato centrale penalizza quella regione in modo insindacabile e, tutti zitti, perché così è deciso. E’ vero che molto bello sarebbe che il cittadino di Pozzallo (estremo sud della Sicilia) ha il diritto di essere curato esattamente come quello di San Pellegrino Terme (estremo nord della Lombardia) e in questo caso andrebbe bene l’abolizione del Titolo V. Visto però che le Regioni, previste dalla Costituzione, esistono, nate dopo varie traversie ed arrivate sino alla tanto sospirata riforma Bastianini,  delle due l’una o le manteniamo magari rivedendo alcuni passaggi, oppure, piuttosto che “svuotarle” dei presupposti fondamentali, aboliamole.

Soppressione del CNEL. Male si è fatto a non abolirlo a suo tempo quando ci fu l’eliminazione degli Enti Inutili ( fine anni ottanta – inizio anni novanta), non serve a nulla ora così come non serviva a nulla allora, fatto salvo dover sostenere un presidente ex parlamentare trombato o un ex ministro prestato temporaneamente alla politica in difficoltà per mantenere la famiglia.  Punto questo che avrebbe ottenuto il massimo del plauso da parte dell’elettorato.

Si è preferito inglobare tutto in un’unica legge referendaria che prevede anche altri punti che ritengo controversi e comunque non accettabili come ad esempio l’aumento sproporzionato delle firme per la presentazione di leggi di iniziativa popolare. Mi si obietterà che, però, quelle leggi devono essere discusse, indicandone anche il periodo, che nel passato e sino ad oggi è difficile fare memoria su qualche legge popolare passata in Parlamento e sia stata emanata. Balle, i regolamenti parlamentari vengono fatti all’interno dell’organismo e si possono mutare ogni qual volta se ne ritenga necessario, è sufficiente riunire la conferenza dei capogruppo. Con le maggioranze bulgare che potrebbero saltar fuori dalla legge elettorale attualmente votata, in attesa dei risultati referendari,  chi ha la maggioranza può fare tutto, anche saltare la Costituzione.

Su tutte queste considerazioni che, ne Renzi, ne i suoi scherani, bisogna riconoscere, non si stanno risparmiando nel “battere” tutte le piazze d’Italia di dare una costante presenza in tutte le tribune radiofoniche e televisive, non hanno mai chiarito questi punti  al cittadino elettore al quale spesso si vorrebbe dare la patente dell’imbecille, il risultato finale è  uno stato palpabile di scontento che potrebbe portare ad una vittoria   del NO. In ogni caso io raccomanderei mai a chi mi legge di andare al buio, consiglio invece di leggersi quei punti che ho citato come esempio, ma non solo quelli, farsi una propria idea e non lasciarsi incantare dal canto delle sirene,  consiglio di fare una breve riflessione per valutare  e votare secondo il proprio pensiero.

Il mio, per quello che vale, è NO

Matteo Renzi vuole intimorire gli elettori per sostenere il sì

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“Dopo di me il diluvio”  è, di fatto, il leit motiv  di Matteo Renzi  per  spaventare i cittadini e sperare in una rimonta  del “sì” domenica prossima. Le tenta tutte il segretario-premier, arruolando persino il Financil Time, rendendo ancor più incandescente  questo scorcio di  campagna elettorale  per il referendum costituzionale. A nulla  è valso l’invito del Presidente Mattarella ad abbassare i toni, a tornare ad un civile confronto.

Pareva che  Renzi , dopo il colloquio al Quirinale, avesse deciso di dare il buon esempio, non imitato, per la verità, dai suoi oppositori, in particolare Grillo, Salvini e  Brunetta, mettete in conto anche parte della sinistra dem. Poi la nuova svolta (la quinta…), dopo gli inquietanti episodi  della Campania con l’”inno al clientelismo” del governatore pd De Luca  e con il “fuori onda”  anch’esso clientelare ,del senatore verdiniano  D’Anna  e, soprattutto, la bocciatura da parte della Suprema Corte dei quattro fondamentali punti della riforma della Pubblica Amministrazione firmata dalla ministra Madia.

Così il premier è tornato all’attacco di tutto e di tutti: “E’ un Paese in cui siamo bloccati…..E poi mi dicono che non debbo cambiare  le regole del V° ( il titolo quinto della Costituzione- ndr) . Siamo circondati da una burocrazia opprimente.” E tanto per smentire le stesse  fonti di Palazzo Chigi che avevano tentato di  attenuare la portata di queste dichiarazioni sostenendo che  Renzi non si riferiva alla Corte Costituzionale, ma a chi  aveva presentato il ricorso, (il governatore del Veneto Zaia)  ecco l’altra chiosa renziana: “Anche gli alti burocrati  sono contro il cambiamento, tifano per il “NO” e le loro posizioni di rendita.” Il riferimento  alla Consulta  è chiaro  , nemmeno troppo indiretto, e sarebbe interessante sapere  cosa ne pensa il presidente Mattarella che ne ha fatto parte prima di salire al Quirinale.

Ovviamente la reazione del nostro primo ministro  non si ferma qui  e  prevede   un apocalisse economica-finanziaria  se vince il “no”, specificando: “chi non è stato capace di fare le riforme non ha il diritto di bloccarci”. Ora, a parte che riforme costituzionali sono state varate nel corso degli anni  e  quella più ampia, approvata con il governo Berlusconi, fu bocciata con un referendum  sostenuto  anche  da   chi oggi è nel Pd, ossia ex-popolari, ex- democratici di sinistra ed ex- rutelliani, sorprende il concetto di democrazia che dimostra di avere il segretario-premier. Che arriva addirittura a dire: “il 4 dicembre è in gioco il futuro dell’Italia. Chi vuole un governo tecnico  che alzi le tasse come ha fatto quello di Monti vota “NO””. Chiaro riferimento  alla crisi di governo  e ad un terremoto  sui mercati  al punto da provocare  la replica proprio di Mario Monti: “ogni turbolenza sui mercati finanziari  sarebbe attribuibile  non ai risultati del referendum, ma soltanto a Renzi.” E pare la pensi così anche il ministro Dario Franceschini, che nel Pd guida una robusta pattuglia di 60 parlamentari e che, pur sostenendo il Sì, se n’è uscito, su twitter, con una battuta al vetriolo  nei confronti  del premier pronto a dimettersi se perde il referendum: “è  da irresponsabili chiamarsi fuori in caso di sconfitta.”

E’ un chiaro richiamo  da chi può essere determinante  nel congresso del Pd , dove è già stato segretario e potrebbe sostituire l’attuale, ricompattando il partito  se l’ex-sindaco di Firenze rimane a Palazzo Chigi come ha chiesto anche Silvio Berlusconi. L’interessato, però, non sembra sentire ragioni e va avanti per la sua strada, ritornando all’iniziale personalizzazione del referendum, ormai trasformato in un tentativo di plebiscito sulla sua persona, personalizzazione  che lo stesso Renzi aveva definito un errore da parte sua.  Evidentemente anche il guru americano della comunicazione, quello suggeritogli da Obama, è convinto che  sia la strada giusta da percorrere dopo la bocciatura della riforma Madia e gli inviti al clientelismo di De Luca e D’Anna  per far votare  a favore del “sì”.

Di certo anche certi virulenti attacchi da parte degli oppositori hanno convinto il premier della necessità  di replicare, sfruttando qualsiasi elemento , compresa la paura  dei risparmiatori. Ad  esempio, mi sembrano a dir poco eccessive  le accuse formulate in un seminario sul referendum, dal procuratore generale di Palermo  Roberto Scarpinato, che fece parte del pool antimafia con Falcone e Borsellino. Leggete queste significative frasi: “la riforma toglie potere al popolo  e lo consegna ai mercati finanziari……..  Ci riporta  a quando il potere  politico era concentrato  nelle mani di ristrette oligarchie, le stesse che detengono il potere economico.” Ancora più dura e lapidaria  l’affermazione del big-costituzionalista Alessandro Pace: “è un tentativo di eversione istituzionale.”

Non credo che la democrazia sia in pericolo se  vince il “Sì”  e , quindi, sono notazioni  eccessive, ma  probabilmente   si tratta di una reazione, non del tutto giustificata,  alle assurde accuse mosse  dai renziani, spesso anche con arroganza,   a chi sostiene il “NO”.  Purtroppo siamo ben lontani  da quel che lo stesso Renzi aveva detto dopo il colloquio al Quirinale: “non arrivano le cavallette  dopo il referendum. Dobbiamo andare al voto con leggerezza.”   E nei prossimi giorni gli scontri saranno sempre più feroci con un Paese, comunque   profondamente diviso in due parti .

Auguriamoci abbia ragione Silvio Berlusconi  che vede un ”dopo” per certi aspetti rassicurante.   Ha, infatti, detto: “Se vince il “NO”  è indispensabile sedersi ad un tavolo con Renzi per fare una nuova riforma ed una legge elettorale”, aggiungendo che il premier deve rimanere al suo posto.  L’interessato ha risposto no, lui se perde si dimette, non ci sarà alcun tavolo. Probabilmente è un modo per alimentare la paura  dei risparmiatori con una crisi di governo, ma sarà il Presidente della Repubblica a decidere, respingendo le eventuali dimissioni  e rinviando  il premier alle Camere  che, data nuova fiducia  a Renzi, anche con il concorso o l’astensione dei berlusconiani, rilancerebbe il tavolo del confronto, con la partecipazione, ovvia, degli altri  partiti, compresi i grillini, ai quali non dispiacerebbe una legge elettorale  proporzionale all’80% con sbarramento    del 5-8%ed il 20% di collegi uninominali  come i plenipotenziari di Forza Italia e del Pd avrebbero già concordato. E varebbe anche nel caso di una vittoria del “Sì”.

RIFORMA COSTITUZIONALE – Il “Si” farebbe risparmiare? Non ci credono neppure loro

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Siamo ormai arrivati alla resa dei conti. Proprio i conti non tornano in questo referendum che prima ci hanno voluto contrabbandare come il toccasana per quel risparmio di cui l’Italia, considerata spendacciona da una Europa gestita nel modo più gretto da una classe dirigente completamente appiattita sulla signora Merkel, ha bisogno. Perchè non tornano? Se andiamo a valutare il costo/benefici, almeno da quanto è stato sempre sostenuto da chi la legge l’ha compilata, il grande risparmio sarebbe di appena cinquantadue milioni di euro. Qualcuno mi obietterà: “e ti sembra poco?”. NO, non mi sembra poco, mi sembra ridicolo. Gli stessi fautori del Si, quelli che contano, lo ammettono,non solo direttamente, lo fanno cambiando indirizzo alla loro campagna elettorale.

Ora, i renziani tentano la carta dei mercati, ossia quella di spaventare i risparmiatori e creare timori tra tutti gli  elettori con infauste conseguenze sull’economia se vince il “NO”  al referendum costituzionale. L’obiettivo è cercare di convincere al “Sì” gli incerti  ed una parte di coloro decisi all’astensione. In questo hanno trovato sostegno nella Banca d’Italia  che  ha segnalato un allarme di volatilità finanziaria  dagli inizi di dicembre in coincidenza  della votazione.

Persino  Lorenzo, Guerrini, vice-segretario dem, ed in genere,  molto equilibrato , ha parlato di “fibrillazioni possibili dopo la Brexit, l ’elezione di Trump e l’attenzione molto forte sull’Italia”. Vi risparmio le dichiarazioni, ancora più esplicite e più negative, della Boschi e di altri big della maggioranza parlamentare  secondo i quali  se vince il “NO” è quasi un dramma.

La realtà, però, è ben diversa  ed è un coro di esperti a dirlo. Il professor Marco Onado, economista della Bocconi, sostiene, ad esempio,  che “non ci sono motivi per vedere tremare i mercati”   così come il suo collega dell’Università Cattolica, professor Francesco Doveri, non vede “ problemi per  i titoli di Stato per il paracadute azionato dalla Banca Centrale Europea”.

Anche dal settore bancario   internazionale vengono indicazioni rassicuranti ad iniziare dall’inglese Barclays, per la quale “la vittoria del “NO” non è la fine del mondo”, imitata dal Credit Suisse (“non esistono problemi sistemici”), mentre anche per la Morgan Stanley “tiene il paracadute della Bcc,quindi se vince il “NO” nessun cataclisma.”  Come corollario c’è il fatto che  41 top manager di grandi aziende italiane si sono pronunziati per il “Si”, ma quasi tutti non prevedono  una apocalisse economica se vince il “NO”, mentre la prevede, se prevale il “Si”, l’ex-ministro dell’Economia Giulio Tremonti che va giù duro con Matteo Renzi  . “ Se Renzi resta- ha detto-, con il dissesto finanziario che ha creato, con le promesse fatte, con le difficoltà che avrebbe  a tornare indietro, il rischio vero è proprio che rimanga.”

Probabilmente è un giudizio eccessivo, ma  certo non siamo in una situazione tranquilla  sia perché lo scontro con i vertici dell’Ue s’è fatto troppo duro, sia, soprattutto,  per l’aumento dello spread ( cioè il differenziale di rendimento  tra  i nostri Btp e i Bund tedeschi) che, secondo “La Repubblica” avrebbe già  dissolto un tesoretto di ben 3 miliardi e mezzo di euro e non pare ci siano speranze di recupero, anzi potrebbe andar peggio considerando l’aumento dei tassi operato dalla Fed e la politica economica annunciata da Trump.

In sostanza, l’establishment  economico-finanziario  e politico  internazionale è favorevole al “Sì”, ma non drammatizza se vince il “NO”, attualmente in testa nei sondaggi. Matteo Renzi, fiutando il vento popolare non favorevole a quello establishment  ed a chi governa, ha accentuato le polemiche con i vertici di Bruxelles   anche per recuperare   con Trump, dopo lo sconsiderato endorsement  a favore della Clinton.  Non sarà facile, però, recuperare per il segretario-premier anche perché  s’intrecciano più giochi politici e quello che  appare certo può rivelarsi fallace alla prova dei fatti. Ad iniziare, anche, dai pronunciamenti per il  “Sì”   all’interno del Pd, dove  le correnti sono numerose e già si stanno posizionando per il congresso .

Non è un caso, ad esempio, che il ministro della Giustizia Orlando, ex-giovane turco, avvicinatosi al gruppo “Sinistra e Cambiamento” guidato dal suo collega Martina e del presidente della Commissione Lavoro del Senato Cesare Damiano  ( 50 deputati e 20 senatori)  abbia detto, pur confermando il voto della corrente a favore della riforma :”se vince il “NO” si riapre la borsa interna con il risveglio della sinistra.”  E siamo sicuri che  tutti i 60 parlamentari della corrente (ritenuta in “sonno” da alcuni osservatori) del ministro Dario Franceschini  seguiranno le indicazioni del loro leader ?

La verità è che con il referendum costituzionale si gioca anche una decisiva partita  all’interno del Pd , dove se vince il “NO” non ci sarà alcuna scissione , ma si partirà all’attacco del segretario  . Per questo qualche renziano  confida di non essere certo della lealtà di  tutti coloro che, nel partito,fanno a parole campagna per il “Sì”.

Partita politica strana,quindi, quella in corso  con troppi retroscena , troppi accordi riservati per il futuro, complotti e contro-complotti  e molto non è come appare con il ricorso, talvolta, di una sceneggiata alla napoletana che può anche influire sul risultato del 4 dicembre. Di certo , qualsiasi sia il risultato del  voto , “dopo” assisteremo ad un terremoto politico, non economico. Quest’ultimo potrebbe verificarsi solo se i vertici di Bruxelles  continueranno a non vedere la realtà, continuando a seguire le indicazioni errate  di Obama, ad iniziare dalle sanzioni alla Russia, e non rendendosi conto che, lo vogliano o no, debbono fare i conti con Ronald Trump e Vladimir Putin , senza dimenticare  un grande Papa che si chiama Francesco.

Stanno rilanciando il Partito della Nazione

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Berlusconi: “solo Renzi è oggi un leader politico”)

Il sogno del Partito della Nazione non è mai tramontato nella testa di Silvio Berlusconi. Prima le sceneggiate: blocchiamo Parisi ( ma, poi, chi è costui?) il trombato ignominiosamente nella competizione milanes; il richiamo a Toti, appoggiamo Salvini ma, senza esagerare; accentuazione della battaglia per il NO al referendum, una battaglia, in un certo senso finta, fatta solo in funzione di un’arma contrattuale. Berlusconi, se solo dipendesse da lui, non farebbe cadere il governo Renzi, almeno non prima che si sia concordata una nuova legge elettorale.

Tutto questo traspare dalla sceneggiata è che i due principali dialoganti fanno finta di scontrarsi  in vista del 4 dicembre. Lo avrebbe indirettamente svelato Alfano, dicendo riservatamente ai berlusconiani che il segretario-premier era d’accordo sul fatto che si creasse un ampio centro, ovviamente alleato post-politiche con quel che resta del PD  sì da varare il partito della nazione.

L’euforia, di questi ultimi giorni, ostentata da Matteo Renzi a chi  non si rende conto della sceneggiata, ad uso e consumo di chi non conosce i retroscena. Sì perché, comunque vada il referendum del 4 dicembre, lui ritiene di rimanere ben in sella. Se vince il “Sì” è lui che guida il percorso verso il PdN, facendo un rimpasto di governo. Se, invece, vince il “NO” può dare le dimissioni, ma, o vien fatto un governo di scopo, già respinto da Lega e grillini, mentre lui rimane segretario del PD dicendosi vittima di chi non vuole il necessario cambiamento, o riprende l’incarico è si fa un governo di coalizione, iniziando il percorso verso l’obiettivo pre-fissato, percorso in questo caso guidato insieme al Cavaliere.

Direte: ma così Forza Italia rischia di spaccarsi di più, i Toti (che non mi pare comprenda molto di politica, visto che punta tutto su Salvini magari con la segreta speranza che, alla fine, lasci a lui la leadership di un inesistente centro-destra), i Romani, i Brunetta e gli ex-AN se ne andrebbero. Sì, ma dove? O non piuttosto si adeguerebbero alla nuova promettente situazione, anche in vista di probabili posti di governo? Né mi meraviglierei se la Lega si dividesse e, ad esempio, uno Zaia non seguisse l’esempio di  Flavio Tosi o, se rimanesse unita, mandasse a casa Salvini per andare in maggioranza con il Partito della Nazione. Non dimentichiamo che in Lombardia Maroni governa insieme agli alfaniani. In sostanza le varianti potrebbero essere molte  e tutte vedrebbero Matteo Renzi  premier, un Renzi “garantito” da Berlusconi presso Trump anche per le sue posizioni anti-vertici UE ed anti-austerity alla Merkel, posizioni, guarda caso,  rivendicate, in tv, da una berlusconiana doc ed un renziano doc.

C’è da aggiungere che il più bravo, nella sceneggiata, è Silvio Berlusconi che, a parole, rilancia il centrodestra con la Lega, mettendo apparentemente all’angolo (chi non è gradito dalla Lega non può fare il premier) Stefano Parisi, al quale ha dato l’incarico di unire i moderati e per il quale con i leghisti non si va da nessuna parte. Nel contempo, dinanzi ad un Salvini che si autocandida premier durante la manifestazione di Firenze, il Cavaliere non solo lo stoppa (Salvini può dire ciò che vuole,ma non è certo una piazza a fare di lui il leader del centrodestra) e richiama aspramente Toti che era andato in quella piazza a far da spalla al leader leghista. Contemporaneamente sempre Berlusconi fa trattare dal fidatissimo Gianni Letta la nuova legge elettorale proporzionale con i renziani.

E che dire del suo sodale Confalonieri che si pronunzia per il “Sì” come importanti sindaci berlusconiani e come quello di Venezia che spiega: “sono a favore di un nuovo patto Berlusconi-Renzi”? Stai a vedere che quel patto è già in funzione  per garantire, in prospettiva non lontana, quella stabilità governativa che, per il governatore della Banca Centrale europea Draghi, è indispensabile per una vera ripresa di un Paese chiamato Italia.

D’altra parte Berlusconi aveva annunciato la sua “discesa in campo” e lui stesso ha sempre sostenuto che, in questo momento, c’è un solo leader politico sullo scenario (sottinteso, ovviamente, tolto lui, se la Corte di Giustizia Europea lo rimette in sella): Matteo Renzi. Si mettano, quindi, l’animo in pace i vari aspiranti leader del centrodestra, con poche truppe e tanta presunzione, come Salvini, Meloni, Parisi e Toti.

Il Cavaliere sta imitando il rottamatore fiorentino  deluso dai politici che gli hanno voltato le spalle. Ed è stato esplicito nelle sue dichiarazioni che avallano quel che ho scritto  ossia _ si rilancia il partito della Nazione con una legge elettorale proporzionale  con un 20% di collegi uninominali ed uno sbarramento all’8%. Che ci riescano è un altro discorso anche se i venti sembrano favorevoli, vinca il sì o il no al referendum costituzionale, ma l’itinerario iniziato dentro le segrete (non tanto) stanze è questo    e la clamorosa dichiarazione berlusconiana, unita al commento di Confalonieri e l’irata reazione di Toti, lo conferma.

Merita di leggere il virgolettato di quanti detto da Berlusconi : “di leader veri nella politica di oggi ce n’è uno solo e si chiama Matteo Renzi. Un mio erede spero ci sia, anche se finora questa scelta non mi si è presentata. Avevo puntato molto su qualcuno (Alfano ndr), ma poi addirittura è passato dall’altra parte, mentre altri personaggi mi hanno deluso.”  Quindi ecco un’altra stoccata : “ fuori dalla politica, forse, di leader  ce n’è qualcuno. Purtroppo  dalla politica è stato buttato fuori” e  potrebbe sembrare un riferimento  a Bertolaso.  Di certo è una clamorosa  bocciatura agli auto-candidati premier del centrodestra al punto che Salvini ha preferito non commentare per evitare di ampliarne il già notevole eco.

A dare, invece, maggior spessore alla presa di posizione del Cavaliere ci ha pensato probabilmente il suo più carissimo amico, ossia Felice Confalonieri,  che ha detto: “Renzi è un ragazzo di 40 anni ha le qualità di Berlusconi per tanti aspetti. Non ha quelle dell’imprenditore, ma un pezzetto di storia simile a Berlusconi l’ha fatta…”.

Ovviamente a sinistra non è, certo, piaciuta la dichiarazione del Cavaliere e  già arrivano i primi attacchi al premier. Questa volta è sceso in campo un peso massimo come Romano Prodi che in una pagina di intervista ha sparato a zero su Renzi  per l’”eccesso di polemiche” con Bruxelles , definendo “sbagliato a mettere in discussione la nostra appartenenza all’Europa, anche perchè, se deve scegliere un modello anti-UE la gente opta per l’originale, non per una brutta copia.”

Prodi dimentica, però, che  ad alimentare il modello originale sono stati anche i berlusconiani  e che il Cavaliere è stato il primo a scontrarsi con Angela Merkel. Il premier anche battendo i pugni sul tavolo e minacciando di non votare il bilancio comunitario(poi si è astenuto),  avrà anche avuto l’obiettivo di qualche voto in più a favore del referendum, ma forse c’è anche un più ambizioso obiettivo . ossia il percorso verso il partito della nazione.

Che noia, che barba, che noia.

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Che noia, che barba, che noia. Vedere almeno tre volte al giorno il nostro premier in maniche di camicia, nel solito palchetto, approcciare un pubblico sempre più annoiato, lanciare i suoi proclami, le solite sparate: “ Quanto sono bello, quanto sono bravo, quanto è buono il cambiamento che vi ho preparato”, assume ogni giorno di più l’aspetto del venditore di pentole, dell’assistente di Vanna Marchi. Ogni giorno, uno, anche due a seconda di dove si trova, annuncia i suoi proclami, le sue promesse, le innovazioni che intende apportare, che sarebbe il toccasana per raggiungere quel prato celeste rappresentato dalle sue riforme scritte malamente dalla sua scherana che, per fortuna seguendo le orme del suo Capo, potrebbe andarsene al più presto. Ma, poi, i soldi dove stanno? Il Fondo Monetario Internazionale, con la sua ombra lunga, inizia a farci balenare lo spauracchio della Troika, pronta a commissariare il nostro Paese.

Tante sono le bufale che vorrebbe propinarci e che, sempre meno sono quelli disposti a credergli, ce le racconta invadendo quel reticolo dell’etere, ormai occupato interamente dal nostro fiorentino, tanto che se quelle bufale le mettessimo in produzione saremmo in grado di invadere l’intera Europa e forse di più, di nostre mozzarelle speciali. Non vi è programma, telegiornale, talk show dove non vi sia la sua presenza, lui che saltabecca da un continente all’altro e, nell’intermezzo trova il tempo per girare le regioni italiane. Su queste ultime non sempre gli va bene, i comitati di accoglienza, a parte le cariche istituzionali, non sono sempre in linea con le sue idee e, qualche bordata di fischi e di “vattene” non manca, anzi, direi che abbondano. Lui imperterrito continua.

Era stato duramente criticato per aver preso un nuovo aereo per farne “l’Air-force one Renzi”, poi vediamo che, non so, forse per giustificare l’acquisto, continua a farne largo uso. Ieri era nella nostra isola, c’è il presidente della repubblica cinese in vacanza o per affari suoi al Forte Village, e lui, prezzemolino è arrivato per annunciare che si riapriranno benefici fiscali per chi assume giovani sotto i venticinque anni nel solo meridione. Quì l’ha detta veramente grossa, che ci siano giovani disoccupati non vi è dubbio, ce ne sono pure tanti, ma, le imprese dove stanno? Poi, se qualcuno volesse intraprendere impresa, oggi in Sardegna l’unico investimento possibile è in agricoltura, però impossibile, per zappare la terra bisogna sostenere un esame e, credo che a breve istituiranno un ordine specifico, con buona pace della Ministra Madia.

Insomma, noi sardi diciamo di Renzi e ne abbiamo ben donde, ma non rincuora neppure la nostra classe dirigente. Si diceva di Pili, scarso, inefficiente, ha copiato il discorso  programmatico da quello di un suo collega. Non andava. Arriva Soru, dio ci salvi, arrogante, presuntuoso, con una base dittatoriale, non riesce a portare avanti la sua impresa, impensabile poter pretendere che amministri bene la regione. Impossibile. Vince le elezioni Cappellacci, illustre sconosciuto politicamente, cavalier servente di Berlusconi, nessuna esperienza politica ma ce la fa ad essere eletto: non fa nulla, per tutti è il solito nominato raccomandato di ferro. Cede le armi con poco onore. Viene l’attuale, vince le elezioni sulla scia di Renzi, non è stato facile candidarlo anche se era il magnifico rettore  di una università sarda, ebbene, meglio lasciar perdere, se avesse il dono della favella facile ci ritroveremmo una fotocopia di Renzi in tono minore. Non ne azzecca una. Con la sua Giunta di nominati di lusso si inventano, anticipando, in via sperimentale (si la Sardegna è sempre quella che precede le altre portando al Paese le novità) la ASL unica. Questo per risparmiare, dice Pigliaru ed il suo sodale assessore alla salute (si, proprio, “alla salute” con il bicchiere di cannonau in mano), chi vanno a cercare? considerando il quoziente di capacità sul proprio cervello, indicono una specie di gara internazionale, alla quale per sua fortuna non ha partecipato l’A.D. della Fiat, l’avrebbe sicura persa contro questo mago del manageriato che andrà a comandare sulla nostra salute provenendo dal Piemonte (che disgrazia i piemontesi per la nostra Isola!). Tre giorni per studiare la situazione, poi carta bianca e, al posto dei commissari delle ASL territoriali, si sceglie i suoi managers per insediarli al posto dei vecchi commissari. Una operazione che sfugge a molti la necessità di eliminare l’esistente per una novità che ha solo il sapore di un cambio della guardia a pro e beneficio dei nuovi, compreso il Grande Capo, di cui, per tutti, non si conoscono gli emolumenti, Si , un piccolo particolare, loro non percepiscono stipendi, quelli sono solo per le maestranze. Altro trascurabile particolare, di questi nuovi, non si sa come chiamarli, non ve ne uno sardo.

Poveri noi, cornuti e mazziati, due milioni di imbecilli, disacculturati, ignoranti e buoni a nulla. Fossi stato al posto di Pigliaru, che, evidentemente misura le capacità altrui con la sua scala di valori, avrei chiesto pure un mio sostituto. Chiedo venia, ma, se la Sardegna non ha una persona capace di gestire una ASL fosse essa pure unica e non riesce ad esprimere dei managers per ciò che riguarda le vecchie strutture, di chi può essere la colpa, se non di un rettore universitario e, quindi, professore titolare di cattedra, unito ai suoi scherani? Non sono loro che ci hanno, secondo i loro comportamento donato una classe dirigente “asina”? E, allora, cosa si deve dire?

Avevamo detto che Soru,non valeva granché; Cappellacci, un libero professionista di mezza tacca; Pili, su di lui andiamoci cauto, da solo sta facendo un buon lavoro per la nostra regione, almeno è sempre presente su tutti i problemi, anche su quelli dove dovrebbe esserci l’Istituzione Ufficiale. A questo punto ci rimane ben poco se non sperare nella misericordia di Papa Francesco, sulle sue preghiere, per riservarci un futuro migliore. Altro non possiamo aspettarci. Però, almeno una carta possiamo giocarcela, forse non riusciremo a fare scopa in sede locale, ci rimane la possibilità di liberare i canali televisivi dall’ingombro di Renzi, possiamo farlo votando, il 4 dicembre, un NO grande almeno quanto la nostra amata terra che vorremmo libera da chi ha dimostrato  e tuttora dimostra di non amarla abbastanza.

Un esempio di democrazia

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Come è mia abitudine, prima di scrivere su fatti che vado a trattare, nello specifico, della campagna/guerra tra Trump e Clinton, vado a rileggere gli articoli più significativi dei più diversi osservatori politici. In questo caso  ho trovato  di tutto. Scontri feroci, insulti, accuse infamanti, persino minacce di carcere per la campagna elettorale per la Casa Bianca.

I problemi dei cittadini sembravano addirittura dimenticati in un confronto  con ripetuti colpi bassi per mostrare l’indegnità reciproca a una così alta carica, quasi in un’autodistruzione. Se poi si aggiungono le gaffe e le battute sessiste (ma faceva parte  anche di una tecnica di comunicazione) del tycoon miliardario e dalle performance televisive come conduttore. Considerate, inoltre, la scesa a tutto campo di Barak Obama e della first lady a favore della candidata democratica con il primo a definire pericoloso Trump al punto che non gli si può affidare l’arsenale nucleare perché fuori di testa, mentre la seconda gridava ai quattro venti che era un nemico delle donne ed avrete così il quadro di una situazione che lasciava sgomenti gli osservatori e faceva temere per il futuro non solo degli States . La maggioranza delle Cancellerie, in particolare quelle UE, finiva ,così,  per parteggiare per la Clinton, che accusava Putin di favorire il tycoon anche con l’azione degli hackers russi ed era sostenuta da tutto l’establishment  occidentale sì che la sua vittoria appariva inevitabile.

Ha vinto, invece, Trump come sapete e lo ha fatto usando quello che può essere definito un linguaggio empatico e, spesso, politicamente scorretto nei confronti di molti cittadini americani, ossia dei “dimenticati”, i “forgotten men” che -ha detto appena eletto, “non saranno dimenticati”. E sono, certo, gli ultimi, per dirla alla Papa Francesco, ma anche quel ceto medio  colpito dalla crisi economica  e che si sta faticosamente risollevando, conservando la paura per il futuro  e non avendo  fiducia in un sistema che non funziona più da tempo in tutto il mondo.

Quell’establishment, che è clamorosamente fallito ignorando la realtà americana,  aveva preconizzato un’apocalisse se, per uno strano caso, avesse vinto il tycoon con i mercati  impazziti, la borsa  crollata e via dicendo. Non è accaduto nulla di tutto ciò perché proprio i mercati, dopo un primo choc con ribassi soprattutto nelle borse asiatiche, si sono immediatamente ripresi e  Wall Street ha registrato aumenti borsistici. Questo grazie alle dichiarazioni di  Ronald Trump che ha cambiato linguaggio ed a quelle commosse, di Hillary Clinton.

Il primo, infatti, non solo ha reso omaggio alla sconfitta, lodando il coraggio e quanto ha fatto per il Paese, ma anche invitando gli americani a superare le spaccature di un voto che ha diviso a metà gli States, dicendo “sarò il presidente di tutti. Repubblicani e democratici prima di tutto sono americani. E’ ora di unirci, di superare le divisioni per aiutare il Paese”. La seconda ha immediatamente riconosciuto la vittoria del rivale e, dopo aver invitato i suoi sostenitori a lottare per i valori nei quali crediamo, ha detto: ”mi sono offerta di collaborare con lui, sarà un buon presidente”. Come corollario Obama ha invitato Trump alla Casa Bianca.

Tutto questo, unito alle scuse di alcuni grandi quotidiani Usa per non aver compreso quale fosse la realtà del Paese, costituisce una grande lezione che ci viene dalla democrazia americana   che, dopo una inusitata e durissima campagna elettorale ed un voto che ha anche  confermato la maggioranza dei repubblicani a Camera e Senato, si è di nuovo mossa per superare le lacerazioni e la grave spaccatura avvenuta, confermando che i leaders  politici danno  il buon esempio per confermare quel che si è sempre detto: i cittadini prima di essere democratici o repubblicani sono americani”.

In Italia, ma, direi anche qualche personaggio che dovrebbe essere un pochino più cauto, visto che è lì a rappresentare l’Europa,  purtroppo, è una lezione che non abbiamo ancora imparato, continuando a sbagliare anche nell’analisi del voto americano, continuando a vedere in Trump, come ha fatto  un importante quotidiano, un “pifferaio”, dalla “biografia impossibile perché costellata di scandali e fallimenti e con una incompetenza conclamata”, -cosa che ormai è diventata usuale sui social dove ognuno si ritiene detentore dell’ultima e unica verità- mentre alcuni leaders di partito italiano e non individuano nel Tycoon improbabili similitudini con se stesso ed il proprio movimento. Persino Fini, lui, Gianfranco, riesumato da Tiscali Notizie, in una intervista dice: “Trump ha conquistato gli operai. E’ un outsider come Berlusconi ma trovo poche somiglianze, donne a parte”. Certo, se lo dice lui che di donne ed altro, molto si intende, c’è da credergli.

Comunque, l’uno e gli altri  sbagliano e farebbero meglio a meditare sull’Enciclica “Laudato Si’” nella quale Papa Francesco delinea quel “nuovo rinascimento” capace di  offrire precise indicazioni per sostituire un sistema che non funziona più da tempo ed esprime un establishment sempre più contestato dai “dimenticati”. Troppi e, purtroppo, in continuo aumento, specie nel nostro Paese dove la politica scellerata su una emigrazione incontrollata che fa trascurare le nostre gravi povertà, grazie a Renzi & C.

Trump:  i poteri forti non sono poi così forti

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Non mi è mai piaciuto scrivere nell’immediato di avvenimenti tanto importanti quali l’’elezione del Presidente USA. Non l’ho fatto neppure quando tutti davano per scontato un risultato che io non condividevo, non l’ho fatto allora per non essere tacciato da “bastia contrario”. Tutti, dai media agli analisti politici, ai sondaggisti. Avevano la certezza che la Clinton fosse già  dentro lo Studio Ovale della Casa Bianca, io, all’opposto sostenevo che quella certezza non era così scontata, per me il popolo statunitense non era ancora maturo  per una presidentessa, la mia convinzione era dovuta non certo a calcoli matematici, traeva la convinzione che la candidata non era l’elemento adatto per sostenere una rivoluzione ancor più grande di quella di aver eletto un presidente di colore. Ho sempre ritenuto gli americani progressisti nell’economia, conservatori nei cambiamenti istituzionali. La prova più lampante c’è stata: infatti, un uomo, solo contro tutti, anche contro il suo partito, quello repubblicano, come ho anzidetto, dato per sconfitto in partenza da tutti i sondaggi, anche quelli all’inizio delle votazioni presidenziali americane. Hillary Clinton  era la predestinata alla Casa Bianca, appoggiata persino dai Bush, forte dei 300 milioni di dollari raccolti e del sostegno della grande finanza, della grande industri, dei mass media americani e non solo, dei socialisti  e di molti governi europei, compreso il nostro. Invece ha vinto lui, il tycoon, spesso sbeffeggiato, deriso per certe sue uscite, per il suo essere fuori dal coro ed ha clamorosamente sconfitto l’establishment  che ora cerca di correre ai ripari come si vede dai messaggi augurali, c’è anche quello di un Matteo Renzi che s’era sbilanciato molto a favore della candidata democratica, incitato da Obama, il grande perdente di queste presidenziali americane perché con la first lady s’era sbracciato in una campagna elettorale a tutto campo a favore della Clinton con una strategia inusitata per un presidente uscente.
Ora, c’è imbarazzo in molte Cancellerie che avevano dato per scontato la sconfitta di Trump, unendosi al coro dei presunti vincitori, mentre festeggia Putin da sempre sostenitore del candidato repubblicano, non a caso, nel fargli gli auguri, ha detto “ora superiamo la crisi”, cioè la nuova “guerra fredda” imposta da Obama ai suoi alleati della Nato che ora dovrà rivedere, con tutta probabilità, le sue impostazioni aggressive ai confini con la Russia.
Ora, in sostanza, il mondo  non sarà più come prima e se qualcuno, negli States, faceva tifo per passare alla “guerra calda”, dovrà rassegnarsi ad un diverso clima Usa-Russia e, quindi, ad una più incisiva lotta al terrorismo ed a migliori condizioni nei rapporti tra i popoli. Non è senza significato che  il segretario di Stato vaticano, cardinal Parolin, nel fare gli auguri a  Trump abbia detto: ”ora lavori per la pace”.
Nel breve termine la reazione dei mercati, clamorosamente sconfitti, è stata rabbiosa, solo per un attimo, poi ha dovruto rassegnarsi al nuovo corso americano e commette un grave errore di valutazioni chi volesse insistere nel definire quella di Trump una vittoria del populismo. No, è qualcosa di profondamente diverso perché i tycoon s’è rivoltato, sì, contro l’ establishment, ma questo era lontano dalla realtà, distante dal vero sentire degli americani che, hanno ammesso i giornalisti del New York Times, in blocco a favore della Clinton, dicendo: siamo tutti laureati, molti anche ad Harvard, ma di quello che avviene nel Paese non sappiamo niente. Pochi osservatori, infatti, erano andati controcorrente (e noi tra questi moltissimi di noi italiani), sostenendo che Trump poteva vincere perché non parlava solo alla “pancia” dell’America, come quasi tutti sostenevano, ma alla gente, uomini e donne con i problemi della quotidianità, della sicurezza, del futuro per sé ed i propri figli, proponendo soluzioni economiche ritenute importanti da quel ceto medio devastato dalle crisi economiche e dalle classi più umili e, persino, a qualche intellettuale che non amava il candidato repubblicano, ma non voleva la Clinton alla Casa Bianca, forse perché donna, forse perché deluso da Barak Obama per i troppi gravi errori commessi a livello internazionale, e a livello interno come la riforma sanitaria che la stessa Hillary riteneva fallita e, quindi, da cambiare.

Per tutto questo anche la previsione che le minoranze fossero compatte per la Clinton s’è dimostrata infondata perché anche ispanici e afro-americani hanno contribuito alla vittoria di Trump, facendolo prevalere in Stati un tempo appannaggio dei democratici.

Certo, ora abbiamo un’America spaccata, le conseguenze del voto Usa si avranno anche in Europa  ed all’inizio non saranno positive considerato che già la premier britannica May s’è schierata con gli Stati Uniti ed il suo nuovo presidente. Mentre la Nato ed i Paesi del Golfo dovranno rivedere le loro strategie. Un fatto, comunque, appare assai probabile: ci guadagnerà la pace nel modo come ha auspicato il cardinale Parolin. E non è cosa da poco. Trump, inoltre, non è proprio quello sprovveduto descritto da molti mass media. L’ha sottolineato anche ieri notte l’ex-sindaco di New York Giuliani che ben lo conosce e gli è stato sempre a fianco. Lo conferma l’abilità con la quale s’è attirato le simpatie degli ambienti militari, dicendo che le forze armate debbono essere rafforzate perché eccessivamente indebolite dalla presidenza Obama o insistendo nel dialogo con Putin nella lotta ad un terrorismo che crea paura anche negli States. Aggiungete che i repubblicani hanno confermato la maggioranza al Senato ed al Congresso e, per taluni, potranno “frenare” gli eccessi trumpiani, ma più probabilmente troveranno un’intesa con chi li ha portati ad  una insperata riconquista della Casa Bianca.

E noi europei, direte? Forse è la scossa che ci voleva per rilanciare l’UE e, anche sulla base delle impostazioni di Trump, potremo, finalmente, trovare con gli Stati Uniti una reale partnership senza subire imposizioni come quelle di Obama ad iniziare dalle assurde sanzioni nei confronti di Mosca e dalle manovre Nato ai confini con la Russia.