Quale ruolo per l’Italia nella nuova geopolitica di Putin e  Trump?

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E’ in atto una vera rivoluzione e tutto sotto i nostri occhi. Sta cambiando il mondo, che sia in  meglio o peggio è tutto da dimostrare, ma l’intesa, già iniziata telefonicamente, tra Trump e Putin è la vera rivoluzione  e si illude chi spera che  questo costringa i Paesi dell’UE a ritrovare  unità  e, quindi, forza. Non sarà, così, perché l’accordo Russia-Usa  dividerà l’Europa, colpirà l’egemonia tedesca, fatta, troppo spesso, sulle spalle delle altre nazioni, Italia compresa, mettendo in crisi la struttura stessa di un’Unione che ormai, da troppo tempo non funziona più.

La stessa Nato dovrà, probabilmente, rivedere le sue strategie, evitando manovre ed ammassamenti di truppe americane, tedeschi e inglesi ai confini con la Russia, suscitando, comunque, ironici commenti da parte di Mosca. Le stesse assurde sanzioni anti-Putin, volute da Obama, fatte proprie dalla Merkel  e subite da noi europei a prezzo di perdite per miliardi di euro e non ampliate solo per il no renziano, avranno poca vita. La più esposta per il nuovo corso è, dunque, la Germania della Merkel alleata con i socialisti, mentre la Gran Bretagna della Brexit  sarà privilegiata  e potrebbero esserlo i Paesi europei che si affacciano sul Mediterraneo, soprattutto l’Italia, strategicamente importante  a partire dalla Sicilia, dove, guarda caso,  un miliardario putiniano è divenuto proprietario di raffinerie, e dove esistono personaggi  collegati con il clan Trump.

Non dimentichiamo che Matteo Renzi, non a caso, di nuovo sulla scena politica in posizione di rilievo, ha buoni rapporti con Putin e, pur avendo sostenuto la Clinton, è  collegato con Mikael Ledin, sostenitore e amico  del nuovo presidente  americano, e si è già riposizionato. Ad esempio ha, sì, detto di non condividere la decisione di Trump di chiudere le frontiere ad immigrati di alcuni paesi islamici, ma  ha soprattutto duramente attaccato quei leader europei che hanno criticato l’inquilino della Casa Bianca, ricordando il loro no ad aiutare l’Italia per il problema dei profughi  e, quindi, autori di una predica non accettabile da tale pulpito. Un modo intelligente, questo, per iniziare il riposizionamento internazionale, considerando che già aveva l’atout dello scontro con i vertici UE e con la Merkel, obiettivi dell’asse russo-americana.  Che  sta cambiando la geopolitica, iniziando proprio dal Medio Oriente  Mediterraneo, UE e dintorni.

Innanzitutto, dopo la telefonata con Putin, Trump, cambiando totalmente la politica di Obama, ha impegnato truppe di terra contro l’Isis  e bombardieri americani hanno colpito le stesse aeree degli aerei russi. Il primo obiettivo è, dunque, distruggere i fondamentalisti e terroristi islamici. Questo eliminerà la loro presenza anche in Libia , rendendo più agevole bloccare o, almeno, regolamentare l’afflusso degli emigranti e rifugiati in partenza dalle coste libiche, facendo respirare l’Italia.

Ovviamente la sconfitta del  Califfato dovrebbe comportare  anche la fine della tragedia siriana  anche se con lo smembramento del Paese: una parte controllata dalla Turchia, una dall’Iran ed una dalla Russia, mentre  agli Stati Uniti verrebbe dato il controllo sull’Iraq e, dunque, sui suoi pozzi petroliferi. A venir sacrificati sarebbero ancora una volta i curdi  a meno che non prevalga il buonsenso di  consentire a questo disperso e sfortunato popolo  di ritrovarsi in un’area limitata ed accettata anche da Erdogan .

Direte, ma Trump ha messo l’Iran tra gli islamici pericolosi. Sì, ma qui siamo al gioco delle tre carte perché l’intesa con Mosca presuppone una diversa politica nei confronti degli iraniani. Ed è un gioco che l’ex-tycoon sta portando avanti nei confronti della Cina . Fa  la voce grossa con Pechino , minaccia fuoco e fiamme commerciali, ma tra le prime misure ha  sfasciato l’accordo commerciale stipulato da Obama con vari Paesi proprio per isolare la Cina.  E vi sembra possibile che il cinese  Ali Baba , uno dei primi gruppi mondiali dell’e-commerce, abbia garantito investimenti massicci negli Usa tali da creare, in cinque anni, un milione di posti di lavoro  senza il consenso dei propri governanti ?

Ho l’impressione che stiamo assistendo ad una grande sceneggiata ad usum, soprattutto, di noi europei e di qualche Paese asiatico. Certo, i dettagli della nuova geopolitica mondiale sono ancora da definire  e non mi meraviglierei se, ad esempio ai cinesi, venissero lasciate anche alcune zone di influenza in Africa e, mettiamo, in una devastata Venezuela, dove si sono accaparrati tutta la produzione di stagno. Di certo, l’America Latina sarà terreno per gli Usa, mentre dovranno essere meglio definiti gli accordi per la risorse  sotto i Poli e  per lo spazio, dove le esplorazioni e le sonde hanno individuato possibili ingenti  ricchezze di tutti i tipi. Il professor Duce ha chiaramente indicato, a conclusione di un suo bellissimo libro sul colonialismo  i problemi da risolvere in questi due settori, dove hanno interessi varie nazioni ( compresa l’India) e dove la quasi assenza dei paesi della Ue è clamorosa.

Certo, non sarà semplice giungere ad assetti indispensabili per garantire la pace  oltre allo sviluppo economico e sociale nel mondo. La nuova geo-economia, anche se non ripeterà gli errori commessi dal colonialismo, non offre, infatti,  le necessarie certezze perchè  le incognite  sono ancora molte, ad iniziare da quel che potrebbe accadere negli Stati Uniti e in Europa  con reazioni oggi non prevedibili.

Sarebbe più facile pronosticare  un futuro migliore per la nostra Italia, portaerei sul Mediterraneo, se potessimo disporre  di una classe politica composta da uomini avveduti (?), capaci  di mettere all’angolo chi invoca, per interessi di bottega, elezioni  subito, invece  di affrontare le troppe emergenze, e di guardare a quel nuovo umanesimo disegnato da Papa Francesco nella sua “Laudato Sì”. E possibile non ci sia un partito politico che, invece, di prendersela con l’UE, non  rilanci, approfondendola,  la  proposta   di un euro mediterraneo svalutato al 30% rispetto a quello del Nord. Forse sarebbe  la via  per  garantire, nei nuovi assetti mondiali,  un ruolo non secondario ai Paesi europei che si affacciano  sul mare nostrum di latina memoria. Forse, ora o mai più.

ANDARE  SUBITO A VOTARE? UNA VERA FOLLIA

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Dopo tanto la montagna ha partorito il topolino. La Consulta ha “smontato” quella legge elettorale, non si sa perché sia stata chiamato Italicum e con essa  si conclude una parentesi di tre anni di governo Renzi. Il colpo di grazia al monumento all’inutilità di una politica fatta più di parole che di fatti veri.

E ora una vera follia, è la riprova  che molti degli attuali partiti, compresi quelli considerati “populisti” sono distanti anni luce dai veri interessi dei cittadini.

Va detto con estrema chiarezza, senza reticenze, perché invocare le elezioni subito, dopo la decisione della Suprema Corte, che ha bocciato l’architrave dell’Italicum, leggere il no al ballottaggio, significa ignorare la realtà dell’Italia, i troppi urgenti problemi insoluti, comprese le devastazioni, che continuano, ossia  i terremoti, le alluvioni  ed  una natura che abbiamo dissestata e ora si vendica  .

Ma è possibile che  la maggioranza dei nostri politici non si renda conto di quel che sta avvenendo,con migliaia di sfollati, di intere aree del Paese  da ricostruire, con i 3 milioni e mezzo di famiglie in povertà, compresi un milione di minorenni alla fame, mentre  i giovani italiani non intravedono un futuro anche per gli alti indici di disoccupazione?  Potrei, purtroppo, proseguire  ad elencare urgenze e sofferenze, ma i cittadini le conoscono e spesso le vivono. Per  questo ritengo sia pura follia gridare al voto subito come fanno Salvini( nel silenzio assordante di Maroni e Zaia),Meloni, Grillo, in questo sulla stessa linea di Matteo Renzi, tutti convinti che il voto anticipato li favorisca, ad esclusione del comico-politico  che fa di tutto per non vincere a livello nazionale come, probabilmente, gli viene suggerito da qualche sponsor molto più illuminato e realista di lui.

Resistono, per il momento ,alle sirene elettorali  Forza Italia, i centristi, Sel  e la sinistra dem che, con Pierluigi Bersani , ha rivendicato il no all’Italicum  ed ha preso una posizione decisa: “Ora non mi bevo una legge qualsiasi: Non c’è solo il voto,pensiamo al Paese”. Ed ha aggiunto: “E’ il Parlamento  che deve scrivere la legge elettorale …..Se lasciamo il tema alla Consulta è meglio che andiamo  a casa. Per me alle urne ci si può andare domani o fra sei mesi, ma vogliamo per una volta fare anche qualcosa per i tanti problemi? Non ci sono solo le elezioni, c’è anche la vita vera della gente.”

Chi invoca il voto cita la frase finale del comunicato della Corte Costituzionale che ha bocciato il ballottaggio   e eliminato la possibilità dei capilista bloccati di scegliersi il collegio nel caso di  essere stati eletti in più collegi: si deve decidere a sorte  come prescrive una legge elettorale del 1957 mai abrogata  Quella frase recita: “All’esito della sentenza , la legge elettorale è suscettibile di immediata applicazione”  ed è un modo elegante per togliersi dalle polemiche , dallo scontro politico in atto sul voto sì, voto no.  Ed è evidente che parole come “residuale” e “allo stato” fanno intendere che  i giudici non potevano far altro, non essendo stati investiti della questione  e, di fatto, rimandano al Parlamento di migliorare una norma non giusta come il ballottaggio. E’, probabile, che nelle motivazioni, attese per la settimana prossima, ci siano altre notazioni in proposito e, forse, anche un riferimento al fatto che ci sia una profonda disomogeneità tra la legge elettorale per la Camera e quella del Senato, rischio  richiamato più volte dal Capo dello Stato che appare contrario al voto anticipato.

Appare, altresì, singolare l’atteggiamento di coloro, Renzi in testa, avevano voluto a tutti i costi l’Italicum, approvato con tre voti di maggioranza ed a prezzo di una rottura non sanata nel Pd con le dimissioni del capogruppo Speranza.  Sostenevano, infatti, che quella legge elettorale era la migliore possibile anche perché consentiva di sapere subito chi aveva vinto le elezioni e garantiva stabilità al governo; ora, invece, vorrebbero andare al voto subito con il risultato di non avere una maggioranza nemmeno alla Camera  perché nessun schieramento –PD, Grillini, centro-destra, ammesso che esista ancora, – pare avere la possibilità di raggiungere il 40%  per il premio di maggioranza. Ed anche se lo raggiungesse potrebbe essere in minoranza al Senato. Immaginate voi  cosa accadrebbe prima di varare una maggioranza in Parlamento e,quindi, un governo  con la situazione del Paese  forse più che esplosiva.

Né  si deve ignorare che la “vistosa disomogeneità”, citata dal “Corriere della Sera”, tra sistema elettorale per la Camera e sistema per il Senato, potrebbe provocare un altro ricorso alla Suprema Corte, oggi non investita dal tema,   perché lo sbarramento per le liste sarebbe del 3% alla Camera , dove non sono ammesse coalizioni  anche per il premio di maggioranza, mentre al Senato  sono ammesse le coalizioni che hanno seggi con almeno il 20% a livello nazionale ed i partiti associati con almeno il 3% che sale all’8% per quelli non collegati.  Ho l’impressione che qui possa emergere qualcosa di incostituzionale. Credo sia quello che teme il Presidente Mattarella, oltre al rischio di ingovernabilità.

Abbiamo un governo, per quanto sbiadito, con una maggioranza nei due rami del Parlamento. Lasciamolo, quindi, lavorare  per affrontare le troppe urgenze che angosciano i cittadini, sperando che l’opposizioni accetti un sereno costruttivo confronto. Nel contempo,  deputati e senatori  si  impegnino  a varare una legge elettorale  ampiamente condivisa ed il più possibile omogenea tra le due Camere.  Sarà possibile?  Dovrebbe esserlo  se gli attuali partiti vogliono recuperare un minimo di quella credibilità che hanno perso sulla strada del non fare e, spesso, dell’incapacità.

L’Italia prepara per l’UE un nuovo Centro-Sinistra ?

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Sono destinati a ritrovarsi insieme Matteo Renzi e Silvio Berlusconi. Il primo per tornare  a Palazzo Chigi  con la certezza di rimanerci; il secondo  per avere ancora un importante ruolo politico qualunque sia la decisione della Corte di giustizia europea. Non sarà una riedizione del Patto Nazareno, ma qualcosa di più rilevante, ossia la definizione di un nuovo modello di centro-sinistra che, collegando centristi e socialisti, costituisca un antidoto al populismo  nazionalista che si sta diffondendo in Italia ed in Europa.

Nel nostro Paese, in condizioni più problematiche per la situazione internazionale, vi fu già un tentativo di preparare una simile formula con la solidarietà nazionale ed il governo  frutto dell’accordo programmatico-parlamentare DC-PCI  ideato da Aldo Moro e condiviso da  Enrico Berlinguer con il suo euro-comunismo. Lo statista pugliese pagò tale tentativo con l’uccisione da parte delle “brigate rosse”, mentre il leader della sinistra, dopo aver detto definitivamente addio a Mosca, scomparve per un improvviso colpo mortale.

Oggi, in un mondo profondamente cambiato, l’Italia potrebbe  offrire, ancora una volta, un modello positivo per l’evoluzione del sistema politico capace di garantire stabilità almeno ai maggiori Paesi dell’Ue, nonostante  gli Stati nazionali abbiano perso notevole potere, subendo quello di  strutture sovranazionali a partire dai vertici comunitari e dalla Nato. E non è escluso che, da noi, tale evoluzione non porti a quel partito della nazione  ipotizzato da Renzi come approdo dell’intesa con i moderati berlusconiani.

Di  certo c’è che, con tre poli, tutti aggirantisi nei sondaggi  di poco sopra il 30%, e con una conseguente legge elettorale proporzionale, magari con un 30% di collegi uninominali, e sbarramento pur inferiore a quello del Senato,  nessun  schieramento, con tutta probabilità, riuscirà ad ottenere la maggioranza. Da qui anche l’alibi per una iniziale grande coalizione PD-Forza Italia ed altri centristi, mettendo all’angolo grillini  e il duo Salvini-Meloni, provocando una resa di conti nella Lega con il prevalere dei governatori Zaia-Maroni. Inizialmente, sorgerebbero problemi a livello locale, ma la situazione potrebbe essere transitoria  come accadde tra democristiani e socialisti e le loro diverse alleanze locali  o per cambiamenti tra i leghisti.

Che si vada, comunque, verso una non lontana intesa PD-Forza Italia è certo   e tutto fa ritenere che si sia già trovato l’accordo sulla legge elettorale proporzionale con una percentuale di collegi uninominali. Il presidente dem  Matteo Orfini l’ha fatto comprendere , in una trasmissione televisiva, quando ha ammesso che è probabile un sistema elettorale proporzionale, rispondendo di sì alla domanda  se accetterebbe di sostenere un governo con i berlusconiani  se lo imponesse  l’esito del voto. Soprattutto, però, l’hanno dimostrato nelle due parallele interviste di ben due pagine  Matteo Renzi (“Repubblica”) e Silvio Berlusconi( “Corriere della Sera”).   Se leggete  anche un po’ dietro le righe, intendo le dichiarazioni scontate  per non  creare eccessivi malumori  nei rispettivi partiti, è chiaro  quale sia l’approdo post-voto per i due leader. In più Renzi fa anche capire che, sì, ha portato i dem nella famiglia socialista europea  e, per ora, rimane lì, ma quella famiglia è in crisi in Spagna, Francia, Germania , Gran Bretagna ed in altri Paesi, mentre negli Usa ha vinto Trump, quindi, i dem devono interrogarsi cosa sia il Pd  oggi  e cambiare, coniugando  le tradizioni e il futuro.

Se considerate che lui, il segretario, viene dalla DC come il suo vice, come il capogruppo  alla Camera, come il ministro delle Infrastrutture  Del Rio, come il ministro dei Beni Culturali Franceschini, alleato determinante per Renzi nel partito e già segretario democratico; che gli alleati determinanti Alfano-Lupi-Casini sono anch’essi ex-DC, che il braccio destro di Silvio Berlusconi, Gianni Letta, è un ex-dc, comprenderete  quali siano le vere tradizioni renziane e  come   sia più agevole il dialogo tra questi politici. Il nuovo centrosinistra, dunque, avrà più centro e meno sinistra, ammesso che queste definizioni valgano ancora,  come si sta verificando laddove i socialisti sono in crisi .

La prima prova la avremo con la legge elettorale e, poi, in Francia con le elezioni presidenziali di primavera dove si deciderà chi vince solo al secondo turno e, comunque,  non sarà un socialista. Seguirà la Germania dove l’attuale grande coalizione, guidata dalla democristiana Merkel, è l’unica che può bloccare i nascenti populismi. C’è da meravigliarsi se, in Italia, Renzi e Berlusconi intendono accordarsi? La cosa può anche non piacere ma tutto porta in quella direzione.

SARDEGNA

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L’indipendenza della nostra Isola non può essere un’utopia se si potesse raggiungerla per gradi. Io, in questo momento, mi limiterei, anzi mi accontenterei, di raggiungere una vera “autonomia”, condotta da uomini che credono nel popolo sardo, nella sua capacità di essere, di riconoscere i valori che la ispirano, capaci di fare un grande sforzo magari rinunciando a qualche posizione di privilegio personale.

Dopo aver letto queste poche considerazioni forse verrò accusato di aver scoperto la formula magica dell’“acqua calda”. Le mie intenzioni, se così vogliamo definirle, hanno solo il desiderio o meglio, l’anelito di raggiungere un obiettivo che, a mio modesto parere potrebbe essere a portata di mano ora come mai prima.

Ritengo di non poter essere smentito quando sostengo che nel Paese vi è una enorme e, forse, insanabile crisi della politica che poi, è crisi dei partiti storici. In Sardegna quella crisi è da anni elevata a potenza difficilmente quantificabile, che sfocia in uno stato di grave confusione.

Quando ci lamentiamo di avere nella nostra regione una legge elettorale che prevede uno sbarramento troppo alto (10%) poco vale, sarebbe meglio poterne fare cosa propria ed utilizzarla a favore e non a svantaggio.

Perchè tanti minuscoli partitini inneggianti all’indipendentismo? E’ una cosa questa che da moltissimi anni tento di dare una spiegazione. Quando ero molto più giovane guardavo con occhio critico l’atteggiamento di Emilio Lussu, Lui, fondatore del Partito Sardo d’Azione passare nelle file del PSI prima e nel Partito Socialista di Unità Proletaria. All’epoca mi sembrava un tradimento a quei principi che avevano ispirato l’Uomo verso quel Partito d’Azione che vedeva la Sardegna, la nostra isola libera dal tallone di una Italia ingrata che mai ha apprezzato i sacrifici del popolo sardo, che mai ha smesso di operare uno sfruttamento infame verso quella gente che, sin dall’inizio dei tempi, ha dato il suo tributo di sangue non solo nelle guerre bensì tutti i giorni attraverso lo sfruttamento del suo territorio con le miniere, con la distruzione dei suoi boschi con l’emigrazione forzata dalla necessità di sopravvivenza tutto per l’ingratitudine dello Stato Italia che collocato il popolo sardo ai suoi margini.

Solo più tardi ho capito che Lussu aveva scelto l’unica via percorribile, tentare di combattere la sua battaglia dall’interno dell’istituzione, aveva capito quanto il sardo fosse individualista, quanto fosse lontano dal voler essere davvero “indipendente”, quanto fosse più dedito alla cultura del suo orticello che cercare di fare quel fronte comune per abbattere quelle barriere che si frapponevano alla nostra vera indipendenza.

Oggi, perchè non approfittare di questa crisi politica? Lo hanno fatto in Catalogna, hanno vinto le elezioni unendosi come partito del popolo catalano. Anche li vi erano le varie fazioni ma poi vi è stato quel sussulto, l’aver capito che uniti si vince. E la nostra vicinissima Corsica? non è stata la stessa cosa? E noi? dieci, undici raggruppamenti che a voce vogliono l’indipendenza e nei fatti non riescono neppure a mettere assieme un programmino, unico, senza inutili fronzoli per poter conquistare almeno una autonomia seria, che pensi al bene della nostra terra, che mandi a casa quell’esercitino di cialtroni che pensa di governare ma che, molto probabilmente, non sa amministrare neppure nello spazio ristretto del suo personale.

Parole dure? Uno sfogo represso per tanti anni. Chiedo scusa a quei pochi che, in perfetta buonafede, conducono delle battaglie quotidiane, esponendosi a critiche pesanti, che lo fanno per tenere ancora viva la speranza di un domani diverso, non migliore ma almeno che possa essere nostro. a Quelli deve andare una parola di  gratitudine ed un appello a non smettere di credere che un giorno anche il popolo sardo possa decidere per se stesso il proprio futuro.

 

LA GESTIONE DEL DECLINO ED IL SUO ATTERRAGGIO VIOLENTO NEL 2017

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Pubblicata da un “amico” sul social per definizione, ho letto con grande interesse una analisi scritta dall’On. Pietrino Soddu su Aldo Moro in occasione del centenario della sua nascita.

Un grande personaggio che mi viene difficile poter dire di aver avuto il privilegio di averlo conosciuto. Per onor di verità devo dire che i mio primo impatto non fu tra i migliori. Era, allora, Segretario della democrazia Cristiana, quella che faceva i corsi di formazione per preparare i giovani alla vita del Partito. Alla Camilluccia, dove si teneva il corso, per la chiusura del corso venne lui, prese la parola e, con la sua voce calma, flebile ed un po cantinelante, ci tenne li, inchiodati, per circa sei ore: lui  a parlare e noi -giovani- a soffrire, lui a parlarci di valori, di sociale, di sviluppo, di progresso e noi, quasi tutti, a trattenere, soffocandolo, lo sbadiglio. La maggior parte dei partecipanti non capimmo molto di quella lezione, lui però sapeva, aveva notato le nostre distrazioni e, senza annunciare nulla, a corso terminato ci vedemmo recapitare a casa una copia di quella lezione. Questo era Aldo Moro.

Negli anni mi è capitato diverse volte di incontrarlo ma, mai di potergli parlare. Fu solo poco prima del suo “sequestro”, durante le chilometriche riunioni parlamentari che si tenevano al Gruppo della Camera per il “Compromesso storico”, Piccoli era allora Capogruppo ed io nella sua segreteria, Moro, abituato a camminare, ogni tanto usciva dalla riunione e veniva nella stanza che era adiacente alla sala del Direttivo, si intratteneva raccontando qualche aneddoto. In quei giorni ho scoperto un Moro brillante ed anche un po ridanciano. Iu uno di quei momenti un pomeriggio gli ricordai di quella lezione, mi guardò sorridendo e disse: “Sono stato cattivo con voi ma io quelle cose dovevo dirle e voi ragazzi siete state le mie vittime”.

Le sue lezioni sono tornate attuali e la sua morte ci ha indicato che era arrivato il tempo in cui era impossibile, per l’Italia Euromediterranea, gestire la continuità della rotta dei rapporti internazionali definiti dagli accordi di Yalta dal dopoguerra e, durati ed efficaci, tra alterne vicende, fino agli anni ’80.

Tale avvenimento è stato vissuto, dalle forze politiche e dalla classe dirigente del tempo, come una conseguenza delle lotte di potere interne ed ha quindi dato luogo alla formazione di una nuova  classe dirigente politica che, in vario modo, ha tentato di gestire un periodo di grandi trasformazioni internazionali con la miope visione di una lotta di potere interna.

Tale situazione  ha portato i dirigenti del tempo a gestire, col solo sguardo al consenso democratico,  in modo subalterno e spesso incomprensibile, il declino di un sistema politico e sociale che oggi ha in sé i prodromi di una decomposizione violenta.

La miopia della classe dirigente di quel tempo, ed i suoi infiniti peccati di omissione, ha portato alla formazione di quella degli ultimi 20 anni. Essa fu gravemente  colpevole per due motivi:

  •                          Perché non seppe leggere i segnali del cambiamento che già erano evidenti in alcuni fatti, tra cui i tentativi vari di golpe, i moti del 69, il ruolo della magistratura con tangentopoli e le successive crisi economiche tamponate con lo spostamento finanziario del sistema socio-economico che  prolungò, artificialmente, la durata del sistema di benessere e privilegi gestito col welfare e con la spesa ed il debito pubblico.
  •                          Perché non seppe concorrere alla formazione di una nuova classe dirigente all’altezza del compito, esprimendo solo pateticamente la coda lunga della decadenza del sistema con la  permanenza di alcuni superstiti “alieni”, raccoglitori di  piccoli privilegi, nel nuovo sistema politico.

Il combinato disposto di queste situazioni ha portato alla formazione di una classe dirigente politica, in continuo ed incomprensibile movimento, che ha gestito il declino di una situazione segnata  oggi anche da emergenze che la appesantiscono ed accelerano il declino con esiti che possono essere  violenti ed incontrollati.

Certo, ci ricorda l’On. Soddu che “mai Moro avrebbe usato parole come asfaltare, rottamare, fare i conti, non avrebbe irriso facendo diventare ogni convergenza un “inciucio”, Aldo Moro -prosegue L’On Soddu- non avrebbe mai pronunciato queste parole neppure per condannarle”.

Ma intanto il mondo va avanti e pone, nel suo procedere, continue problematiche che, se non affrontate, allontanano le persone dall’applicazione delle regole a cui adattarsi, non con paura, ma con la  speranza di ottenere  indicazioni  per  gestire il futuro.

La risposta della attuale classe dirigente a questa situazione è quella di un continuo rilancio della scelta democratica delle elezioni come risolutiva, senza spiegare come il solo cambiamento possa essere risolutivo senza i contenuti che lo accompagnano e lo giustificano.

Questa è la crisi vera che rischia di far precipitare la democrazia verso derive populiste e di violenza, come già accaduto con il referendum dove ha vinto il “NO”, che esprimeva più un’avversione, quasi inconsapevole, a tutto, quasi un rigurgito di anarchismo, senza la definizione  degli obiettivi  a cui si tende.

Il “NO” espresso espresso al referendum si è trasformato in un “NO” a questa classe dirigente, senza sapere a cosa possa servire quella futura.

Dunque questo gioco costosissimo della democrazia ripete errori del passato, spostato com’è su un valore negativo del consenso che continua ad accreditare errori le cui conseguenze sono difficilmente prevedibili.

Fermare questa deriva significa oggi dare contenuti, non alla battaglia politica, ma la necessaria  informazione sui fenomeni internazionali che determinano sempre più la nostra esistenza.

Solo così la politica potrà riscattarsi della sua inutilità ed esprimere una classe dirigente non legata solo alla gestione del consenso, attraverso modalità e strutture obsolete, ma esprimendo  una ricognizione dei  sistemi che regolano e regoleranno la società, con la progettazione delle modifiche necessarie al sistema istituzionale capaci di assecondarli.

Ci  pare difficile immaginare che questo ruolo lo possano interpretare le attuali forze politiche, ma dobbiamo contare sulla speranza che la conoscenza dei fenomeni possa contribuire a generare, nelle varie comunità locali, la consapevolezza che esse possono concorrere a questo nuovo processo, indicando i temi operativi sui quali si possono impegnare per concorrere al cambiamento, chiedendo con determinazione al sistema politico di annullare quegli “attriti” o forze negative che spesso impediscono l’insediamento locale delle novità delle azioni possibili.

Questa potrebbe essere la  stagione del “NO” a tutto ciò che frena l’insediamento del nuovo che hanno distrutto il sistema, in nome di antiche anomalie, e che oggi permangono in un dibattito politico fatto di odio e stupidità per coprire il nulla.

Occorre una forza non insediata nel vecchio sistema di gestione del declino, ma capace di una forte iniziativa nei nuovi sistemi di geopolitica che contribuiscono in modo determinante, anche se ancora conflittuale,  alla evoluzione del mondo.

Le anomalie che oggi perdurano e sono  superate dai nuovi flussi, che governano il mondo, ed incidono sulla nostra vita sono: il benessere gestito e governato con enormi spese dallo Stato che priva le Comunità Locali dell’autonomia necessaria alla loro gestione ed alla partecipazione attiva degli Utenti.

Voglio chiudere con le parole dell’On. Soddu: “Questo è quel che dice ancora a distanza di tanto tempo la voce di Aldo Moro che parla agli uomini e alle donne di questo tempo anche a quelli e a quelle  che rifiutano il passato e pensano che esso sia tutto da buttare”.

La nostalgia del passato per costruire il futuro!

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Qualche tempo fa su un social venivo ripreso perché sostenitore di quei giovani che piuttosto che piangersi addosso decidono di intraprendere lavori anche fuori dalla linea dei loro studi o lasciando il nostro Paese cercano di farsi una vita tutta loro. Nei lontani anni di scuola ci insegnavano Vico con i suoi corsi e ricorsi storici, allora sorridevamo, roba vecchia per noi nati “sotto il bel sol dell’avvenir”, poi la guerra, il fischio delle bombe ed infine scoppia la pace, un Paese distrutto sotto le macerie, bisogna rimboccarsi le maniche. La mia generazione è la seconda in linea: la prima si è rotta la schiena, noi, oggi vecchietti, abbiamo dovuto piegarla lavorando dieci dodici ore al giorno per sei giorni della settimana. Quando diciamo queste cose veniamo tacciati per coloro che sentono nostalgiLa a del passato. Ebbene si, ma, non solo noi.
Illustri filosofi, economisti,sociologi e psicologi sottolineano come,oggi, si stia affermando un senso di rifiuto del presente, la sfiducia nel futuro e, dunque, per il nuovo con l’emergere della “grande nostalgia” per il passato. Un passato nemmeno troppo lontano, mettiamo 30\40 anni addietro e tale da offrirci una vita migliore di quella odierna caratterizzata da quella società del rischio e della paura che fu disegnata da Beck. Il risultato sarebbe, per taluni osservatori, un rifugiarsi in se stessi, nel proprio particolare, in una specie di limbo conosciuto, quasi una restaurazione che finirebbe per rinnegare anche quanto di innovativo si è affermato. Tutto questo dimenticando che quel “passato prossimo” non era del tutto quell’isola felice come ci appare oggi perchè vivevamo nell’”equilibrio del terrore” col rischio di una guerra nucleare,
poi scomparsa con la caduta del “muro di Berlino”. Eravamo, comunque, più felici e si prospettava un futuro addirittura migliore, caratterizzato, nemmeno le “brigate rosse” ci impedivano di guardare con fiducia al domani. Oggi quel futuro ci ha delusi, scrive “L’Espresso“ nelle molte interessanti pagine dedicate a queste tematiche. Ed afferma che “dalla politica all’economia il nuovo ci ha tradito E lo spirito del tempo è fatto di nostalgia, retromarcia, restaurazione.” Il mondo, in sostanza, sarebbe “stanco di futuro”, quindi “avanti tutta verso il passato”, ci si rinchiude nei valori identitari, si cercano le radici ancestrali”, in sostanza “lo sguardo è rivolto alle nostre spalle.” C’è molta verità in queste sottolineature, confortate da citazioni di importanti studiosi ,ma nelle analisi manca, a mio avviso, il riferimento sia al terrorismo, sia all’emigrazione fuori controllo che genera paura del diverso e determina la lotta tra poveri anche perchè, come rileva Baricco “non abbiamo soldi per i nostri sogni” Tutto questo non porta alla necessaria integrazione di culture, ad un costruttivo dialogo tra civiltà, ad un vero ecumenismo che unisca tutte le religioni evitando la speculazione di taluni politici e improvvisati criminali califfati su “guerre di religione” non esistenti nella realtà. Molte analisi, inoltre, non rispondono alla domanda fondamentale: non siamo andati troppo avanti con il nuovismo, con la volontà di tagliare tutti i ponti con il passato, dimenticando valori determinanti per le nostre società? E non è forse vero che il sistema in cui viviamo è vecchio, superato, determinando ingiustizie, sperequazioni sempre più gravi invece di trasformarsi, di cambiare nel profondo, andando non già verso un ulteriore “nuovo“ che ci ha già tradito, ma verso quel “nuovo umanesimo” che Papa Francesco ha tratteggiato nella sua Enciclica “Laudato SI’”? Un tempo la famiglia – e cito un esempio estremamente importante – era la cellula fondamentale della società. L’abbiamo disgregata, disastrata come fosse espressione di anticaglie, di conservatorismo, se non peggio. E continuiamo ad indebolirla in vario modo ad iniziare dai continui tagli al welfare, non comprendendo che si sta prendendo una clamorosa rivincita, tornando ad essere, nonostante tutto, fondamentale anche perchè è quella che salva, economicamente, molte persone, compresi i giovani senza lavoro che rimangono in casa con i genitori o chi rimane disoccupato e riesce a dar da mangiare ai figli grazie alla pensione dei nonni, i quali oggi stanno avendo, non a caso, una funzione sempre più importante, considerando che la vita si è, per fortuna, notevolmente allungata. Dovrebbe, inlotre, far riflettere il populismo, spesso legato al nazionalismo di ritorno, che fa leva, sì, sulla paura del diverso per un voto in più , ma anche sulla difesa, spesso opportunistica, di valori ritenuti superati dal nuovissimo ed invece radicati nella coscienza dei cittadini. E non va passato sotto silenzio, come invece è avvenuto in Europa, il fatto che Vladimir Putin abbia lanciato una campagna affinchè i valori cristiani siano alla base dell’Europa e tra questi valori ha posto particolare enfasi sulla famiglia che sta rivalutando persino il presidente cinese. Questo – sia chiaro -non significa affatto rinnegare diritti acquisiti, ma, ad esempio, consentire il matrimonio tra persone dello stesso sesso, equiparandolo quindi a quello tradizionale, è davvero un diritto o una forzatura nuovista? Dobbiamo, certo, evitare che la nostalgia per il passato non si trasformi, davvero, in una restaurazione passista, ma se vogliamo tornare a costruire un futuro migliore si impone il recupero di quei valori del passato ancora validi. E sono molti e sono tutti compresi, insieme ad ulteriori importanti indicazioni di carattere socio-economico, nel “nuovo umanesimo” che un Papa venuto da lontano e con la fiducia dell’85% degli italiani propone a tutti. Credenti e non, laici e cattolici, cristiani e non.