QUANDO I NODI ARRIVANO AL PETTINE prova amministrative per Pd e  bersanian-dalemiani

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Siamo allo scioglimento dei nodi, è la prova del fuoco per gli scissionisti dem che hanno creato il Movimento  Democratici Progressisti  (MDP). Dovranno, cioè, fare una scelta non facile nel turno parziale amministrativo  dell’11 giugno. Si voterà, infatti, in  1.021 Comuni. Tra questi quattro capoluoghi di Regione /(Palermo, Genova, Catanzaro e l’Aquila) e molti altri centri importanti come Verona, Padova, Parma, Alessandria, Asti, Cuneo, Como, Monza, Piacenza, La Spezia, Pistoia, Lucca, Rieti, Frosinone,Oristano, Torre Annunziata, Lecce, Taranto. Trapani.Ho voluto citarli tutti perché danno l’idea dell’importanza di una elezione che inviterà alle urne circa 10 milioni di italiani  e già all’affluenza al voto sarà una cartina tornasole degli umori dei cittadini nei confronti di partiti con scarsissimo indice di fiducia , appena il 5%.

In questo contesto   i bersanian-dalemiani, che sabato, dall’assemblea di Napoli, faranno partire in tutta Italia i Comitati promotori,  dovranno affrontare il non facile dilemma : aiutare o no  il Pd nei Comuni? Pier Luigi Bersani, ieri sera in TV, ha messo le mani avanti non escludendo intese con gli ex-compagni-amici, ma confermando che il nodo è di non facile scioglimento. Ha, infatti,detto che il MDP  potrà fare liste  nel centro-sinistra con propri candidati   che, al secondo turno, convergano nel centrosinistra , ossia votino un dem. “Potremmo fare – ha aggiunto – liste  apparentate con candidati che condividiamo.  Potremmo, laddove non abbiamo una forza, star fuori e dir la nostra. Potremmo fare secondo le realtà locali”, cioè, sottinteso, vere e proprie alleanze con il Pd  laddove non sia estremamente renziano.

La responsabilità, comunque, non sarà poca perché non alleandosi con i dem potrebbero far vincere mettiamo i grillini o il centro-destra, ma alleandosi farebbero, in sostanza, vincere Renzi, rafforzandolo. E mi pare che la successiva sottolineatura bersaniana

–sempreché il Pd a livello locale non prenda altre strade e sempre ché si possa concordare un programma e un candidato– sia il tentativo di procurarsi un paracadute laddove i democratici-progressisti   non intendono affatto fare accordi.

Bersani, inoltre, ha inviato, sorridendo, anche un  chiaro  avviso a Gentiloni, sottolineando che, si’, il governo è di fatto una fotocopia di quello renziano anche se il premier è più gentile, più disposto al dialogo del suo precedessore, tuttavia  il Mpd , per senso di responsabilità, fa parte della maggioranza  con i suoi 50 parlamentari,quindi   dovrà essere  consultato soprattutto sulla parte economico-sociale dove hanno suggerimenti importanti da portare. Un modo elegante per dire: ci siamo anche noi, non solo gli alfaniani, anche noi siamo determinanti ed il premier deve tener presenti le nostre proposte, del tutto ignorate da Renzi nei suoi tre anni a Palazzo Chigi.

Per quel che attiene, poi, la leadership del nuovo Movimento  tutto rinviato  al  termine di un processo nel quale si discute (“ci siamo un po’ disabituati i processi nei quali si discute”, ma non sarà lui, Bersani, il capo.  “Penso –ha detto– che faremo uno della nuova generazione.” Ed a molti è parsa  un’indicazione  per Speranza  che già aveva avuto un ruolo di primo piano nel Pd  quale presidente dei deputati, carica dalla quale s’era dimesso non condividendo la linea renziana.  L’altro candidato Rossi,  infatti, è molto impegnato quale presidente della Toscana , dove ha  una vice renziana doc, trovando, comunque, il tempo per invitare chi è rimasto tra i dem a votare Orlando e, poi, per dire “ aspettiamo che  tanti ci raggiungano”.  Ossia votategli conto e,quindi, ditegli addio.

Sì, sembra proprio un grido di battaglia  dei bersanian-dalemiani che dall’ossessione berlusconiana sembrano passati all’ossessione renziana

Papa Francesco superstar – E l’Europa?

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Nei giorni scorsi scrivevo su Papa Francesco superstar che durante la sua visita a Milano ha fatto calare, sul vertice romano dei 27 capi di governo dell’Europa, la sua ombra tanto grande da oscurare e vanificare ogni sforzo degli uffici stampa politici dal tentativo di mettere in luce quello che sarebbe dovuto essere l’evento dell’anno che passa alla storia.

Quello riguardante l’Europa sarebbe dovuto essere un evento, un incontro che, nella prospettiva avrebbe dovuto lasciare tracce indelebili nella vita di milioni di persone.

Sicuramente i due eventi  – le celebrazioni dei 60 anni dell’UE a Roma, con la premessa dell’incontro con Francesco e la  conclusiva “Dichiarazione di Roma”, la visita del Papa a Milano  con il milione di persone accorse per la messa nel Parco di Monza vengono idealmente uniti dall’insegnamento e l’incoraggiamento  di un vero superleader: Papa Francesco.

Era parso che, dopo le parole rivolte dal Papa ai rappresentati delle istituzioni comunitarie venerdì scorso, il giorno dopo  fossero, come d’incanto,  svanite divisioni, contrapposizioni, difese nazionalistiche, per  ritrovare quasi un’anima antica. Quella, cioè, che spirava sempre a Roma, sempre nella sala degli Orazi e Curiazi  del Campidoglio, sessant’anni or sono, quando  6 Paesi – Italia, Francia, Germania, Belgio, Olanda e Lussemburgo-  firmarono l’atto costitutivo della Comunita Economica Europea.

Tant’è, come allora, i 27 Paesi hanno sottoscritto  il documento  “L’Europa è il nostro futuro comune “,dandosi una scadenza precisa per quella che è “una nuova fase costituente” come hanno sottolineato all’unisono il Presidente della Repubblica Mattarella ed il Presidente del Consiglio Gentiloni.

Parole, siamo ancora alle illusioni che si trasformano in speranze, ma quando queste si cambieranno in fatti concreti?

Questo è un dubbio reale, ma, questa volta si andrà avanti proprio con i “fatti concreti”? E va in questa direzione  la decisione del Presidente della Commissione Europea, il lussemburghese Jean-Claude Junker,  di mettere già al lavoro le strutture di Bruxelles che dovranno dare un contenuto ai 5 fondamentali punti  indicati nella “Dichiarazione di Roma” e presentarli all’Europarlamento, al Consiglio Europeo, alle parti sociali ed altre istituzioni   in una cosultazione che permetta  di concludere il processo costituzionale prima delle elezioni europee del 2019?

Tante bellissime parole, non solita retorica, ma precisi impegni indicati nella Dichiarazione nella quale c’era l’identikit di una nuova Europa che risponde alle speranze ed alle esigenze dei popoli; un’Europa “prospera e sostenibile che generi crescita ed occupazione”, con “una moneta unica stabile e ancora più forte”, un’Europa” sociale che tenga conto delle diversità dei sistemi nazioni e del ruolo delle parti sociali” e che “lotti contro la disoccupazione la discriminazione; l’esclusione sociale, la povertà”; un’Europa che agisce “ congiuntamente a ritmi e con intensità diversi, ma sempre procedendo nella stessa direzione… in linea con i trattati e lasciando la porta aperta a coloro che dovessero esprimere il desiderio di associarsi successivamente”; un’Europa, in cui le frontiere siano protette con una politica migratoria efficace, responsabile, sostenibile nel rispetto delle norme internazionali.”

Frasi impegnative che lasciavano ben sperare quasi tuttI coloro che le avevano sottoscritte; sembrava proprio che, a corollario di queste indicazioni, sinteticamente riportate, Francesco, lì davanti al milione di ambrosiani nel Parco di Monza,  aveva aggiunto  altri concetti, altre sollecitazioni come “l’essere disposti a credere nel futuro anche in condizioni straordinarie”, come il dovere di “abbattere  i confini”, di “scegliere le periferie”, di  riaccendere “la speranza spenta e fiacca di una società che è diventata  insensibile al dolore degli altri “, come l’avere un “cuore capace di credere nella possibilità dell’impossibile”, ossia nella capacità dell’uomo  di cambiare quello che sembra  non trasformabile. E’ anche così  che si “può cogliere la possibilità di dare all’Ue una nuova giovinezza”.

Sembrava che, ancora una volta il Papa venuto “quasi dalla fine del mondo” avesse, dato con le parole l’esempio, un positivo contributo alla costruzione di una società  realmente a misura d’uomo, quindi  al cambiamento di  un sistema  che non funziona più. Perché genera ingiustizie, profonde diseguaglianze,aumenta la  povertà e il  sottosviluppo, finendo per alimentare la violenza e gravemente indebolire la stessa democrazia.

Ebbene, Papa Francesco ha, così, avuto un ruolo di superstar nei due grandi eventi di sabato scorso a Roma e Milano,confermando  il suo carisma, la sua popolarità . E non v’ha dubbio che la celebrazione romana dei 60 anni dell’Unione Europea  abbia costituito la  sorpresa maggiore  sia per l’obiettivo successo italiano  compreso sotto il profilo dell’ordine pubblico, sia  per l’inaspettata conclusione positiva  che costituisce la migliore risposta ai populismi anche di casa nostra.

Tutto molto bello ma, c’è sempre un ma, una nube scura che appanna il sole. Quarantotto ore ed il sogno, i propositi le idee, le illusioni, spariscono attraverso la voce di uno dei Paesi cattolicissimi di questa Europa, che vorrebbe essere unica e unita ma in fondo non lo è, almeno non completamente, quando si vanno a toccare quei punti deboli come il problema dell’immigrazione, quell’Austria dimentica del documento appena firmato,  dichiarava, con la voce dello stesso firmatario, la sua indisponibilità a ricevere la sua parte di esseri umani che, per i motivi più disparati, lasciano il loro Paese nella ricerca di un mondo migliore.

Se il buon  giorno si vede dal mattino, questa è davvero la strada giusta  per  dare all’UE “un unità e una solidarietà ancora più forte”? E per rispondere all’impegno sottoscritto dai 27 leader di “dare ascolto alle preoccupazioni espresse dai nostri cittadini”? Promuovendo “un processo decisionale democratico, efficace, trasparente e risultati migliori.”?

Tra retorica e burocrazia i 60 dell’Unione Europea

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La firma di questo nuovo documento che dovrebbe vedere un rinnovamento della Comunità Europea si è svolto sotto l’oscuramento per la presenza del Papa a Milano che ha sovrastato la scena. D’altra parte vedendo con obiettività lo svolgimento delle manifestazioni, bisogna pur dire che non ha certo  entusiasmato la celebrazione di sabato, a Roma, per i 60 anni dell’Unione Europea. Diciamo che vi sono ancora troppe divisioni  tra e all’interno dei singoli Paesi; troppa burocrazia e sempre meno democrazia; eccessiva supremazia data ai mercati, ignorando drammatiche diseguaglianze, sono fatti evidenti. Come la mancanza di spirito comunitario e di  integrazione economico-sociale e politica. Tutto questo alimenta il veleno di un populismo  che non risolve i problemi, ma li aggrava e rischia di distruggere anche quel sottile filo che ancora lega i paesi europei e  può diventare solida catena se si correggono gli errori commessi e si torna a quell’Europa unita che disegnarono i nostri padri: gli Schumann, i De Gasperi, gli Adenauer e gli autori del Manifesto di Ventotene (Alterio Spinelli, Ernesto Rossi ed Ursula Hirschmann) per un’”Europa libera ed unita”.

Non è un caso che associazioni,movimenti, esponenti di organismi economici e sindacali, intellettuali di varie nazioni abbiamo organizzato due significative manifestazioni, che, per fortuna non hanno creato quei problemi di ordine pubblico che erano stati paventati, nella una “marcia per l’Europa Unita” svolta in coincidenza della celebrazione dei 60 anni dell’UE. L’obiettivo – come ha scritto Pier Virgilio Dastoli, ex-collaboratore  di Spinelli, ex-responsabile dell’Ufficio  della Commissione Europea in Italia ed oggi battagliero  presidente  del Consiglio Italiano del Movimento Europeo – è “scrivere insieme un Patto per una nuova Europa – la nostra Europa – che faccia cadere i muri, superi le diseguaglianze, garantisca il diritto di avere diritti, crei una vera cittadinanza europea”. Spiega, inoltre, Dastoli che “l’Europa deve essere terra di diritti, giustizia,uguaglianza, welfare, lavoro, cultura, innovazione, accoglienza e promozione di sviluppo sostenibile”. E, per questo, “non serve un’unione a più lentezze”, ma “più democrazia “, chiaro riferimento quell’Europa a due velocità proposta dalla Germania e tale da  provocare una dura reazione dei Paesi dell’est europeo.

La migliore risposta che si possa dare sia ai risorgenti nazionalismi ed al burocratismo di Bruxelles, sia  ai partiti populisti estremisti che, spesso, rievocano un drammatico  passato razzista e xenofobo. La manifestazione romana della firma in Campidoglio e marcia svoltasi pacificamente, vorrebbero dimostrare, che esiste un popolo europeo che vuole una vera unità continentale sulla base di quel che i nostri padri indicarono, ricostruendo i propri Paesi dalle macerie di una guerra fratricida e ponendo le basi per una pace europea che dura, per fortuna, da lungo tempo.

La speranza e che  i governanti, riuniti sabato a Roma, abbiano compreso che questo popolo è ancora maggioranza ed è il vero ed ultimo ostacolo ai populismi che tanto temono. L’auspicio è che la celebrazione di questo evento faccia uscire dalla solita retorica per affrontare i problemi nella loro reale sostanza e restituire speranza e futuro a molti milioni di donne ed uomini che vorrebbero sentirsi, davvero, cittadini europei senza, ovviamente, rinunciare alle loro identità culturali che trovano espressione nelle comuni radici cristiane citate persino da Vladimir Putin.

Tutti i 27 firmatari di questo nuovo documento, lo avranno capito? Ho  più di un dubbio, ma talvolta anche i “miracoli civili” si verificano. Non ci resta che augurarcelo.

Keller Elettromeccanica S.p.A – Mauro Pili: in solitudine per Villacidro

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Keller Meccanica S.p.A e Villacidro stanno vivendo in questi giorni la fine di un sogno, l’industria. Come molti centri della sardegna, anche la cittadina del medio campidano, aveva voluto la sua industria pilota e, sembrava di averla trovata nella Keller Meccanica S.p.A. , impresa nata per il restauro del materiale rotabile su binari.

All’impianto industrial della Keller Meccanica S.p.A e è seguito tutto un indotto che ha conseguentemente migliorato l’economia del paese. Le commesse delle Ferrovie dello Stato hanno prodotto lavoro e dato occupazione e benessere. Le privatizzazioni tra le quali le Ferrovie dello Stato, hanno dato inizio ad una crisi del settore, le commesse hanno iniziato a rallentare e , alla fine del secolo scorso l’impresa era entrata in una situazione di stallo. Nei primi mesi del 2000, importanti forze economiche intervengono per portare nuova linfa, integrando il know-how oltre ai capitali.

La nuova realtà industriale, rinnova anche la sua ragione sociale in Keller Meccanica S.p.A. ed ora, quest’ultima è al fallimento ed alla liquidazione con una vendita cosidetta “spezzatino”, cioè, in un’asta di 733 lotti della stessa industria.

Questa è l’ultima fase di un disastro economico che investe tutte le maestranze che avevano avuto, in diverse occasioni, assicurazioni per una soluzione per il grave problema lavoro che, ovviamente non investe solo le maestranze strettamente legate alla Keller ma, coinvolge tutto l’indotto ad essa collegato.

La politica in più occasioni è intervenuta, è intervenuto a più riprese il Governo e la Regione, avevano dato assicurazioni di un serio intervento per poter affidare ad altri investitori che rilevando l’azienda avrebbero garantito l’occupazione delle maestranze. Il risultato ora è disastrosamente evidente.

Nei giorni scorsi, come ultimo atto di protesta, l’On. Mauro Pili, che nel tempo aveva presentato varie interpellanze, interrogazioni ed interventi verbali presso gli organi del Governo, come estremo tentativo ha deciso di incatenarsi presso il cancello dello stabilimento della Keller Meccanica S.p.A.

Ed è di oggi la notizia che dopo ciò ha ottenuto il blocco dell’asta online sulla svendita della Keller Meccanica S.p.A.

Scrive sul suo profilo Facebook il deputato di Unidos Mauro PILI:

“Dopo la mia denuncia sulla svendita della Keller a pezzi, il sito online internazionale ha bloccato l’asta. Lo ha fatto con un nota formale che comunica l’intervento del tribunale fallimentare che ha dato lo stop alla vendita”

Viene spontaneo pensare che un parlamentare, solo e solo lui debba intervenire così pesantemente per richiamare ancora l’indifferenza di una Regione che lascia sbigottiti per la sua noncuranza sui casi che toccano i lavoratori, di un Governo che si fa vivo e apparentemente, sollecito solo quando vi è da prendere qualche voto, poi, chiacchiere e il silenzio. Ma, più di tutti, meraviglia l’assenza, non dei partiti nazionali, bensì di quelli che vorrebbero rappresentare la volontà di indipendenza di questo territorio, dimenticando le sofferenze dei suoi figli. Sarebbe stato bello se assieme a UNIDOS vi fossero, attaccati a quella stessa catena, i rappresentanti dei cosiddetti sardisti, dei rossomori, e di tutti quei rivoli e rivoletti che si rifanno ad una idea di indipendenza e non sanno neppure sfruttare, se non per raccogliere qualche briciola lasciata cadere da quel potere centrale che vorrebbero debellare dalla Sardegna.

Non so se si rendono conto costoro quanto sia’ veramente una vergognoso aver lasciato solo Mauro Pili. C’è solo da augurarsi che qualcuno si svegli da quel torpore e, oltre la suo orticello, pensi al bene della Sardegna e dei suoi figli.

ANTONIO APPEDDU: “MAURO PILI E’, OGGI, LA POLITICA IN SAREGNA”

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Chi è Antonio Appeddu: dottore agronomo, docente in materie Tecniche e Scientifiche, libero professionista, esperto nei problemi degli Enti Locali, è stato direttore generale delle Provincie di Sassari e Olbia Tempio. Ma, anche politico, consigliere comunale ad olbia, assessore all’urbanistica, presidente della Comunità Montana “Riviera di Gallura”.  Ora è coordinatore del Movimento UNIDOS di Mauro Pili e, assieme a tanti altri vuole battersi per una Sardegna migliore che faccia valere le sue potenzialità, che sia lasciata progredire con le sue forze, con la schiena dritta e senza condizionamenti. Fra l’altro, nella nostra chiacchierata ha voluto spiegarmi questo, quale politica e lo ha fatto senza alcuna presunzione, con la semplicità che gli è propria. La parola a lui:

La tua politica ha subito un lungo percorso seguito da molti in questi ultimi venti anni. Da quello che è dato sapere, da una partenza vicino alla Democrazia Cristiana, al Partito Popolare a Forza Italia. Perché ora Unidos ?

Unidos costituisce un’intuizione nobile di Mauro Pili, che io ho letto come costruzione di una moderna casa politica per i sardi che vogliono impegnarsi in politica con i linguaggi più rispondenti alle emergenze sociali, culturali ed economiche del momento. Mauro Pili, avviando il progetto politico di UNIDOS, ha consentito ai sardi di buona volontà di disporre di un incubatore politico moderno e autorevole, grazie al quale portare in primo piano le grandi questioni irrisolte in Sardegna e nel quale elaborare le soluzioni politiche migliori per l’intera comunità sarda. In un certo senso, con UNIDOS le politiche per la Sardegna escono nettamente dall’area ristretta della territorialità per diventare questioni politiche di area vasta. Una Sardegna viva, attiva, protagonista, non può limitarsi a guardare solo allo spazio insulare: deve rapportarsi con tutto ciò che le sta attorno e che può rappresentare opportunità di dialogo, di scambio culturale, sociale ed economico. L’indipendenza della Sardegna va perseguita anche iniziando ad agire con maggiore autorevolezza anche su altri tavoli, avendo ben chiara la collocazione fisica della Sardegna nel Mediterraneo e comprendendo che, nell’era di internet, ci si può rapportare ad altre comunità anche senza viaggiare. Torna comodo alla politica romana il poter contare su una dirigenza politica sarda sempre al balcone ad attendere che arrivi s’istranzu di turno, magari con un carico di promesse per il popolo e qualche concreto cadeau per i proconsoli isolani.

Da quella tragica alluvione di Olbia nel 2013, hai sempre sostenuto che sia stata una tragedia annunciata e, per la successiva soluzione ha sempre e con forza avversato il “Piano Mancini” esprimendo disappunto per la sua realizzazione forzata voluta dall’Assessore regionale Maninchedda. La tua è avversione politica o tecnica ?

La mia è un’avversione meramente tecnica. Io non mi innamoro mai delle soluzioni per partito preso: ho l’abitudine di valutare ciò che mi viene proposto. Da cittadino olbiese non posso essere d’accordo con un progetto che vuole allestire un sistema di dighe periurbane collegato alla rete dei canali che attraversano la città. Già solo sul piano urbanistico e del disegno della città intravedo tante forzature e molti scempi sul tessuto urbano cittadino. In una stagione in cui tutte le comunità cercano di salvaguardare la conformazione della loro città, noi dovremmo stravolgerla. E perché? Semplicemente perché non si ha il buon senso di tornare indietro! Noi non abitiamo nel deserto: viviamo all’interno di uno spazio urbano che avrà anche dei disvalori, ma è il nostro spazio urbano. E non è ammissibile che venga assoggettato ad una trasformazione di stampo napoleonico solo perché le formule utilizzate per fare i calcoli idraulici sono corrette. Sappiamo benissimo che la soluzione ad un problema tecnico non è quasi mai unica. In questo caso, comunque, non lo è e l’ipotesi di allontanare le acque in eccesso dall’area urbana olbiese, attraverso un canale scolmatore appare come quella più adatta ad evitare che la città si allaghi. Inoltre, a margine di questo ragionamento, mi consenta di dire che una buona parte del problema si potrebbe risolvere anche con interventi sui suoli e sui soprassuoli della piana olbiana e delle pendici che la bordano. In questo senso, sarebbe molto utile avviare un piano di sistemazione idraulico-forestale del bacino imbrifero e una discreta parte del rischio verrebbe eliminato. Ma per fare ciò ci vuole anche un’adeguata conoscenza dei problemi idraulico/forestali e, oggi, non c’è molta propensione a valorizzare le competenze degli agronomi e dei forestali in questo campo.

Cittadino di quel Movimento ci vuoi dire il motivo? Quella di Balata, alleato in campagna elettorale è stata una “fuga in avanti”?

In campagna elettorale, abbiamo lavorato con convinzione alla costituzione del polo Mi sono più volte chiesto” perché Unidos è fuori dall’Amministrazione Nizzi ? Come responsabile identitario olbiese. Fra gli accordi presi, c’era anche quello di non fare accordi con partiti italiani. Lo stesso accordo era stato sancito in occasione del patto col movimento L’Altra Olbia. Noi siamo stati coerenti con ciò che abbiamo detto, in ossequio al principio che la prima verifica di serietà della politica consiste nel rendere coerenti le cose che si fanno con quelle che si dicono. E diversamente non può essere per partiti e movimenti identitari che fanno della cultura sarda la base delle loro politiche: i sardi sono noti dovunque perché mantengono la parola data. E noi l’abbiamo mantenuta.

Antonio, Sardegna: il sogno di “Indipendenza”  o una reale , vera “Autonomia”? Catalogna e Corsica possono dirci qualcosa?

Il sogno dell’indipendenza, per i sardi, col tempo diventerà sempre più realistico. Non solo per il rinforzarsi, nella nostra coscienza, dello spirito indipendentista, ma anche perché in tutta l’Europa le comunità nazionali (corsa, catalana, scozzese, basca, etc.) iniziano con sempre maggiore forza  rivendicare la loro indipendenza con le ragioni della loro storia e della loro cultura. Noi sardi, credo in tempi molto brevi, saremo chiamati a decidere se possiamo continuare a stare sotto il tacco dello stato italiano o se dobbiamo iniziare ad emanciparsi ed a camminare per conto nostro nel cammino della storia. In questa logica, sia la Corsica che la Catalogna stanno indicando al mondo, ed anche a noi sardi, che un popolo, se si convince di rendersi indipendente, non può essere ingabbiato in ambiti statali che non riconosce come propri.

Vuoi spiegarci Mauro Pili?

Mauro Pili è, oggi, la politica in Sardegna. La incarna compiutamente, atteso che ha deciso, da diversi anni, di dedicarsi a tempo pieno alla difesa dei sardi e della nostra terra sapendo che avrebbe dovuto combattere una guerra perpetua. Se i sardi non avessero Mauro Pili nel parlamento romano saprebbero un decimo di quello che la politica di centrodestra e centrosinistra ordisce in danno della Sardegna. Ad esempio, mai avrebbero saputo che il governo stava regalando alla Francia un bel pezzo di mare sardo; sarebbe passata inosservata la questione degli espropri delle aziende agricole a Decimoputzu per far spazio al fotovoltaico degli “amici degli amici”; non ci saremmo accori che in Sardegna, durante le esercitazioni militari nei poligoni, si bombardano le spiagge, i monumenti, le rocce. Ma Mauro Pili non è solo un politico che denuncia e che si oppone: è anche un intelligente programmatore ed un attento osservatore. Quando invita i sardi a sostenere i progetti di valorizzazione dei beni archeologici e storici della Sardegna, indica ai sardi una concreta ed importante strada per lo sviluppo duraturo della nostra cultura e della nostra economia. Quando elabora soluzioni ai problemi dei trasporti, dimostra di avere una visione prospettica delle grandi questioni nazionali sarde. Io credo che i sardi abbiano molto da guadagnare da un impegno diretto di Mauro Pili nella conduzione delle vicende politiche ed amministrative sarde. Senza voler sminuire alcuno, credo che Mauro sia l’uomo giusto per risollevare le sorti della gente sarda e della nostra terra.

La politica nazionale nel suo contesto: una analisi ed una proiezione sulla nostra regione e quale influenza nella nostra vita quotidiana.

Mi pare che la politica italiana versi in uno stato di profonda debolezza. D’altronde, una crisi così stringente come quella attuale non può non derivare, almeno in buona parte, dall’assenza di politiche governative efficaci. Non esiste, oggi, settore della società italiana che non debba fare i conti con le stranezze di questo riformismo da cabaret a cui si sono ispirati gli ultimi governi. E’ sufficiente guardare a tutti i progetti di riforma adottati negli ultimi anni per comprendere che le riforme non si fanno per risolvere i problemi di tutti ma solo per rinforzare i privilegi di pochi. Non c’è bisogno di impegnarsi in analisi tecniche sui provvedimenti: i loro esiti sono evidenti a tutti: i poveri e i disoccupati che crescono costantemente di numero, la scuola sempre in crisi per assenza di idonee politiche governative, la giustizia utilizzata periodicamente come campo di battaglia fra gruppi rivali, il costo della vita che cresce costantemente, il gruppo di persone prossime al potere che si arricchiscono sempre di più, e così via, sono sintomi innegabili di una politica autoreferenziale, che guarda solo a sé stessa e che si autolegittima per darsi coraggio. Ma è una politica dannosa, per i cittadini e per sé stessa, atteso che, senza tema di smentita, si può sostenere che una buona parte di quanti siedono in parlamento non dovrebbe stare manco in un comitato di quartiere.

Mi chiedi, inoltre, come riverbera la politica italiana in Sardegna. Male, molto male, ti dico. Una certa tendenza a praticare quella che io chiamo la politica della bacchetta magica, è frutto dello spirito di emulazione di certa classe politica sarda nei confronti dei leaders italiani. Inoltre, trovo veramente pericolosa la tendenza della regione a fare proprie tutte le metodologie programmatorie statali. Ad esempio, in Sardegna la “centralizzazione” è diventata un totem. Troppe province, troppe autorità portuali, troppe asl, troppo di tutto: addirittura c’è chi dice “troppi comuni”. Ma con questa filosofia programmatica, la Sardegna si spopola nelle aree interne, con danni gravissimi per gli uomini e per i territori. E da chi la copiano, questa filosofia, coloro che fanno regole e programmi a Cagliari in viale Trento, se non dalle menti illuminate che agiscono in parlamento?

Il nostro futuro: industria, turismo, agricoltura?

Il futuro della Sardegna, di sicuro, non potrà fare a meno di valorizzare queste risorse. Un’agricoltura attiva, ben radicata nel territorio, capace di valorizzare le inclinazioni naturali della Sardegna, ben collegata al comparto turistico per attivare le possibili sinergie ed un’industria coerente con le risorse naturali, culturali e professionali della Sardegna; possono essere le basi di uno sviluppo economico a misura di Sardegna. Come dicevo in apertura, però, sarà necessario allestire progetti di sviluppo territoriale nelle attività di prossima generazione. Tutte le società che si evolvono con saggezza mettono insieme su connottu con la percezione e la comprensione di ciò che sta arrivando. In questo senso, però, sono oltremodo ottimista, perché vedo che in Sardegna, nonostante la crisi e nonostante qualche cacadubbi, sta emergendo una generazione di giovani sardi capaci di affrontare queste sfide a testa alta e con la sicurezza di chi sa che potrà essere vero protagonista nel futuro. Di un futuro dove dirsi sardo sarà un punto di onore.

 

TRUMP: DAL 1972 AL 2017 UN NUOVO WATERGATE?

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Le accuse dirette di Trump a Obama ricordano tanto quel clamoroso scandalo che coinvolse il Partito Repubblicano e mise sotto accusa il Presidente Richard Nixon che, per evitare l’impeachment, dovette dimettersi. Anche allora si trattò di intercettazioni telefoniche predisposte sul quartier generale del Partito Democratico durante la campagna elettorale e a scoprirlo furono due giornalisti. Ora a denunciare questo nuovo watergate è direttamente il Presidente in carica, contro il suo predecessore.

Azzardare una ipotesi di colpevolezza o di discolpa non è prudente. Di fatto vi è solo da dire che la presidenza Trump si sta attestando e, dal guanto di velluto usato nel discorso al Parlamento americano, usato dal Presidente, si passa, di punto in bianco al macete ed ancor peggio.

Il nuovo Presidente americano deve consolidare la sua posizione su più fronti, quello interno, dove non si ricordano contestazioni di piazza contro un presidente appena eletto; verso l’esterno, dove anche alcuni alleati storici degli States, se non ostili, rimangono, quanto meno, guardinghi. In questo contesto si aggiunge pure la micro-nazione della Corea del Nord, che approfittando di un apparente stato di debolezza, continua a “sperimentare” razzi per mostrare i muscoli verso il suo nemico storico, il Giappone, per far intendere che anche agli USA che loro possono arrivare ovunque. È di oggi che hanno annunciato un ulteriore lancio verso il mar del Giappone dove hanno ammarato a circa trecento miglia da terra.

In questo stato di pseudo confusione, rimane il fatto che la geopolitica del mondo sta cambiando e questo avviene, dobbiamo prenderne atto, senza la presenza dell’Europa  anche se   personaggi italiani partecipano al nuovo corso, alimentando la speranza che questa nostra Italia, non troppo amata dai vertici di Bruxelles, possa svolgere un ruolo positivo per il suo essere una porterei in quel Mediterraneo che, per nostra fortuna, interessa molto sia a Putin, sia a Trump destinati a collaborare tra loro.

Non so se i molti italo-americani che collaborano con lui abbiano ricordato a Donald Trump il motto latino “se vuoi la pace prepara la guerra”. E’ certo, però, che il presidente Usa abbia deciso i 50 miliardi di dollari  per il riarmo anche e, forse, soprattutto a fini interni.

Non vi è alcun dubbio che tutto sia per rispondere alle promesse fatte a quei 20 generali  che lo avevano ufficialmente  sostenuto nella campagna presidenziale; ed anche perché Obama non aveva alcun modo soddisfatto le esigenze di ammodernamento del potenziale bellico americano dinnanzi  a quanto, invece, fatto da russi e cinesi, oltre all’aggressività, non si sa quanto realmente pericolosa del dittatore nordcoreano.

Vi è da dire che il cospicuo stanziamento diretto ai militari è tale da creare posti di lavoro, come promesso nella campagna elettorale, e da contribuire ad un ulteriore sviluppo tecnologico, non escludendo la ricerca  per quell’industria 4.0 capace di conciliare robot e impiego di mano d’opera umana.

Sono queste le motivazioni che Donald Trump potrà, se lo vuole, pubblicamente  rivendicare anche per risalire nel tasso di popolarità, ma, secondo qualche agenzia molto accreditata d’oltreoceano, esiste un quarto delicato elemento alla base di quei 50 miliardi di dollari da spendere per l’apparato militare, ossia coprirsi le spalle dinnanzi a quella che ritiene preconcetta ostilità, neppure molto mascherata, soprattutto di Cia ed Fbi. Ed è un’ ‘ostilità pericolosa sotto vari aspetti, compreso quello di remare contro il presidente   al punto da valutare, in ogni momento, la possibilità di  chiedere l’impeachment.  In sostanza, al di là del possibile ruolo di una NSA che alla fine dovrà essere al minimo neutrale anche perché direttamente controllata dal segretario di Stato, la potente intelligence delle varie armi fa da contrappeso  positivo .

Comunque sia l’operazione messa in atto da Trump  può aumentare le critiche  di certi ambienti europei  che erano eccessivamente proiettati a favore della Clinton e con i pacifisti per partito preso, ma sullo scacchiere americano ha i caratteri della genialità visto che può coprire quattro diversi ed importanti obiettivi.

Si dirà: esistono, però, le reazione negative di Mosca con la quale il presidente americano intende trovare un’intesa. A parte che, sino ad oggi, gli unici commenti negativi sono dal presidente della commissione Difesa della Duma, non certo un esponente di rilievo, ma anche se ne ve ne fossero risponderebbero  al dovere di dare fumo negli occhi  sia  a fini interni, sia per non allarmare i partner economici dei due Stati.

POLITICA E  ROBOT COSTITUISCONO DAVVERO UN PERICOLO PER LA SOCIETA’ E LE ISTITUZIONI?

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Forse per mancanza di argomenti, visto che la politica è entrata in una fase stagnante dal momento che la scissione nel PD si è consumata, le primarie e il congresso ormai è stato deciso, Renzi ha sicuramente il suo pensare tra la politica e l’amor paterno, l’Italia può anche pensare ad altro. Vi sarebbe ancora da guardare nell’orticello vicino, dove l’argomento è fermo al Zaia si Zaia no, oppure, il listone che propongono i signori della destra avanzata di Salvini e Meloni con l’auspicio di Toti che già si intravvede delfino e non non è neppure sardina.

Vi sarebbe tanto da dire sul vecchio Berlusconi e non mi riferisco all’affaire Milan per il quale sembra sia saltato tutto per mancanza di moneta. Mi viene da pensare che in fondo, Berlusconi qualcosa ci ha guadagnato comunque vada, un folto gruppo di cinesi di importazione, milanesi di adozione che nella fase delle trattative, sono diventati accaniti supporter della squadra, tutti in fila allo stadio a gridare “Forza Milan”.

In effetti nel campo Berlusconi qualche novità vi sarebbe: l’idea di lanciare Zaia per la premiership nazionale andrebbe a coprire la perenne ambizione del Silvio che si sente ancora abbastanza giovane per rinunciare, pur sapendo che le probabilità di una decisione della Corte di Giustizia di Bruxelles stia slittando a tempi più lontani del previsto, rimane quel che qualche spiffero sta facendo, pur con molta cautela, circolare, cioè: starebbe maturando la possibilità che il Quirinale, il Presidente Mattarella, si accingerebbe a concedere la grazia, in forza dei benefici che potrebbe trarne il Paese in virtù del ruolo che Berlusconi sarebbe nelle condizioni di giocare grazie alla sua amicizia con Putin e Trump. Chi vivrà vedrà, se son rose fioriranno, d’altra parte, chi trova un amico, trova un tesoro.

Ad ogni modo, l’argomento del giorno, nelle sfere dell’alta politica sono i Robot croce e delizia per noi umani. Croce perché, secondo alcuni, provocano  gravi problemi sul piano sociale ed istituzionale; delizia perché rendono meno pesanti le nostre fatiche lavorative e migliorano, sotto vari aspetti, la nostra vita.

I catastrofisti chiedono immediati provvedimenti per evitare che i robot, determinando alti tassi di disoccupazione, finiscano per scardinare la nostra società, facendo fallire gli stessi Stati. In sostanza, diminuendo fortemente il numero dei contribuenti crollerebbero le entrate fiscali, i governi non avrebbero, quindi, risorse, addio alle opere pubbliche, addio alle pensioni, addio alla sanità pubblica e così via con una devastazione che porta a distruzioni di massa.

Un allarme del genere è stato  lanciato addirittura da Bill Gates, il fondatore di Microsoft, alla Conferenza della sicurezza di Monaco. Ha detto  che i robot determineranno una gigantesca disoccupazione, questo determina “ una mancata fiscalità”  con  conseguenze  disastrose. Per questo  tale mancanza va “recuperata tassando il robot, le aziende che lo costruiscono e quelle che lo installano, per destinarla ai sussidi” della grande massa di disoccupati”.  Pare lapalissiano, quasi la scoperta dell’araba fenice, ma non è così, non è la strada giusta  che la politica deve trovare  perché  invece di risolvere un problema importantissimo lo si aggraverebbe  finendo per danneggiare  il progresso tecnologico e, soprattutto, per creare più disoccupazione.    Mi pare,quindi, abbia ragione la Gabanelli quando, sul “Corriere della Sera” sostiene che si deve partire da un’assioma: la “ robatica si produce perché crea valore” e “se un’azienda sostituisce 50 dipendenti con un robot avrà più utili  e su quelli dovrà pagare le tasse.” Inoltre, risparmiando sul costo del lavoro “i prodotti o i servizi  saranno venduti a un prezzo più basso , con vantaggio per tutti:”   In sostanza, non si deve tassare la tecnologia che produce ricchezza, ma la ricchezza stessa.

Negli anni Ottanta – ricorda la Gabanelli – quando i pc ed i relativi software “cancellarono milioni di impiegati” c’erano gli stessi timori di oggi, “ma a distanza di anni si è visto che, essendosi creata la necessità di nuove competenze i posti di lavoro hanno superato quelli perduti.”

Tassare la ricchezza , così, è una strada da percorrere  e proprio Microsoft come Apple, Google , Oracle e Cisco potrebbero riportare nelle rispettive patrie, pagando le imposte, gli ingenti capitali messi al riparo  nei paradisi fiscali. Ossia le “grandi  compagnie dell’Hi-tech  dovrebbero – sottolinea la giornalista – pagare il dovuto  dove realizzano i loro profitti” sì da incrementare i sussidi  per i lavoratori rimasti a spasso per le tecnologie. E altre moltissime risorse per le politiche di sostegno,  gli Stati dovrebbero recuperare dall’ingente evasione fiscale.

Ovviamente, si deve, nel contempo, portare avanti la ricerca per ulteriori sviluppi dell’industria 4.0 capaci di determinare occupazione ed anche qui dipende dalle istituzioni adottare le necessarie iniziative ed innovazioni.

Rimane certo che i robot, almeno sotto questo profilo, non sono un pericolo, possono diventarlo per nostra responsabilità, mentre essi   sostituiscono sempre più l’uomo nei lavori usuranti e pericolosi, possono aiutare  nell’”assistenza a persone anziane e disabili”, nel migliorare la sanità, a renderci, in sostanza, migliore la vita.

E va, infine, sempre considerato  che ci sono lavori  e attività nelle quali la robotica  non potrà mai fare la parte dell’essere umano  e che  tutti  i progressi della tecnologia hanno alla  base  l’uomo, la sua creatività, la sua essenza di materia , di anima, di energia .