BERNARDINO: LA MORTE DI UN BASTIMENTO – LA DELICATEZZA DELLE RUSPE

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Una morte ingloriosa dopo una vita piena di avventure, una vecchiaia incolore come tante, l’agonia ed una morte cruenta. Cronaca nera, più nera non si può. 

Stiamo parlando di un reperto che, per qualcuno storico, per altri semplicemente un relitto: massì atteniamoci al dialetto teresino: “un rilogghju”. Peccato che a considerarlo tale sia stato chi, per elezione, avrebbe dovuto essere abbastanza illuminato per capirne il valore storico. Peccato che, casualmente, sia stato io il primo ad imbarcarsi in questa storia, il sottoscritto che, quando fece la scelta di scendere dall’alta collina verso il mare ebbe l’illuminazione di innamorarsi dei posti meravigliosi del territorio teresino e, rimanendo nel tema, prendere moglie per rafforzare quel legame con quella terra. 

Sarà stato il caso, oppure il fato, ma, sempre il sottoscritto, ebbe la fortuna di entrare a far parte di quella famiglia che era, è e rimane legata alla vita di tante barche (così le sentivo chiamare) che, sin dopo la guerra solcavano, a vele spiegate, il Tirreno, trasportando tutto quanto serviva per la crescita e lo sviluppo del proprio paese. Si, il Bernardino era l’ultima di queste barche e non il residuo, bensì l’orgoglio non solo dell’armatore Giovanni Maria Sposito, Ziu Biriu, con i figli -il maggiore Peppino che la ha portata anche al centro del Mediterraneo- di tutta la famiglia Sposito.

Sono queste cose che mi hanno spinto ad esprimere un dolore quasi personale, come se quella ruspa infame stesse colpendo le mie carni, un dolore lancinante, credetemi, nulla a che vedere con quella delicatezza che impropriamente vorrebbero farci credere ci sia stata nel prendere decisioni così cruente. Ma, le mie sono considerazioni di un importato, che nulla a che vedere con le origini di questo giovane paese che potrebbe avere una storia antichissima ma che, almeno nelle espressioni che attualmente lo rappresentano, poco riconoscono certi valori che potrebbero almeno farne la storia recente.

Tranquilli, non intendo esporre cognomi , dati storici, questo c’è chi sa farlo con maggior precisione e capacità. Vorrei solo rifarmi alla cronaca di una triste giornata e a qualche precedente più e meno recente, di politica locale.

Tornando al Bernardino e allo scempio che se ne è fatto, si richiamano i precedenti chiamati in causa: vogliamo parlare di amministratori che sarebbero stati distratti? Quanto vogliamo tornare indietro? Quindici anni, va bene? Chi amministrava allora? Chi era responsabile alla portualità? C’era forse qualcuno che potremmo richiamare alla storia? Vogliamo andare a vedere i bilanci della Silene lasciati in quell’epoca? Vogliamo controllare quelli che sono stati trovati ora? 

Risposte che neppure chi invita continuamente ad ascoltare spiegazioni e disponibilità ad accettare consigli vorrà esporsi a dare, potrebbe essere imbarazzante. Ma, perchè andare tanto indietro? La politica può essere costruttiva anche quando si è all’opposizione: due anni fa, un anno fa, non si poteva far presente all’amministratore dell’epoca che quella barca sistemata in quell’angolo del porto poteva recare danno a chi per lavoro doveva transitare nei pressi? Meglio riservarsi una operazione da eseguire con delicatezza, possibilmente, tutta femminile.

Certo, mi rendo conto che convocare un Consiglio, ma anche una Giunta per discutere sulla sorte di una vecchia barca, è perdita di tempo: -Ora ci sono io e vi faccio vedere come si decide-. 

Con il senno del poi, chiamare in causa e corresponsabilizzare l’intero Consiglio non sarebbe stata una grande perdita di tempo, non fosse altro per avere un paese informato su decisioni che riguardano le sue radici. Quello si sarebbe potuto fare, cioè avere quella delicatezza che tali argomenti richiedono. 

Purtroppo devo rimanere nella mia originaria impressione, anche se nel mio intimo avrei tanto voluto che mi si fosse detto qualcosa che la potesse mutare, infrangendo quella parete che tiene divise persone che, in fondo, dovrebbero rappresentare idee comuni.