DOVE SONO ANDATI A FINIRE I “GUFI “ DI RENZI?

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Scrive Lucia Annunziata su Huffington Post: “L’Italia da ieri ha cambiato pagina. Attraverso i modi e i contenuti del voto sull’articolo 18, Matteo Renzi ha virato il governo italiano verso un neo-centrismo fondato su un rapporto più forte fra leadership personale e paese, e un rammodernamento del sistema, inteso soprattutto come eliminazione del ‘conservatorismo’ della sinistra. Una stra-vittoria sui suoi oppositori, non solo numerica, che costituisce un profondo chiarimento politico. Il Premier ha ora infatti quello che ha sempre voluto: governare alle condizioni che desiderava, sul progetto che voleva. Ma non ha più nessun gufo da abbattere, nessun alibi insomma in cui rifugiarsi in futuro.”.

E’ vero, quella del voto di fiducia sul Jobs Act, è stata un’investitura del Parlamento a procedere, una conferma al viatico che già nei giorni scorsi Renzi aveva ottenuto dai “nuovi” poteri forti nostrani e non solo. Ma, anche i sindacati hanno dato, se così si può dire, il loro consenso, almeno per circa due terzi, alla pseudo eliminazione di quell’articolo 18che, la stessa sinistra PD aveva innalzato come diga a qualsiasi apertura la famigerato padronato.

Si, quella sinistra di vecchi post-comunisti, figli e nipoti della rivoluzione di Occhetto, ha finito per ingoiare quel grosso rospo che rischiava di strangolarla. Quello che mi chiedo è se questo voto di fiducia sia stato dato, pur con tutti i distinguo, per convinzione, per convenienza o per paura.

Escluderei la convinzione, una certa convenienza è comprensibile, certamente c’è stata una grande paura.

Far cadere Renzi, avrebbero potuto farlo, sarebbe stato quasi facile, sarebbe stato sufficiente distinguersi e votare contro, ma, ritengo, che da politici consumati abbiano valutato che la loro presa di posizione distinguendosi dalla linea del partito avrebbe immancabilmente portato ad una crisi di governo con successivo scioglimento delle Camere e relative elezioni anticipate da tenersi a fine febbraio  o, al più tardi, agli inizi di marzo, ovviamente con la legge elettorale imposta dalla consulta.

Intanto c’è da dire che difficilmente il PD di Renzi, candirebbe  i ‘ribelli’ nelle proprie liste, pertanto, l’alternativa è quella di lasciare il partito per trasmigrare su altri lidi, ma quali? SEL, ammesso che siano bene accetti. Voi lo vedreste Bersani in sottordine con Vendola? L’altra possibilità potrebbe essere quella di formare un nuovo partito di sinistra, ammesso che vi sia rimasto spazio da quelle parti.

No essendo degli spovveduti, i dissidenti sanno bene che finchè si rimane nel partito seppur in minoranza si mantiene un certo rapporto con l’elettorato, il nuovo deve invece conquistarsi gli spazi necessari per raggiungere il quorum e loro sanno bene che questo non è facile neppure ad ex leader (Occhetto docet). Senza considerare che uscendo dal partito farebbero il gioco del Premier che, è ormai chiaro, vorrebbe per il Paese un partito moderato con una lieve sfumatura rosa, laico ma non troppo, che somigli ad una moderna democrazia cristiana senza esserlo, che assorba tutta quella parte moderata-cattolica di Forza Italia, quella che non ha mai avuto a che fare con identità craxiane. Renzi vorrebbe un mega partito con una sua storia, senza retaggi con il passato, che, come avvenne nell’immediato dopo guerra, possa essere forza trainante per affrontare la rinascita del Paese Italia.

Ho iniziato questo articolo citando l’ultimo editoriale di Lucia Annunziata e con le sue parole vorrei concluderlo:

Dice l’Annunziata: “Provi ora a imbracciare con serenità questa vittoria, e a dimostrarci che le soluzioni che ha sostenuto con tale vigorosa convinzione, e con tali dolorosa conseguenze per molti, sono quelle giuste. Provi che non porteranno – come hanno sostenuto molti “gufi” – a gravi nuove ingiustizie sociali; che ci porteranno anzi fuori dal fanalino di coda dell’area europea. Nessuno in Italia, nemmeno i vecchi, nemmeno chi ancora crede che esiste differenza fra destra e sinistra, e che questi valori non sono fungibili, sarà scontento di vedere la disoccupazione scendere e la produzione salire. Magari con velocità proporzionale alla guerra politica vinta intorno al Jobs Act.”.