Governo – Una legge elettorale per tre minoranze

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Mai governo fu fatto così celermente e mai fu fatto un governo che oserei definire “tale e quale” quasi come lo show di Carlo Conti, la differenza solo nel fatto che i protagonisti sono quelli reali e, pertanto, sono solo tali.

E’ veramente ridicolo rifare un governo con le stesse persone, spostandone due tre da un dicastero all’altro, tanto che chiamarlo fotocopia sarebbe come svalutare una fotocopiatrice. Insomma, un insulto all’elettore che in stragrande maggioranza ha votato “NO”.

La vera novità è la Finocchiaro che dopo una infinità di legislature finalmente potrà andare in pensione dopo aver fatto pure il ministro. Per il resto, quasi, una “quadratura del cerchio” quella che il Presidente Mattarella ha affidato al governo Gentiloni, uomo tappabuchi, prima agli Esteri ed ora a tenere in caldo la sedia all’uomo che aveva detto che avrebbe lasciato la politica se il “Si” avesse perso. Ma bisogna seguire un calendario, insieme agli impegni internazionali, all’emergenza terremoto al G7 a Taormina, poi, bisogna dare l’addio all’Italicum, qualunque sia la sentenza della Consulta il 24 dicembre, a favore di una nuova legge elettorale capace di garantire la maggioranza e,quindi, la governabilità ad una delle tre minoranze che si contendono Palazzo Chigi. Si, proprio tre minoranze: 5Stelle al momento in testa, ma con solo il 31,5%, PD al secondo posto con il 29,%, seguito a breve distanza da un centro-destra esistente, però, sulla carta se Salvini rimane leader della Lega con il suo estremismo iper-populista.

Tra i vincitori anti-dem del “NO” al referendum costituzionale solo Berlusconi è disposto a sedersi attorno un tavolo per discutere di una riforma elettorale condivisa, forte, probabilmente, della pre-intesa tessuta da Gianni Letta con Renzi per la riforma elettorale. Non fa mistero il Cavaliere di preferire, per la Camera dei Deputati, un sistema proporzionale con sbarramento ed una percentuale sul 20, massimo 30% di collegi uninominali. Si eviterebbe, così, l’indicazione in partenza del candidato premier ed anche, probabilmente, delle alleanze, consentendo di fare scelte post-voto, compresa quella di un accordo Renzi in nome della governabilità sì da porre le basi del Partito della Nazione, quello che in tutti questi mesi è stato oggetto di continui approcci.

Una legge elettorale come quella ipotizzata andrebbe bene anche a Grillo, al di là della sceneggiata sulle elezioni subito con l’Italicum, sapendo bene di non avere una classe dirigente per governare né il placet per farlo da parte dei suoi sponsor d’Oltreoceano. I grillini avrebbero, comunque, un consistente gruppo parlamentare.

A fare opposizione sono, soprattutto, Salvini e la Meloni che addirittura stanno portando avanti proteste di piazza, oggi uniti, ma domani, in caso di molto eventuali primarie del centrodestra per la leadership, in fiera competizione.

Il fatto è che siamo già in campagna elettorale, almeno così siamo in molti a sperarlo, lo conferma verrebbe anche dal gesto, pur apprezzabile, di Matteo Renzi che ha rifiutato il reincarico per mantenere la parola data: se perdo il referendum lascio Palazzo Chigi (non più, la politica). Ora da segretario del Pd potrà preparare la riscossa, forte anche dei sondaggi che danno più voti ad un nuovo partito di Renzi che al Pd e di un governo che può guidare dall’esterno, avendo come successore il suo fidato collaboratore. Nel contempo può preparare il Congresso dem per la primavera, avendo recuperato il rapporto con Franceschini e la sua corrente, determinante all’interno, probabilmente pagando il prezzo, per il futuro, della scissione premier –segretario.

Certo varare una legge che gioca a favore di Renzi-Berlusconi non sarà semplice, ma se, arriverà la sonda Grillo, come fanno prevedere le vecchie dichiarazioni pro-proporzionale dei big 5Stelle, sarebbe difficile per Salvini bloccare una soluzione che lo metterebbe all’angolo perché Berlusconi avrebbe ben due opzioni: o con l’ex-sindaco di Firenze o con un centrodestra che vede, ad esempio, uno Zaia premier.

In tutto questo c’è un terribile neo, una cosa da nulla: nessuno pensa ai veri problemi degli italiani e nessuno opera per recuperare gli assenteisti dal voto, soprattutto i cattolici e i moderati. La corsa al voto anticipato, infatti, sembra un bis della dissennata campagna referendaria e se gli attuali partiti non cambiano atteggiamento rischiano di fare un clamoroso autogol e di farlo fare, purtroppo, agli italiani. Sì, perché tutti dovrebbero rendersi conto che l’alta affluenza al referendum è stato un forte segnale del disagio dei cittadini nei confronti di una politica che invece di dedicarsi alla soluzione dei problemi perde oltre sei mesi con il “Si” ed il “NO” ad una riforma delle regole fatta a colpi di maggioranza e molto distante dagli interessi reali dei troppi che non arrivano alla terza settimana del mese.

Ci sarà qualcuno che nei piani alti della nostra società se ne rende conto?