Il caso del giudice Lombardini

Standard

Nella ricorrenza della sua morte un ricordo per un magistrato integerrimo.
Il caso del giudice Lombardini
Sono le 19.50 di una serata afosa dell’11 agosto 1998, il boato di un colpo di pistola rimbomba negli uffici semideserti del Tribunale di Cagliari, la parabola professionale ed umana del Giudice Luigi Lombardini finisce così, accasciato in una pozza di sangue del suo studio. Il Giudice si è tirato un colpo di pistola in bocca. Sullo sfondo mesi di polemiche, illazioni sulla stampa, veline ed indiscrezioni. Lombardini era finito sotto indagine a causa dell’atteggiamento tenuto nel rapimento di Silvia Melis. Lombardini, ex stratega della lotta ai rapitori era accusato di ruoli ambigui sia nelle trattative per la liberazione della commercialista di Tortolì sia nelle fasi successive al rilascio. La sera del suicidio negli uffici della Procura di Cagliari c’era il Pool di Palermo diretto da Giancarlo Caselli. La Procura di Palermo conduceva le indagini per competenza. La morte violenta del Giudice mette a nudo un verminaio all’interno della Procura di Cagliari e nei rapporti tra Magistrati, una sequenza di vicende e veleni che attraversano diverse Procure d’Italia e arrivano fino al CSM. Ma chi era il Giudice Lombardini? Per capirlo bisogna fare qualche passo indietro. Lombardini era uno specialista nella risoluzione dei casi di rapimento in Sardegna. Secondo i suoi detrattori, risolveva i casi, in spregio ad ogni regola e procedura; secondo i suoi estimatori, un galantuomo mosso solo dall’obiettivo di salvare i rapiti. Il sacerdote che officiò ai suoi funerali ebbe modo di affermare: “Era uomo di indiscusse doti professionali di poche parole, ma capace di grandi azioni”.
L’epoca nella quale aveva operato il giudice Lombardini era un’epoca difficile, ma Lombardini veniva a capo di tutti i sequestri di persona degli anni 77-79; i latitanti cadevano nelle sue mani come tordi, i giornali esaltavano il giudice-sceriffo. Le denunce di qualche avvocato sui suoi metodi di indagine (gli interrogatori con la pistola sulla scrivania, i testimoni accusati di concorso per indurli a parlare, etc.) non trovavano ascolto da nessuna parte. Nemmeno al Csm. Insomma, metodi che gli avevano procurato l’appellativo di “giudice-sceriffo”. Le cose cominciarono a cambiare quando, a metà degli Anni 80, andò in pensione il procuratore generale Giuseppe Villasanta, magistrato potentissimo, considerato una specie di viceré della Sardegna. Col pensionamento di Villasanta, Lombardini perse un grande protettore, l’uomo che ne aveva fatto il giudice unico antisequestri, e si rafforzò il fronte avverso.
Si era trattato – per quanto queste categorie possono valere nel mondo giudiziario – dello scontro tra una destra (Villasanta- Lombardini) e una specie di sinistra. Sul fronte opposto a quello del giudice-sceriffo c’erano infatti Magistratura democratica, e il composito e sempre fluttuante mondo forense. Così, quando alla procura generale di Cagliari fu nominato Francesco Pintus, ex senatore della Sinistra indipendente, si pensò che la partita fosse definitivamente chiusa.
Ex membro della sezione di Cassazione presieduta da Corrado Carnevale, Pintus cominciò a entrare in conflitto con la sinistra quando prese le difese dell’ammazza- sentenze. Qualche tempo dopo, nel discorso inaugurale, attaccò i metodi del pool di Borrelli. La sua domanda per la procura generale di Milano fu letta come una specie di dichiarazione di guerra. Inaspettatamente, quindi, il garantista di sinistra Pintus divenne il principale sponsor dell’ormai ex sceriffo Lombardini nella corsa, perduta, per la guida della procura della Repubblica di Cagliari. Quasi contemporaneamente perse la sua corsa per Milano. Negli uffici giudiziari sardi, scoppia una Guerra che, a suon di esposti e contro-esposti, tempestano il Csm. Un giudice di Sassari, Gaetano Cau, che accusa Lombardini e Pintus di interferenze; Pintus che invia al Csm un’intervista di Cau; Lombardini che viene alle mani col pm Paolo De Angelis; l’ex procuratore Franco Melis che segnala le interferenze di Lombardini nelle indagini sui sequestri; otto sostituti che sottoscrivono un esposto contro Pintus.
La vicenda Lombardini, dunque, deve essere inquadrata in un contesto inquietante che evidenziava una lotta tra magistrati che andava ben oltre i confini della Sardegna, incrociandosi con veleni di ogni tipo, lotte tra correnti giudiziarie, visioni diverse di concepire la giustizia. In questo contesto, dunque, parte l’indagine a carico del Giudice. Lo scenario: il rapimento di Silvia Melis, prelevata a Tortolì il 19 febbraio del ‘97 e rilasciata il 19 novembre dello stesso anno. Insieme al Giudice Lomabardini, viene indagato l’editore Nicola Grauso che aveva svolto una sorta di ruolo di mediatore, e anche di finanziatore di una parte del riscatto. Grauso, infatti, aveva dichiarato di avere pagato 2 miliardi e 650 milioni: 1 miliardo e 400 milioni prima della liberazione, il resto dopo. Tito Melis aveva detto di avere versato solo un miliardo. Queste versioni contrastanti fanno scaturire l’indagine.
La notizia esplode come una bomba: veline e indiscrezioni si susseguono. Lombardini, appare già mediaticamente crocifisso da affrettate conclusioni giornalistiche. Personaggi discutibili si susseguono nel dichiarare, alcuni in buona fede, altri meno. L’uomo, il giudice è sempre più provato dalla canea mediatica che puntualmente parte sui rotocalchi. Il suicidio, dunque, accende uno scontro tra giudici che, in una Italia distratta dalle vacanze ferragostane, passa quasi inosservato. Il procuratore generale Pintus, accusa il Pool di Palermo diretto da Giancarlo Caselli di indagare anche nei suoi confronti; il Procuratore di Caltanissetta Giordano richiede di visionare gli atti. L’editore Nicola Grauso, diffonde un memoriale che attribuisce allo stesso Lombardini nel quale si afferma che la sua carriera sarebbe stata ostacolata, per contrastare la Dc, da un importante personaggio politico.
Grauso fa il nome di Luciano Violante e il presidente della Camera ribatte: bugie. Antonio Ingroia, Lia Sava e Giovanni Di Leo, titolari dell’inchiesta Lombardini, sentono come persona informata dei fatti, il dott. De Angelis, sostituto a Cagliari, che afferma che nella Procura diretta da Lombardini era saltata ogni regola, gerarchica e formalità. De Angelis e Lombardini non si erano mai piaciuti tant’è che erano finiti avvinti in un unico procedimento penale (che li aveva visti indagati a Palermo per abuso d’ufficio), quindi protagonisti di un violento alterco nei sotterranei del palazzo di giustizia di Cagliari. Minacce, insulti, un accenno di rissa. Colpa di una vecchia inchiesta su un sindacalista – avrebbe spiegato De Angelis ai Pm palermitani – sul cui esito, Lombardini era di opposto parere. De Angelis aveva anche avuto uno scontro con il Procuratore generale Pintus che era finito davanti al CSM: il sostituto cagliaritano originario della Sicilia aveva attaccato il procuratore generale di Cagliari accusandolo di ingerenza in indagini estranee alla sua competenza, e aveva dipinto come sospetto il legame tra quest’ultimo e il giudice Lombardini, riferendo della polemica che aveva accompagnato l’informatizzazione degli uffici giudiziari cagliaritani. Per quelle accuse Pintus aveva annunciato una querela. E quelle accuse avevano spaccato il Csm e le sue correnti, soprattutto Unicost, da cui, proprio in occasione del caso Cagliari, aveva deciso di uscire il consigliere Frasso.
Anche il giorno dei funerali, le polemiche non si placano. Emergono inediti sfoghi da parte del Magistrato rivelati alle persone più care. In un bigliettino scritto alla sorella Maria Teresa qualche mese prima scriveva: “Purtroppo è difficile capire e far capire agli altri se stessi: per cui è inutile tentare di farlo. Sono e sarò sempre Luigi”.
Le parole di Don Ottavio Otzeri, il segretario dell’arcivescovo di Cagliari, nella sua omelia calano come pietre: “Nessuno può essere giudicato definitivamente se non da Dio, e nessuno può essere condannato umanamente prima che se ne acquisiscano le prove”.
“Le condanne che fanno più male non sono le sentenze scritte nelle aule dei tribunali, ma quelle che vengono scritte con l’indifferenza, il silenzio, le insinuazioni e le omissioni”.
Suo fratello Carlo esprime parole che hanno il tono della sfida: “Io pretendo che la memoria di Luigi non resti infangata. Pretendo che il giudice Caselli continui a indagare fino in fondo, metto a sua disposizione tutti i conti della nostra famiglia, e lo sfido a trovare una sola prova contro Luigi. Se la troverà, sono disposto a farmi l’ergastolo al posto suo. Ma se non la trova, allora dovrà avere il coraggio di dire: su Luigi Lombardini abbiamo sbagliato, gli chiediamo scusa”.
Nella cerimonia di sepoltura al suo paese d’origine, Villacidro, celebrata da cinque sacerdoti tra cui il vescovo di Ales-Terralba, Antonino Orrù, il momento più teso si ha quando uno dei prelati, concludendo l’omelia, afferma: “In questi giorni di lupi e avvoltoi, Lombardini risplende nel firmamento e adesso riposa in quella pace che gli era stata negata in terra”.
Macigni che cadono tutti sulle spalle di Caselli e del suo pool, accusato anche dallo stesso Procuratore generale Pintus di aver “torchiato” il collega Lombardini nell’interrogatorio che si era svolto qualche ora prima del suicidio. Accuse che Caselli aveva sempre respinto. Qualche anno dopo, nel 2005, Caselli ritorna sulla vicenda del Giudice Lombardini dedicandogli un passo del suo libro Giudici sotto attacco edito dalla Melampo.
Ecco come racconta la vicenda del Giudice Lombardini:
“Un caso esemplare è quello del suicidio di Luigi Lombardini, capo della Procura presso la Pretura di Cagliari, l’11 agosto 1998. I fatti sono questi. Nel corso delle indagini sul sequestro di Silvia Melis, la procura di Cagliari si imbatte in fatti penalmente rilevanti a carico del dottor Lombardini.
Ci trasmette subito gli atti, perchè per legge le indagini che coinvolgono magistrati di Cagliari spettano alla procura di Palermo. Assegno il fascicolo al procuratore aggiunto Vittorio Aliquò, che coordina i sostituti Antonio Ingroia, Giovanni Di leo e Lia Sava.
Gli elementi emersi a carico di Lombardini sono seri. Durante il sequestro, Tito Melis, il padre della ragazza, viene invitato a recarsi a un appuntamento segreto, di notte, nei pressi di Elmas, l’aeroporto di Cagliari. Gli viene chiesto addirittura di viaggiare nel baule di un’auto (ma lui non riesce a entrarci). Al luogo convenuto si presenta un uomo in parte travisato. Si accerterà in modo inoppugnabile che si tratta proprio di Luigi Lombardini.
L’uomo usa modi bruschi, prospetta gravi pericoli per Silvia e fa alcune richieste: il versamento di un secondo miliardo di lire (uno era già stato versato) all’avvocato Antonio Piras; una lettera “liberatoria” per lo stesso Piras dove Melis avrebbe dovuto affermare –falsamente – che la Procura di Cagliari aveva autorizzato le trattative e il pagamento.
Le ipotesi di reato a carico di Lombardini sono quindi tentata estorsione (per il nuovo versamento, poi non effettuato), estorsione (richiesta della lettera, effettivamente redatta e poi acquisita agli atti del processo), falso e calunnia (per il contenuto della lettera).
Quando i colleghi partono per Cagliari per interrogare Lombardini, penso che sia opportuno unirmi a loro. Mi hanno insegnato che i rapporti fra magistrati, nei casi delicati, devono intercorrere tra “pari grado”. Lui è un capo ufficio, come me. Essere presente è, da parte mia, un atto dovuto di cortesia istituzionale, anche perchè avevo avuto modo di conoscerlo in passato.
D’accordo con i colleghi di Cagliari, ci preoccupiamo di incontrarlo nel palazzo di giustizia, ma lontano da giornalisti e telecamere.
L’interrogatorio di Lombardini si svolge in un clima di normalità assoluta, con le “rituali” pause per un caffè e con una interruzione perchè Lombardini possa fare il punto della situazione con il suo difensore. Ce ne dà atto a verbale proprio il suo avvocato, Luigi Concas.
Per fortuna (viste le disgustose strumentalizzazioni che si scateneranno) di tutto ciò resta traccia documentale, perchè l’intero interrogatorio viene fonoregistrato.
Alla fine decidiamo di chiedere a Lombardini di esibire alcuni documenti. In caso contrario avremmo dovuto procedere a una perquisizione del suo ufficio.
La tragedia si compie a questo punto. Lombardini cammina verso il suo ufficio con Ingroia e gli altri (tra cui un suo legale). A un certo punto fa uno scatto in avanti, raggiunge la sua stanza, si chiude dentro e si uccide con un colpo di pistola prima che chiunque possa intervenire.
La perquisizione permette di trovare materiale rilevante che porterà all’incriminazione di un’altra persona.
Nonostante il Consiglio superiore della Magistratura e il ministro della Giustizia, Giovanni Maria Flick, riconoscano subito l’assoluta correttezza del nostro operato, anche in base all’ascolto della registrazione integrale dell’interrogatorio, si scatena immediatamente la canea.”
La vicenda si conclude definitivamente nel luglio del 2010, con l’assoluzione di Nicola Grauso coinvolto insieme al Giudice Lombardini. Il tutto, 12 anni dopo il suicidio dello stesso Lombardini e 5 anni dopo l’uscita del libro di Caselli, nel quale l’attuale PG di Torino, continua a difendere le sue certezze accusatorie.
Carlo Lombardini, fratello del Giudice aveva sfidato Caselli a provare la condotta illecita del fratello Luigi o a chiedere scusa qualora non ci fosse riuscito. L’assoluzione di Grauso da ragione a Carlo Lombardini, purtroppo a quasi un anno dalla sentenza che ha fatto crollare il teorema accusatorio di Caselli. Caselli, tuttavia, non ha ancora chiesto scusa.
Pasquale Motta (da processomediatico.it)