Se c’era qualcuno che aveva dei dubbi il voto del giugno gli ha confermato, secondo molti osservatori, che siamo in un sistema politico tripolare: grillini, Pd e centrodestra che, pur diviso a Roma, Torino ed in alcuni altri comuni,a livello nazionale ha addirittura aumentato del 4%. Dico “avrebbe”, devo usare il condizionale, perché a legger bene dai dati emerge un’altra realtà: i moderati, in Italia, sono in netta maggioranza, ma ancora non trovano il punto di riferimento partitico e si frammentano molti nell’assenteismo dalle urne, altri nel tripartitismo, finendo anche tra i grillini, soprattutto nella capitale, dove non sono pochi i delusi dagli altri due schieramenti, dando così un forte segnale di protesta, quasi un richiamo a smetterla con i giochi delle vecchia politica o con gli interessi personalistici.
Questi moderati, un tempo, avevano in gran parte creduto in Silvio Berlusconi, dando al Cavaliere una maggioranza anche amplissima, sprecata, poi, nello scontro tra big, in una politica che nei fatti rinunciava all’annunciata rivoluzione liberale proprio per le divisioni interne e, infine, caratterizzata dalle continue scissioni nel Pdl. Si bruciavano, in questi scontri, i possibili eredi di Berlusconi, cioè prima Casini, poi Fini, mentre il leader era costretto a dimettersi da Palazzo Chigi, lasciando il campo ad una serie di governi con presidenti del Consiglio non eletti dai cittadini.
La scesa in campo del giovane sindaco di Firenze, che proveniva dalla cultura politica dei moderati, ossia di quella Dc degasperiana che guardava a sinistra, intendendo per sinistra non lo schieramento politico bensì l’esigenza di socialità, di guardare anche agli ultimi, facendo prevalere l’economia sociale di mercato. Per questo molti moderati parteciparono alle primarie del Pd, che pure non votavano alle “politiche” solo per far vincere Matteo Renzi. E ripeterono il loro appoggio all’emergente leader, facendo arrivare il partito che aveva conquistato come segretario, oltre il 40% alle “europee”, nonostante l’assenteismo di frange di sinistra sospette nei confronti di quello che non pochi ex-comunisti ritenevano un alieno rispetto alle tradizioni “rosse” anche perché intendeva rottamare i vecchi big del mondo ex-comunista.
Poi Renzi, che ,intanto,s’era insediato a Palazzo Chigi , sfrattando Enrico Letta, che veniva dalla sua stessa cultura politica, ma era sostenuto da Bersani, scoprì la sinistra e, in particolare, il socialismo europeo, esaltandolo con l’ardore di un neofita: Forse era il tentativo, poi clamorosamente fallito, di inglobare la sinistra dem che lo criticava. Iniziò, comunque, da qui una perdita di consensi, in tutti i sondaggi, proprio per la delusione crescente dei moderati che, in parte si sentivano traditi al punto che un importante cardinale vaticano disse ad un gruppetto di esponenti cattolici laici “ci ha voltato le spalle”.
Il Patto del Nazareno, che ebbe il potere di resuscitare politicamente Silvio Berlusconi, sembrò una svolta verso il centro così come alcuni provvedimenti governativi in linea con il programma berlusconiano fecero ritenere a non pochi che il segretario-premier fosse il vero erede del Cavaliere che aveva sempre dimostrato di stimarlo molto , ricambiato dal rifiuto renziano di unirsi al coro anti-berlusconiano.
La scelta di Mattarella come Capo dello Stato,pare su suggerimento del potente componente la Corte Suprema Usa, l’oriundo siciliano Scalia, recentemente scomparso, mentre il candidato concordato era Giuliano Amato,portò alla rottura da parte del leader della rinata Forza Italia. Renzi perse, così, altri consensi almeno nei sondaggi.
Le successive manovre verso il Partito della Nazione avevano riacceso alcune speranze, spente immediatamente, nei moderati cattolici, non tanto dalla legge sulle Unioni Civili quanto dall’aver posto su di essa la fiducia alla Camera, dove ha una maggioranza bulgara provocando la dura reazione del segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana, monsignor Galantino , molto vicino a Papa Francesco.Il voto del 5 maggio ha dimostrato che questo scontro con i vescovi italiani non è stato senza conseguenze sul piano elettorale.
Nessuno, però, oggi è in grado di costituire un punto di riferimento politico per questa ampia maggioranza moderata. Non lo è il centrodestra per un Salvini lepenista che polemizza con un Papa ultra-popolare, di fatto, non solo capo della Chiesa , ma anche del mondo come dimostrano la stima e la deferenza nei suoi confronti di tanti leaders mondiali. Non lo sono affatto i “5 Stelle”, anti-clericali in Grillo ed in alcuni esponenti, comunque a parte Roma e Torino non in grande spolvero elettorale e capaci solo di captare, momentaneamente, un voto solo di protesta. Non lo sono , oggi, Renzi per i motivi sopra esposti e men che mai la sinistra dem non certo in sintonia con i cattolici.
Non è, questo, un quadro rassicurante. La responsabilità maggiore è del giovane rampante venuto da Firenze. Se ritorna alle origini, se si ricorda delle sue radici, se la smette con l’incensare un socialismo che persino un suo amico, come l’attuale sindaco di Firenze, considera finito e se con chiarezza punta al Partito della Nazione ,avendo, però, il coraggio di cambiare la legge elettorale, forse non solo riuscirà ad uscire dalla trappola nella quale s’è cacciato e che lo porterebbe alla disfatta, ma soprattutto tornerà ad essere il positivo punto di riferimento politico dei moderati italiani, ossia della maggioranza dei cittadini.
Certo, non sarà facile, per lui, recuperare perché dovrà, innanzitutto, ritrovare la cultura del dialogo e del confronto, quella che, in Italia, è stata, alla fine,sempre vincente. Forse farebbe bene a consultare, ad esempio, uno scienziato come Giacomo Rizzolatti, scopritore dei neuroni specchio. Potrebbe insegnargli quel linguaggio empatico che contribuì a far vincere Obama la seconda volta.Un linguaggio ben diverso dal “tutto bene” che usa oggi e che è lontano dalla realtà quotidianamente constata dai cittadini