Renzi contro tutti. Porta aperta al voto anticipato?

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Tutto era  partito con la dichiarazione della Predente ella Camera, Laura Boldrini accolta da Renzi con una scrollata aveva liquidato la cosa dicend: “affari suoi”. La Boldrini era inteervenuta a difesa delle prerogative del Parlamento, No, per la verità sono affari di tutti. Certo, la Presidente della Camera è andata giù dura, leggete queste frasi sul Jobs Act: “ci sono pareri non favorevoli delle commissioni parlamentari, pareri espressi, tra l’altro, anche da tutti i dem, sarebbe stato opportuno tenerli nel dovuto conto. Io considero importanti anche i ruoli intermedi, associazioni, sindacati. L’idea di avere un uomo solo al comando contro tutti e in barba a tutti a me non piace, non rispetta l’idea di democrazia.”

Ecco, quindi, Matteo Renzi contro tutti , di nuovo anche contro la sinistra dem, oltre alla Presidente della Camera, le opposizioni parlamentari, sindacati, forse sociali, con l’eccezione, parziale, di Confindustria. Sì anche gli industriali, pur favorevoli al Jobs Act, uno dei motivi del contendere, non condividono l’ottimismo renziano sulla riforma del lavoro. Dice, infatti, Marco Gay, presidente dei giovani industriali: “sarà anche noioso , ma va detto e ridetto perché non ci si illuda: se la ripresa dovesse rallentare non c’è legge che tenga. La scelta di assumere o licenziare dipende innanzitutto dal mercato e dalle commesse”.

Chiedo scusa per la lunghezza delle citazioni, ma era importante per meglio comprendere i contraccolpi che possono venire da una gestione governativa in “solitaria”. Ha un bel dire la vice-segretaria democratica Debora Serracchiani “spiace che la Boldrini, che ricopre un ruolo di garanzia si pronunzi in questo modo”, ma è proprio in virtù di quel ruolo che è stata così critica. E si sbraccia il sottosegretario Graziano Del Rio nel ripetere che non c’è stata alcuna “umiliazione del Parlamento” e che nel Pd non c’è una “guida solitaria, ma un leader” com’erano, “nei grandi partiti, De Gasperi e Togliatti, Berlinguer e Moro”.

Scontro istituzionale a parte ci sono anche le durissime reazioni ai decreti attuativi del Jobs Act della sinistra Dem. E’ stato un coro. Stefano Fassina (“è uno schiaffo a tutto il Pd, presi in giro i gruppi parlamentari, siamo tornati agli anni’50”), Gianni Cuperlo (“i lavoratori sentono di aver perso qualcosa della loro storia e dignità”), Alfredo D’Attorre (“siamo sul top delle tutele”), Cesare Damiano (“servono più tutele per i disoccupati” e Pippo Civati (“è il provvedimento che la destra aspettava da anni. Meno di Bersani, e più di Berlusconi, Infatti la destra oggi fa festa” ) annunciano battaglia ad iniziare dalla legge elettorale. E persino un ministro come il “giovane turco” Orlando ammette “ci sono alcuni punti da rivedere”), mentre il capogruppo alla Camera, Roberto Speranza, considerato un mediatore, si riscopre di sinistra: “E’ un clamoroso e inspiegabile errore che il governo non abbia seguito le indicazioni del Parlamento”: Indicazioni, certo, non vincolanti, ma politicamente rilevanti visto che tutti i deputati dem le avevano votate.

A far festa, in realtà, è il Nuovo Centro Destra con Alfano che esulta: “è un nostro trionfo, finalmente cancellato lo Statuto dei lavoratori. Pronti a rinnovare il patto di governo fino al 2018”. E tanto per irritare ancor più la sinistra dem eccolo lanciare il Family Act, “una grande legge sulla famiglia, quella composta da un uomo e una donna che fanno figli. La legge italiana non conosce altro”. E’ quasi un atto di guerra, magari nella speranza di qualche voto cattolico, al Pd che sostiene le unioni civili come ha ribattuto il presidente Matteo Orfini: “E’ l’amore e non il genere a fare la famiglia: Il Family Act che serve al Paese è una legge sulle unioni civili”. Anche su questo tema, dunque, ci sarà battaglia all’interno di una maggioranza di governo che dovrà superare le Forche Caudine del Senato per il varo definitivo delle riforme e l’approvazione dei decreti. E’ a Palazzo Madama che l’opposizione e la sinistra del Pd attende al varco Matteo Renzi. Che, probabilmente, tira ancor più la corda, facendo la guerra contro tutti, per arrivare al voto anticipato e cambiare un Parlamento che considera ostile e un ostacolo a quel cambiamento che vorrebbe attuare.

Può anche riuscirci, anche se rimane l’interrogativo di cosa farà il nuovo Capo dello Stato. Il suo predecessore, come noto, diceva no a nuove elezioni, minacciando, in caso di crisi, di dare l’incarico a Giuliano Amato. Mattarella può essere della stessa opinione o sciogliere le Camere, magari dopo un veloce ritorno a quella legge elettorale che proprio l’attuale inquilino del Quirinale aveva individuato. Marzo sarà deciso in proposito?