Renzi (per salvarsi) pensa alle elezioni anticipate

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Non sa se può contare ancora sui suoi sponsor americani che pare guardino anche al romano Alfio Marchini non sgradito a Silvio Berlusconi. Sa bene che il famoso “tesoretto” scoperto dal ministro delle Finanze può scomparire da un momento all’altro, come avvenne con tre precedenti governi, trattandosi solo di previsioni. Si rende, inoltre, conto che la situazione economica non è quella presentata con ingiustificato ottimismo dai renziani perché la crisi morde ancora e la fiducia dei cittadini nel premier diminuisce sempre più. Ogni giorno che passa si trova contro una buona parte dei parlamentari dem, anche se nel partito mantiene una vasta maggioranza, e non è sicuro che le sue riforme vadano in porto.

No, non è un buon momento per il segretario-premier Matteo Renzi che, secondo il suo esautorato predecessore a Palazzo Chigi, ossia Enrico Letta, sa solo comandare, ma non governare e che per i big-economisti-editorialisti del “Corriere della Sera Alesini e Gavazzi non solo ha perduto slancio,ma addirittura “eccede nell’uso di parole che inducono al populismo, condito con un ottimismo perenne, ma combinato con pochi fatti concreti”. Vi risparmio le altre critiche che piovono a Renzi da varie parti, mentre i ripetuti scandali scuotono il Pd a vari livelli.

In questa situazione il ricorso alle elezioni politiche anticipate, con la legge emersa dalla sentenza della Corte Costituzionale, ossia il proporzionale del Consultellum, appare all’ex-sindaco di Firenze una via di uscita per presentarsi agli italiani dicendo: volevo cambiare l’Italia, facendo imboccare al Paese la via della ripresa economica e sociale anche con indispensabile riforme di struttura, me l’hanno impedito le opposizioni parlamentari ed anche una parte della sinistra del mio partito; così non si può governare, datemi una mia maggioranza.

Per raggiungere l’obiettivo del voto politico mettiamo ad ottobre ha bisogno che la riforma elettorale venga bocciata, ecco perché non cede alla richiesta della sinistra dem, compresa quella più dialogante guidata dal presidente dei deputati Speranza, di alcune modifiche. Invano proprio Speranza ripete “vanno evitate tensioni e spaccature”, proponendo con un appello a Renzi, firmato da una settantina di deputati, di ridurre almeno il numero dei collegi con i capilista nominati.

Nulla da fare replica la ministra Boschi, “abbiamo i numeri per far passare l’Italicum e il governo, come extrema ratio potrebbe decidere di porre la fiducia”. Apriti cielo! All‘ipotesi di porre la fiducia è scattato un coro di durissime proteste sia nelle opposizioni, sia nella minoranza dem. C’è stato qualcuno che ha ricordato che su una legge elettorale solo una volta è stata posta la fiducia posta nel 1923 dal premier dell’epoca Benito Mussolini.

Alfredo D’Attorre, bersaniano, invita Renzi a “sgombrare il campo” dall’ipotesi del voto di fiducia, aggiungendo: “un governo che mettesse la fiducia sulla legge elettorale non merita la fiducia”. Sulla stessa linea Pippo Civati che comunque, dopo aver detto che “sarebbe una provocazione bella e buona”. propone che sulla legge elettorale il voto finale deve essere segreto.

A sua volta il lettiano Francesco Boccia tenta un’ultima mediazione: “il tempo per mediare c’è, nel piano il limite è luglio: Si torni al Senato elettivo”.

Il fronte renziano, però, non demorde, non si fida della minoranza dem il vice-segretario del Pd, Lorenzo Guerrini, precisa: “Non vogliamo forzature, ma il partito ha votato, ora serve la lealtà di tutti. Non siamo noi ad alzare i toni, ma si deve essere responsabili: la fiducia è possibile come extrema ratio: La legge uscita dal Senato è alla fine di un percorso”.

Sono, queste, giornate di grande tensione, quindi, nel Pd anche perché per mercoledì è convocata l’assemblea del gruppo parlamentare di Montecitorio che si aprirà con una relazione di Matteo Renzi. Che, per il momento, dice ancora no a cambiamenti: “niente modifiche, ne sono già state fatte, la legge elettorale va approvata com’è”.

Qualche concessione il segretario-premier potrebbe farla sulla riforma costituzionale, ossia sul Senato, ma la sinistra dem non si fida, ritiene che una volta votato l’Italicum, dopo , magari per l’intervento di un partner di governo, tutto rimarrebbe come prima.

La minoranza dem, divisa in varie anime, sembra unita nel chiedere modifiche all’Italicum e nel pretendere, mercoledì, da Renzi l’assicurazione che non metterà il voto di fiducia. Precisa Cuperlo: “credo che non solo la sinistra, bensì una larga parte del gruppo porrà questa questione”.

Intanto, Forza Italia annuncia, con Giovanni Toti, la presentazione di un emendamento che accolga anche la richiesta della sinistra dem, ossia “una riflessione sui capilista, le preferenze e sul premio di maggioranza o almeno la possibilità di apparentamenti al secondo turno”.

Domani si riunirà Area riformista (Speranza e la settantina di deputati che hanno firmato l’appello a Renzi) per decidere l’atteggiamento da tenere nell’assemblea del giorno dopo. Se decidesse di mantenere la richiesta di modifiche all’Italicum anche, eventualmente, in presenza di un’offerta per il ritorno al Senato elettivo il segretario-premier rischierebbe, seriamente, di ritrovarsi in minoranza perfino alla Camera. E, quindi, il ricorso al voto di fiducia sulla legge elettorale sarebbe scontato. La sinistra dem sarebbe, quindi, messa ad una scelta di fondo: o piegare la testa e, dunque, stendere un tappeto a Renzi o facilitargli la corsa verso il voto anticipato che ha, comunque, l’incognita del Capo dello Stato.

Mi sembra abbastanza improbabile che il presidente Mattarella pensi di sciogliere le Camere a cuor leggero, forse potrebbe imitare i suoi predecessori che, in periodi ingarbugliati come quello attuale, scelsero qualche mese di decantazione con un governo balneare. Non gli mancherebbe certo il materiale umano per fare questo. e chi meglio del Presidente del Senato, seconda carica dello Stato, potrebbe assumere quell’incarico? Sempreché, all’ultimo momento non spunti l’inossidabile Giuliano Amato. Che Dio ci aiuti.