SIAMO UN PAESE DALLE MANI LEGATE?

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Mi ero ripromesso di lasciare con i miei blog sulla politica nazionale per dedicare l’attenzione ai problemi locali e alla Sardegna, ma, la passione che ho cercato di mettere a tacere, è più forte di me, che fare se non riprendere quelle riflessioni che mi sforzavo di reprimere per dare ancora stura agli avvenimenti politici, quelli cui assistiamo tutti i giorni cercando di vedere anche quei risvolti che la cronaca politica nasconde o camuffa nelle righe ufficiali che ci vengono propinate da fogli di parte o da post di social buttati in pasto senza nessun controllo. Con ciò non voglio dire che io sia fonte di verità assoluta, come nel passato ho sempre cercato di controllare quanto andavo affermando, tanto continuerò a fare per il futuro.
Siamo usciti da una campagna elettorale piene di promesse più che di speranze, castelli campati in aria, trascurando una realtà che noi tutti stentiamo ad accettare. Siamo andati ad esprimere il nostro voto e, almeno dai risultati direi che “ci siamo cascati”. La voglia del cambiamento, la ricerca del nuovo, ci ha spinto verso quel populismo che già con Renzi, nella scorsa legislatura, avrebbe dovuto metterci in allarme. Abbiamo confuso il populismo del PD solo perché espresso da un partito di provenienza tradizionale: solo Bersani, con motivazioni diverse seppur in ritardo, si era accorto dove sarebbe andato a finire il “suo” partito. Quel populismo camuffato da assurde riforme che poco interessavano alla grande massa, quegli ottanta euro di munficienza falsa distribuita quasi come donazione personale. Tutto questo senza controllo economico, con una reazione negativa sul debito pubblico che è ormai a livelli quasi astronomici tanto da far definire da qualche osservatore internazione, l’Italia una bomba a orologeria.
Non passa giorno che non vi sia qualcuno che redarguisce il nostro Paese, in ordine di tempo, l’ultima vera reprimenda l’abbiamo avuta dal Financial Times che e tornato a mettere in luce non soltanto le nostre evidenti debolezze ma anche l’incapacità dell’Europa a far fronte a situazioni che nulla di buono lascino prevedere.
Intanto, noi popolo elettore che abbiamo optato per il nuovo, ci ritroviamo sin dal 5 di aprile a ascoltare due galletti (forse, a questo punto, sarebbe meglio chiamarli polli), che si azzuffano per un posto che spetta ad uno e che, in ogni caso, colui che lo prenderà, ammesso che gli venga dato, non potrà che rivedere tutte le posizioni sbandierate in programmi fantasiosi per tornare con i piedi sulla terra prima che si precipiti in un baratro senza fondo dal quale, neppure la forza dello stellone che ha da sempre sostenuto il nostro Belpaese, riuscirà a salvarci.
Non ho sentito in questo mese postelettorale nessuno dei contendenti alla formazione del governo, considerare il fatto che nel prossimo anno, 2019, scade il mandato di Mario Draghi dalla Presidenza della BCE, forse si illudono che il futuro presidente della Banca Europea sarà altrettanto magnanimo nei confronti dell’Italia. I due duellanti che, tramano ad un accordo tra di loro, non pensano affatto che la strada da percorrere forse è quella che ci indica il quotidiano economico economico britannico, quella di rimetterci in riga, quella delle riforme economiche e del contenimento fiscale permanente.
In una nota trasmissione televisiva dei giorni scorsi è stato evocato il nome di Mario Monti, quale salvatore della Patria, credo che quasi la totalità degli italiani faccia tutti gli scongiuri inimmaginabili di fronte ad una simile evenienza, vi è da pensare che se coloro che dovrebbero far politica continuano a rivelarsi solo dei mediocri affabulatori, alla fine qualcuno dovrà pensare a questo Paese e dovrà farlo malgrado come conclude FT: “ E’ stata la tragedia dell’Eurozona: L’Italia è troppo grande da salvare e troppo grande per fallire. L’Eurozona non ha i mezzi necessari per gestire effettivamente la crisi di un grande Paese”.