Trump:  i poteri forti non sono poi così forti

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Non mi è mai piaciuto scrivere nell’immediato di avvenimenti tanto importanti quali l’’elezione del Presidente USA. Non l’ho fatto neppure quando tutti davano per scontato un risultato che io non condividevo, non l’ho fatto allora per non essere tacciato da “bastia contrario”. Tutti, dai media agli analisti politici, ai sondaggisti. Avevano la certezza che la Clinton fosse già  dentro lo Studio Ovale della Casa Bianca, io, all’opposto sostenevo che quella certezza non era così scontata, per me il popolo statunitense non era ancora maturo  per una presidentessa, la mia convinzione era dovuta non certo a calcoli matematici, traeva la convinzione che la candidata non era l’elemento adatto per sostenere una rivoluzione ancor più grande di quella di aver eletto un presidente di colore. Ho sempre ritenuto gli americani progressisti nell’economia, conservatori nei cambiamenti istituzionali. La prova più lampante c’è stata: infatti, un uomo, solo contro tutti, anche contro il suo partito, quello repubblicano, come ho anzidetto, dato per sconfitto in partenza da tutti i sondaggi, anche quelli all’inizio delle votazioni presidenziali americane. Hillary Clinton  era la predestinata alla Casa Bianca, appoggiata persino dai Bush, forte dei 300 milioni di dollari raccolti e del sostegno della grande finanza, della grande industri, dei mass media americani e non solo, dei socialisti  e di molti governi europei, compreso il nostro. Invece ha vinto lui, il tycoon, spesso sbeffeggiato, deriso per certe sue uscite, per il suo essere fuori dal coro ed ha clamorosamente sconfitto l’establishment  che ora cerca di correre ai ripari come si vede dai messaggi augurali, c’è anche quello di un Matteo Renzi che s’era sbilanciato molto a favore della candidata democratica, incitato da Obama, il grande perdente di queste presidenziali americane perché con la first lady s’era sbracciato in una campagna elettorale a tutto campo a favore della Clinton con una strategia inusitata per un presidente uscente.
Ora, c’è imbarazzo in molte Cancellerie che avevano dato per scontato la sconfitta di Trump, unendosi al coro dei presunti vincitori, mentre festeggia Putin da sempre sostenitore del candidato repubblicano, non a caso, nel fargli gli auguri, ha detto “ora superiamo la crisi”, cioè la nuova “guerra fredda” imposta da Obama ai suoi alleati della Nato che ora dovrà rivedere, con tutta probabilità, le sue impostazioni aggressive ai confini con la Russia.
Ora, in sostanza, il mondo  non sarà più come prima e se qualcuno, negli States, faceva tifo per passare alla “guerra calda”, dovrà rassegnarsi ad un diverso clima Usa-Russia e, quindi, ad una più incisiva lotta al terrorismo ed a migliori condizioni nei rapporti tra i popoli. Non è senza significato che  il segretario di Stato vaticano, cardinal Parolin, nel fare gli auguri a  Trump abbia detto: ”ora lavori per la pace”.
Nel breve termine la reazione dei mercati, clamorosamente sconfitti, è stata rabbiosa, solo per un attimo, poi ha dovruto rassegnarsi al nuovo corso americano e commette un grave errore di valutazioni chi volesse insistere nel definire quella di Trump una vittoria del populismo. No, è qualcosa di profondamente diverso perché i tycoon s’è rivoltato, sì, contro l’ establishment, ma questo era lontano dalla realtà, distante dal vero sentire degli americani che, hanno ammesso i giornalisti del New York Times, in blocco a favore della Clinton, dicendo: siamo tutti laureati, molti anche ad Harvard, ma di quello che avviene nel Paese non sappiamo niente. Pochi osservatori, infatti, erano andati controcorrente (e noi tra questi moltissimi di noi italiani), sostenendo che Trump poteva vincere perché non parlava solo alla “pancia” dell’America, come quasi tutti sostenevano, ma alla gente, uomini e donne con i problemi della quotidianità, della sicurezza, del futuro per sé ed i propri figli, proponendo soluzioni economiche ritenute importanti da quel ceto medio devastato dalle crisi economiche e dalle classi più umili e, persino, a qualche intellettuale che non amava il candidato repubblicano, ma non voleva la Clinton alla Casa Bianca, forse perché donna, forse perché deluso da Barak Obama per i troppi gravi errori commessi a livello internazionale, e a livello interno come la riforma sanitaria che la stessa Hillary riteneva fallita e, quindi, da cambiare.

Per tutto questo anche la previsione che le minoranze fossero compatte per la Clinton s’è dimostrata infondata perché anche ispanici e afro-americani hanno contribuito alla vittoria di Trump, facendolo prevalere in Stati un tempo appannaggio dei democratici.

Certo, ora abbiamo un’America spaccata, le conseguenze del voto Usa si avranno anche in Europa  ed all’inizio non saranno positive considerato che già la premier britannica May s’è schierata con gli Stati Uniti ed il suo nuovo presidente. Mentre la Nato ed i Paesi del Golfo dovranno rivedere le loro strategie. Un fatto, comunque, appare assai probabile: ci guadagnerà la pace nel modo come ha auspicato il cardinale Parolin. E non è cosa da poco. Trump, inoltre, non è proprio quello sprovveduto descritto da molti mass media. L’ha sottolineato anche ieri notte l’ex-sindaco di New York Giuliani che ben lo conosce e gli è stato sempre a fianco. Lo conferma l’abilità con la quale s’è attirato le simpatie degli ambienti militari, dicendo che le forze armate debbono essere rafforzate perché eccessivamente indebolite dalla presidenza Obama o insistendo nel dialogo con Putin nella lotta ad un terrorismo che crea paura anche negli States. Aggiungete che i repubblicani hanno confermato la maggioranza al Senato ed al Congresso e, per taluni, potranno “frenare” gli eccessi trumpiani, ma più probabilmente troveranno un’intesa con chi li ha portati ad  una insperata riconquista della Casa Bianca.

E noi europei, direte? Forse è la scossa che ci voleva per rilanciare l’UE e, anche sulla base delle impostazioni di Trump, potremo, finalmente, trovare con gli Stati Uniti una reale partnership senza subire imposizioni come quelle di Obama ad iniziare dalle assurde sanzioni nei confronti di Mosca e dalle manovre Nato ai confini con la Russia.