E’ veramente difficile dire chi ha vinto in questo turno di elezioni amministrative anche se, bisogna riconoscerlo, il PD ha segnato un punto in più degli altri. D’altra parte, per i partiti di sinistra è fisiologica la partecipazione al voto, è sempre stato così. Comunque, nessuno può cantare vittoria quando l’astensione raggiunge un livello record, rappresentato da 4 italiani su 10 hanno disertato il voto.
Imputare alla crisi che sta attraversando i partiti, è una semplificazione lontana dalla realtà. Secondo me, la crisi è di sistema. Queste elezioni hanno proposto un ventaglio di offerte attraverso tantissime liste civiche, molte fuori dai partiti tradizionali, per poter dare una ampia scelta di amministratori locali a più diretto contatto con i cittadini. Risultato?Ci ritroviamo sindaci, comunque, di netta minoranza a conferma della disaffezione che colpisce duramente le istituzioni, oltreché le forze politiche.
Siamo, in sostanza, alla crisi dell’attuale sistema di rappresentanza democratica. Che non funziona più e va profondamente innovata se non si vuole che la rivolta dei cittadini assuma forme non compatibili con una società civile perché determinata dalla disperazione del presente e dal terrore per il futuro. Quando tra astensionismo, voto anti-partiti per Grillo siamo al 50%, che diviene maggioranza se aggiungete i voti bianchi e nulli, significa che è saltato un vecchio modo di intendere lo Stato e la democrazia, dunque la stessa società.
Per questo si impone un cambiamento radicale e appare risibile che in Italia si pensi di risolvere problemi politici e di struttura con una semplice ingegneria costituzionale.
L’incapacità totale degli attuali partiti ad affrontare la sfida che i tempi impongono ha aperto un vuoto che la protesta grillina in realtà ha acuito, avendo determinato una forte delusione tra i suoi aderenti.
La crisi economica, che continua mordere gli italiani, aggiunge, certo, forti motivi negativi e l’unica nota positiva del voto di domenica e lunedì è il rafforzamento del governo Letta che, grazie al nuovo corso europeo, può meglio operare, cercando di uscire da un’austerità a senso unico e, quindi, dare respiro a famiglie ed imprese.
Si tratterà, comunque, di palliativi perché sarà difficile, addirittura penso sia impossibile, che l’attuale politica sia in grado di determinare, con la necessaria discontinuità e l’indispensabile innovazione, l’atteso cambiamento strutturale. Questo il vero problema.
Se non si riuscirà a collegare la macroeconomia con la microeconomia, ad esempio; se non si delineerà una nuova forma di Stato che tenga anche presenti gli obblighi internazionali e il dovere di fortemente attenuare, non dico eliminare come sarebbe pur giusto, le diseguaglianze purtroppo in costante aumento, non potremo costruire la nuova democrazia . Che dev’essere fondata su istituti che garantiscano davvero i cittadini , anche con nuovi modelli di rappresentanza, favoriscano la partecipazione, affermino un’economia etica , valorizzino le scoperte scientifiche e tengano presente, insieme a quel che offre la tecnologia, il grande valore ella spiritualità.
Tutto questo può essere portato avanti da quella parte, probabilmente minoritaria, degli attuali politici che comprendono il nuovo che si è affermato nel mondo e da nuova classe dirigente, quella esistente sul territorio e quasi sempre ignorata da partiti vecchi e superati anche strutturalmente.
Non sarà facile né semplice, ma questa è la strada giusta per ridare un futuro anche alle nuove generazioni.