DALL’UMBRIA ALLA TERRA SARDA – Nicoletta Tarli presenta “La Novità 2”

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Un critico d’arte, Giovanni Zavarella, su un’altra personale di Nicoletta Tarli, scriveva di lei: “è una pittrice in cammino che persegue bellezza e conoscenza. Con negli occhi le lacrime della malinconia esistenziale”.

Chi conosce Nicoletta sa quanto di vero c’è in queste parole. In effetti, nelle sue opere sia in quelle attuali che in quelle del passato recente, data la sua giovane età, traspare il grande travaglio, goduto e subìto, durante la sua vita. Ma, la sua arte non è solo condizionata dagli eventi della sua vita, Nicoletta subisce piacevolmente la bellezza del territorio dove vive, l’Umbria, con la dolcezza dei suoi paesaggi, immutati nei secoli, oggetto di grandi pittori che vanno dal Perugino a coloro che hanno rappresentato il Rinascimento umbro.

Ai panorama in retrospettiva richiamati in quasi tutti i dipinti di Nicoletta ritroviamo, in primo piano, delle figure femminili, lavoratrici nei campi, prima, che ci guardano con disperazione, poi addirittura senza volto e, casualmente, senza mani.

Non essendo un critico d’arte ma limitandomi alla sola osservazione e quindi propenso alla cronaca, ritengo che tutto questo sommarsi di espressioni diverse, di momenti della sua vita, di un0 stato d’animo complesso.

Nell’osservazione mi viene in mente che Nicoletta abbia volutamente tratto la sua ispirazione, nell’esporre le sue immagini a quel primo rinascimento, quello che i pittori dell’epoca mettevano in primo piano quelle figure che nulla avevano a che vedere con il paesaggio su cui erano state poste e che, molto appropriatamente, chiamavano “capriccio”. Nicoletta è andata oltre, le sue figure, il suo “capriccio” non a caso non è collocato fuori posto, anzi direi, seppur con proporzioni diverse, che è sempre inserito nel contesto del territorio, Lei, nell’intento di dargli maggior risalto, lo colloca in primissimo piano, esaltandone le forme. Una forma nuova per esaltare la fatica del lavoro dei campi ed il desiderio di emergere quel lavoro femminile che non si ferma di fronte a nessuna fatica. L’importanza del ruolo della donna nello scorrere dei tempi, l’evoluzione della stessa nello scorrere della vita, della sua indispensabilità.

Questa è Nicoletta Tarli, una mente vivace, uno spirito libero, tutto creazione:  dipinti belli per i colori che, come dicevo all’inizio, rispecchiano la dolcezza della sua terra, come il suo animo.

Ma, Nicoletta non è solo pittura. In questi ultimi tempi, pensando più al prossimo che a se stessa, ha trasferito una parte della sua creatività verso altre materie: ha voluto creare una “bambola” di pezza, particolare e, per non farsi mancare nulla crea dei gioielli di sua ideazione, monili bellissimi per signore di tutte le età.

Questa è la Nicoletta che troverete da lunedì 1 agosto presso la ex-bi di Santa Teresa Gallura in una sua vernice, a partire  dalle ore 19,00 sino all’8 agosto 2016, sarà Lei stessa a ricevervi e, su vostra richiesta, a parlarvi delle sue opere.

Beppe Tusacciu

Renzi perde pezzi al Senato – (la minoranza Pd presenta una nuova legge elettorale)

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Continua a succedere di tutto e tutto sposta l’attenzione che si concentra sui temi che vanno da quella specie di golp da operetta,utile solo al presidente turco portato a termine solo per liberarsi degli incomodi al regime,  sino  alla drammacità degli attentati che ora si stanno spostando verso quella Germania che continua ad essere dura verso il nostro Paese e non solo. Comunque, che, che se ne dica, non sfuggono certo i fatti che riguardano la nostra situazione politica. Si, tempi sempre più duri per Matteo Renzi e persino Giorgio Napolitano, il che è tutto dire, chiede di cambiare l’Italicum, ossia  il ballottaggio così com’è oggi. Segue a ruota la minoranza del Pd che ha presentato una nuova legge elettorale chiamata il Bersanellum perché è una versione aggiornata  e corretta del Mattarellum.

Il segretario-premier, imitato dalla Boschi, insiste a dire che proprio l’Italicum è una buona legge, ma  già aveva fatto marcia indietro, sostenendo che il Parlamento se vuole può cambiarlo. Ora che i bersaniani e dalemiani  hanno messo sul tavolo le nuove carte come contributo al dibattito parlamentare spetterà, innanzitutto, ai renziani fare una mossa. La proposta, significativamente  intestata all’ex-segretario dei dem, di fatto smantella la struttura ideata dal segretario-premier e prevede un ritorno  ai collegi elettorali, più piccoli di quelli previsti, e alla preferenza, premio di maggioranza, più basso, alla lista o alla coalizione, premio di maggioranza  anche alla seconda lista o coalizione.

E’, di fatto, una piccola rivoluzione rispetto all’Italicum e, certamente, amplia l’invito di Napolitano  a cambiare “nel senso di non puntare a tutti i costi sul ballottaggio”   anche perché siamo al tripolarismo che “rischia di lasciare la direzione del Paese a una forza politica di troppo ristretta legittimazione nel voto del primo turno” . Ed è un invito diretto a Matteo Renzi affinchè prenda una “iniziativa” in merito,  unica possibilità per ammortizzare, a partire dal Pd, la contrarietà al “sì” per il referendum costituzionale, sul quale la ministra Boschi ha commesso una clamorosa gaffe, sostenendo che la sua approvazione è fondamentale nella , lotta al terrorismo. Ridicolo, ma è proprio così quel che ha detto !

Il fatto politico centrale dell’altro giorno è, comunque, la decisione di Renato Schifani di dimettersi da presidente dei senatori di Area Popolare( Nuovo Centro Destra-Udc) perché il suo partito, l’alfaniano, “ha disatteso i principi fondamentali e la sua missione”. La conseguenza –ha spiegato- è che “ha assunto una posizione  eccessivamente filo-governativa che ha portato una oggettiva difficoltà  portare avanti  i nostri punti programmatici e ad affermare la nostra identità”

Schifani non è il solo su questa posizione e nel deprecare  le offese  di alcuni alfaniani a Berlusconi (“è noto –ha detto- che io sia legato al Presidente”)non esclude di lasciare il Ncd, dando un contributo a costruire un nuovo centrodestra che comprenda anche la Lega  sull’esempio  sul “modello Parisi” a Milano.

Ora già altri quattro senatori di Area Popolare non nascondono la volontà di seguirlo e non è un caso che tutto il gruppo abbia votato compatto sugli Enti Locali contro l’impostazione governativa. Né è senza significato che proprio il Senato abbia respinto la richiesta dei PM milanesi di utilizzare le intercettazioni dell’allora senatore Berlusconi sulle “Olgettine”, fatto che ha scatenato le reciproche accuse di Pd e 5 Stelle e ha visto il compattamento di tutta l’area moderata, obiettivo che pare essere condiviso anche da quattro senatori verdiani che, ormai, hanno trovato l’intesa con il commissario siciiano della Sicilia, Miccichè” con il quale insistono per convincere Alfano a candindarsi presidente della Sicilia. Il ministro dell’Interno non ha detto ne sì ne “no”, di fatto ha preso tempo e, nell’attesa, va avanti con il progetto di costituire un nuovo partito di Centro che unisca Ncd, Udc, Tosi e l’attuale vice-ministro Zanetti che ha già annunciato l’avvenuta intesa, provocando  una vera e propria rissa politica in una Scelta Civica, ancora con un bel  gruppetto di parlamentari, ma al lumicino, ossia quasi scomparsa, nei sondaggi.

In sostanza, si è aperta, da tempo, una nuova fase politica che vede in fase calante il segretario-premier, i grillini ancora in grande spolvero, nonostante le divisioni   sulla sindaco di Roma,  e Forza Italia ora coordinata da Parisi, superare la Lega salviniana  e impegnata a riunificare i moderati in un centrodestra che, sulla carta, sarebbe addirittura maggioritario.

L’attuale tripolarismo rende  sempre più incerto il quadro politico ed al Senato la maggioranza governativa si sta sempre più assottigliando. E nemmeno lo spettro che evoca Renzi di elezioni anticipate, se cade il suo governo o viene bocciata la riforma costituzionale, spaventa i suoi oppositori. Sanno  bene che rimarrebbero ancora in Parlamento perché Sergio Mattarella non scioglierebbe le Camere   in una fase particolarmente delicata nella quale sarebbe necessario quel “nuovo patto per l’Italia da parte delle forze politiche di maggioranza e opposizione” auspicato da Giorgio Napolitano: un patto, cioè, basato sul “ruolo del nostro Paese in Europa”, su “un piano per la crescita, l’occupazione, il Mezzogiorno” e su “un intervento  risoluto e condiviso rispetto al tema della prevenzione al terrorismo ma della mobilitazione per sconfiggerlo” ed, infine, su “una unione di intenti rispetto alla politica dell’immigrazione e dell’asilo.”

Pare quasi, questo indicato dall’ex-Capo dello Stato, il programma per quel “governo di scopo” che il suo successore  potrebbe varare in caso di crisi dell’attuale governo. Credo che Matteo Renzi farebbe bene a riflettere su tutto questo e, forse, potrebbe convincersi ad attuare le opportune “iniziative”.

L’U.E. in crisi non ha difesa

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La nuova strage terroristica in Francia conferma, purtroppo tragicamente, che un‘Unione  Europea in crisi, divisa e lacerata da risorgenti nazionalismi, non ha difesa. E’ assente, infatti, un’intelligence europea, non esiste  un vero scambio di informazioni tra quelle dei vari Paesi, non si è costituito  un esercito europeo e la politica estera comune è un sogno.

Di contro, facendo molte delle Nazioni UE parte della Nato, continuiamo nelle sanzioni contro la Russia, facciamo manovre militari ai suoi confini e consideriamo la Russia un potenziale pericolo al punto da inviare truppe, italiane comprese, a quei confini. Più autolesionisti di così si muore considerato che abbiamo bisogno di Putin nella battaglia contro il terrorismo.

Il fatto è che stiamo pagando clamorosi errori  commessi dall’Occidente in passato  e ripetuti, più recentemente, dagli Stati Uniti  nelle aree  strategiche ricche di giacimenti petroliferi. Troppe volte, infatti, si sono aiutati, anche militarmente con grandi forniture di armi, dittatori, poi divenuti nemici e, quindi, abbattuti, lasciando, però, i loro Paesi divisi e con i fondamentalisti islamici forti di quelle armi e di alcuni giacimenti petroliferi. E’ accaduto in Iraq, s’è ripetuto in Libia con l’aiuto francese di quel Sarkozy che ora vorrebbe rimontare in sella, si stava ripetendo, se non c’era il “no” della Russia e, soprattutto, di Papa Francesco, in Siria che , di fatto, controlla il Libano dove è stato scoperto sulla costa il più grande giacimento di gas del mondo,

Troppe volte, inoltre, Obama ha chiuso gli occhi su due alleati come la Turchia e l’Arabia Saudita  che aiutavano l’Isis, il quale applica le stesse leggi, pur estremizzandole di più, dei sauditi, con i turchi che  continuavano a perseguitare i curdi .

Troppe volte, infine, l’Occidente, nel suo complesso,  ha ritenuto di utilizzare per i propri interessi economici e strategici l’atavico odio tra Sciiti e Sunniti che tante vittime innocenti ha provocato anche tra gli arabi.

Ciò che è accaduto e sta accadendo in Iraq, in Siria e Libia, ad esempio, conferma ampiamente questo quadro al quale va aggiunta la situazione delle balie francesi e belghe, dove la crisi economica  ha lasciato, spesso senza lavoro i figli  dei molti immigrati dalle ex-colonie africane  divenuti francesi a tutti gli effetti ed attratti dallo  stato islamico e dalle sue suggestioni  sino a divenirne, in parte, simpatizzanti o militanti, quest’ultimi potenziali terroristi come s’è visto. E’ questo è quanto sta avvenendo con i nostri immigrati.

Dinnanzi a tutto questo l’UE è incapace di farsi una vera difesa o di integrare realmente le intelligence dei vari Paesi per uno sforzo comune di prevenzione, concordato anche con quelle statunitensi. Non si può,certo, dire che la Francia sia, comunque, sprovveduta in questo settore.Tutt’altro. Il capo dei suoi servizi segreti, in una udienza riservata all’Assemblea generale, aveva detto che erano da prevedersi attentati con camion-bomba. Si avevano, dunque, alcune informazioni utili che, se confrontate con quelle di altri Paesi, potevano forse evitare la strage di Nizza .E lo stesso presidente del consiglio francese  aveva detto, dopo i sanguinosi attentati di Parigi, che la scia di sangue sarebbe, purtroppo, continuata con altre vittime innocenti. Di fatto è l’ammissione di una situazione  senza controllo: dinnanzi a questo, dinnanzi alle ripetute stragi terroristiche che fa Bruxelles, intendo l’UE? E’ assente al di là delle solite condoglianze di rito. Non assume iniziative concrete, solo parole al vento e solidarietà di facciata.

Si dice che le sconfitte subite dall’Isis sul piano militare, sino all’insidia delle sue roccaforti abbia scatenato questa nuova  ondata  terroristica. Può essere, ma siamo proprio sicuri che l’Occidente abbia fatto tutto quello che era necessario contro l’Isis, chiedendo l’aiuto della Russia? E la riluttanza di Obama a non andare al di là sia dell’invio di gruppetti di truppe speciali, sia  dei bombardamenti, che in alcuni casi sono controproducenti per le vittime innocenti che provocano, sia a fare un vero accordo con Putin non  potrebbe avere, di fatto, impedito una decisa azione di terra contro lo Stato islamico?

Quel che sta accadendo in Asia ed in Africa con l’escalation terroristica degli estremisti islamici dovrebbe consigliare di mettere al bando vecchie perdenti strategie e interessi particolari, anch’essi alla fine perdenti, per un’azione comune  che impedisca al terrorismo di qualsiasi specie ed estrazione di   continuare a sconvolgere il mondo, devastando anche le economie di molti Paesi e, quindi, finendo per  creare ulteriore povertà.

Siamo, ormai, sull’orlo di un baratro  e c’è chi potrebbe avere la tentazione di evitarlo, precipitando in una “grande guerra”  con una soluzione ben peggiore del male che oggi viviamo. Auguriamoci, quindi, che le grandi potenze comprendano la necessità  di una vera intesa contro il terrorismo che le minaccia tutti, nessuno escluso.  Perché non esistono più “guerre locali” e “salvezze nazionali”: siamo insieme su una stessa barca: la barca di un mondo nel quale la civiltà e la vera solidarietà debbono vincere.

Un Renzi indebolito da De Benedetti tenta una rimonta

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E’ una vera marcia indietro bella e buona quella di un Matteo Renzi sempre più indebolito ed abbandonato anche dalla tessera n. 1 del Pd e suo antico sponsor Carlo De Benedetti con una clamorosa intervista a tutta pagina sul “Corriere”.
Sino all’altro giorno ed anche nelle recente direzione dei dm il segretario-premier aveva detto (sintetizzo): l’Italicum non si tocca, va bene così, concentriamoci sul referendum costituzionale che è” decisivo per il futuro dell’Italia. Ora, dal vertice Nato di Varsavia, cambia idea ed apre, di fatto, alle modifiche sulla legge elettorale e , persino, alla “spacchettatura del referendum”, ossia a più quesiti, sperando, indirettamente, che lo faccia la Cassazione e Corte Costituzionale. Leggete queste frasi testuali: “L’Italicum è una legge molto buona, ma ora non ne parlo più. Sulla legge elettorale non apro più bocca, è un tema nella disponibilità del Parlamento e se ci sono i numeri si può anche cambiare.”
Per Gianni Cuperlo, uno dei leader della sinistra dem, è, questa, una buona notizia perché il premier rimette la questione nelle mani del Parlamento, dove persino 113 deputati Pd sui 181 interpellati dal “Corriere” sono favorevoli a cambiare le regole del gioco. La marcia indietro renziana è, quindi, evidente forse anche perché l’ingegner De Benedetti nella sua intervista ha detto chiaro e tondo: nuova legge elettorale o voterò no al referendum” , aggiungendo: “Renzi con l’Italicum rischia di diventare il Fassino d’Italia”, evidente riferimento all’ex-sindaco di Torino, dato per favoritissimo e ,poi, sconfitto dalla candidata grillina.
De Benedetti ha lanciato altri messaggi al segretario-premier. Ha suggerito di nazionalizzare le banche in difficoltà, quindi anche il Monte dei Paschi, fregandosene dei veti dell’UE e facendo altrettanto andando oltre allo sforamento dl 3% del vincolo di bilancio per “investire nel sapere”, come avrebbe dovuto già fare con i 10 miliardi andati ai famosi 80 euro. Deve, poi, smetterla di di essere un pur “formidabile storyteller di cose che vanno bene. Oggi l’economia, il lavoro, le banche non vanno bene.”
Mi pare, questo, un messaggio chiarissimo e non certo amichevole anche se alla fine De Benedetti indora la pillola, dicendo: ”ho ancora fiducia di Renzi”, sì, ma a patto che faccia quel che dice l’Ingegnere ed è da dimostrare, ad esempio, se sia interesse dell’Italia nazionalizzare, mettiamo, il Monte dei Paschi di Siena , accollando sulle spalle degli italiani i debiti e le sofferenze, ossia i prestiti facilmente rogati e non rimborsati dai precedenti amministratori.
Renzi, comunque, insiste sul referendum, ma cerca di spersonalizzarlo, negando che sia un plebiscito su di lui, visto che il “no” è in testa . E nessuno ancora conta, nei sondaggi, i quasi 4 milioni di elettori italiani all’estero ai quali sono stati scippati i sei senatori che inviavano a Palazzo Madama e che voteranno per corrispondenza nel referendum, ovviamente ingrossando il “no”. Pensate che in quello per le trivelle, tema per questi cittadini scarsamente interessante, hanno votato la stessa percentuale ottenuta sul territorio nazionale, ma addirittura con punte nettamente superiori, addirittura in America Latina.
Come ricorderete il segretario-premier aveva detto: se perdo il referendum, vado a casa. Anche la ministra Boschi aveva detto altrettanto. Ora i due ci hanno ripensato. Il primo ha detto che, comunque,rimarrò segretario del Pd; la seconda: ”non è un voto sul governo”. Entrambi ora insistono a dire che si deve parlare di contenuti, “non dobbiamo evocare la paura” anche se con il “no” ci sono notevoli rischi per l’Italia”. E ancora: “ Non vogliamo –spiega Renzi – un voto di fiducia o di simpatia verso il governo, ma un dibattito serio e approfondito sul contenuto delle riforme che vanno ben oltre la vita dell’esecutivo”. Come marcia indietro, anche qui, rispetto alla passata personalizzazione del referendum non c’è male…… Persino la eventuale “spacchettatura” del referendum non dispiacerebbe ai renziani, soprattutto la decidesse la Suprema Corte , ipotesi che ha fatto dire al presidente dei senatori forzisti Romani “sarebbe un inganno”.
Il fatto è che Silvio Berlusconi è schierato, sino ad oggi, sul “no” per costringere Renzi alle dimissioni e sostenere un “governo di scopo” che sicuramente Mattarella favorirebbe per evitare il voto anticipato, evocato invece dall’ex-sindaco di Firenze, e consentire il varo di una nuova legge elettorale e la soluzione di problemi ormai emergenziali. Né tranquillizzano i fautori di un cambio dell’Italicum, ad iniziare dai centristi di governo, le ripetute dichiarazioni di esponenti della maggioranza del Pd, compresi i due capogruppo, sul fatto che delle modifiche all’Italicum si parlerà dopo il referendum costituzionale.
Ho, quindi, l’impressione che la marcia indietro renziana finisca per apparire una mossa disperata e piena di trabocchetti, comunque da rifiutare in mancanza di atti concreti come chiesto anche dal ministro Franceschini e dagli alfaniani che hanno, ormai ripreso, il dialogo con il Cavaliere imitati da molti verdianiani. Tutto può, quindi, accadere.
A tutti questi attacchi, la difesa di Renzi non e’ affatto convincente, quando, attaccando, com’è suo costume, cercando di dimostrare di non essere indebolito, di non aver affatto paura del referendum costituzione e del voto dei cittadini. Lui è convinto di vincere la sfida  e resterà a Palazzo Chigi anche dopo il 2018, ossia dopo le elezioni politiche, Di Maio non sarà il suo successore allora e né poi. E nella lunga intervista a Beppe Severgnini, sul “Corriere” spiega: “Tutti a dire  negli ultimi due mesi: ‘Renzi devi essere più umile, meno arrogante’. Allora  io dico se do questa impressione forse sbaglio io e tutti a dire : ‘vedi ha abbassato il tono, ha paura’. Io rispondo con un grande sorriso.”
I sondaggi, però, sono in continuo calo per il segretario-premier, il “sì” nel referendum cala vistosamente ed ormai il “no” prevale, mentre anche gli alleati centristi  sono in agitazione ed i dati economici  e sociali preoccupano sempre più gli italiani. Non sono, queste, invenzioni, ma fatti reali com’è reale la clamorosa marcia indietro renziana sull’Italicum, fino ad ieri intoccabile ed ora modificabile se lo  vuole il Parlamento: qui non siamo ad un abbassamento di toni, ma ad un cambio di marcia anche sulla base  degli avvertimenti di Franceschini, seguiti da quelli, ben più pesanti, della tessera n.1 del Pd, ossia l’ingegner Carlo De Benedetti  che vorrebbe addirittura la nazionalizzazione delle banche italiane in difficoltà, probabilmente ad iniziare dal Monte dei Paschi che qualche favore, in passato, all’ingegnere ha fatto secondo “Il Giornale”. Né  può ignorare Renzi le critiche che provengono da osservatori imparziali, come  Antonio  Polito, ex-senatore Pd e vice-direttore del “Corriere”, che proprio l’altra sera, in Tv,  contraddicendolo ha detto chiaro e tondo che in due anni di governo renziano le cose non sono affatto cambiate.
Come,poi, non dare ragione ai non pochi che sostengono: gli italiani hanno altri problemi esistenziali che non discutere di riforme che non risolvono alcunché ai dieci milioni di cittadini che non si curano per non spendere  ed ai 3 milioni e passa di poveri totali o ai troppi giovani che non trovano un lavoro.  Per questo   sembra  assurdo anche il dibattito sull’eventuale spacchettamento del referendum, negato ora da Renzi   come da Forza Italia e dai Cinque Stelle, anche se saranno Cassazione e Corte Costituzionale a decidere, Referendum che sembrava per i primi di ottobre, ma che alla fine  potrebbe slittare  6 novembre.
L’insistenza con la quale i capigruppo Pd  dicono che, comunque, dei cambiamenti all’Italicum si palerà dopo il referendum potrebbe tentare  qualche centrista e qualche verdiano critico ad inviare un segnale al premier. Che pure, a parole, s’è chiamato fuori dalla questione dicendo: “La legge elettorale   c’è e dice che vince chi arriva primo. Se il Parlamento  è in grado di farne un’altra si accomodi.”
Certamente, Matteo Renzi è fortemente indebolito,  certamente spera ancora nel soccorso berlusconiano, diretto o camuffato, ma quanto ad arroganza  e quasi-disprezzo nei confronti di chi non la pensa come lui non pare proprio cambiato  .

Mala Tempora currunt

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“Mala tempora currunt”. Credo che niente si possa trovare di meglio che l’allocuzione di Cicerone: il Paese è al collasso e non vogliamo rendercene conto, presi, forse, dal clima vacanziero e dal tutti “volemose bene”. Purtroppo le cose non stanno esattamente così, tutto fa pensare al peggio e solo chi non è asservito al carro renziano cerca di metterci in guardia su una situazione tutt’altro che semplice.
Il vertice di ieri tra il premier ed il Presidente della Repubblica   conferma che la situazione politica è sempre più delicata,  con l’UE che ha posto un freno alla ricapitalizzazione delle nostre banche e la tendenza di 8 senatore alfaniani e quattro verdiniani di tornare alla casa madre berlusconiana, chiedendo ai rispettivi partiti di uscire dalla maggioranza parlamentare e, al massimo, dare un appoggio esterno al governo, ma in cambio di precise contropartite. Quelle contropartite che, oggi, Matteo Renzi non intende concedere, ad iniziare dalle modifiche all’Italicum, rinviate, semmai, a dopo il refrendum costituzionale slittato ai primi di novembre   .
Il Capo dello Stato preme per la modifica e non vedrebbe negativamente lo spacchettamento del referendum in due parti per disinnescare  il “no” almeno sulla prima e, probabilmente, non sulla riforma del Senato che appare troppo pasticciata. Renzi , per il momento, non cede nemmeno su questo, convinto di poter, comunque, vincere considerati i molti “non so” dei sondaggi che pur vedono i ”no” prevalere. Il segretario premier conosce benissimo i mal di pancia dentro il Nuovo Centro Destra ed i verdiniani, ma è convinto di superarli con la minaccia del voto anticipato. Il suo, in sostanza, sarebbe un rischio calcolato ad iniziare da martedì prossimo quando, al Senato, si voterà sulla riforma del bilancio degli Enti Locali, per la quale occorre la maggioranza qualificata di 161 voti  e non la semplice maggioranza dei presenti. L’esistenza di 8 senatori alfaniani e quattro verdiniani  che si sono pronunziati per l’uscita dal governo e dalla maggioranza parlamentare sta creando, ovviamente, un clima di incertezza anche se  la solidarietà espressa ad Alfano dinnanzi alla annunciata richiesta di dimissioni dei 5 Stelle, della sinistra e della Lega potrebbe, in questo momento, rinviare la mini-scissione  considerato anche che Forza Italia, alla quale i 12 guardano sostiene il ministro dell’Interno.
C’è, inoltre, da aggiungere che una crisi di governo, oggi, creerebbe gravi problemi sulla tenuta della nostra economia in una fase estremamente delicata dopo la Brexit e con le  nostre banche, con in testa lo storico Monte dei Paschi di Siena, in evidente difficoltà. Non sta, però, tranquillo il capogruppo dei deputati centristi Cicchitto  per il quale i criminali intelligenti sanno anche essere responsabili, ma i criminali stupidi no, riferimento non proprio simpatico nei confronti dei dissidenti  che comprenderebbe addirittura anche l’ex-presidente del Senato Schifani , capogruppo dei senatori alfaniani. C’è anche da chiedersi cosa convenga allo stesso Alfano, sempre più bersagliato  dalle intercettazioni   ampiamente riportate dai mass media. Una crisi di governo farebbe, infatti, passare in secondo piano la sua vicenda personale e cadrebbe anche l’annunciata richiesta di dimissioni  con il relativo dibattito.  Neanche la minaccia renziana di voto anticipato sembra un forte deterrente perché Mattarella  non potrebbe sciogliere le Camere e potrebbe affidare l’incarico mettiamo al Presidente del Senato o altra personalità per un governo d’emergenza in una fase così delicata per l’Italia e l’Europa. Si dirà: Renzi rimarrebbe segretario del Pd e potrebbe dichiararsi contro una simile ipotesi. Che, però, potrebbe avere la maggioranza in Parlamento  per l’appoggio della sinistra dem  e, persino, di qualche reanziano tiepido dinnanzi alla prospettiva di andare a  casa e di non essere sicuro della rielezione.
Saranno, quindi, i prossimi giorni  di fuoco  a meno di colpi di scena  da parte del segretario-premier. Di certo c’è che  prosegue  la riaggregazione del centro  con ancora in primo piano Silvio Berlusconi che da Arcore sta riorganizzando Forza Italia.

I DUE PARTITI DEL PD – PIANO “B” DI BERLUSCONI per il richiamo e la riunificazione dei moderati

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Se pure ve ne fosse stato bisogno, dalla Direzione PD sono emerse le varie anime che in quel Partito hanno difficile convivenza, anzi possiamo dire che nel Pd esistono, ormai, due partiti contrapposti: da una parte la sinistra dem  con dalemiani (Cuperlo) e bersaniani (Speranza )in minoranza; dall’altra  renziani e alleati orfiniani in netta maggioranza. Sembrano sempre più inconciliabili con i primi ormai all’offensiva, chiedendo  sia prima sia durante la Direzione di ieri  un cambio totale nella politica economica del governo, dell’Italicum e lo sdoppiamento delle cariche segretario del partito e premier.
Renzi, nella sua relazione, ha risposto picche su tutta la linea,quasi irridendo la minoranza che  vorrebbe tornare ad un passato perdente e, poi, paragonata al Conte Ugolino di tragica memoria pisana  perché abituata a far fuori i segretari del partito,”ma con me – ha precisato – non ci riuscirete. Se volete che io lasci, chiedete il Congresso  e possibilmente vincerlo.”  Ne ha avute, quindi, anche sia per i “renziani last minute” che, secondo le voci di Montecitorio starebbero per lasciarlo (”se vanno via e,poi, volessero rientrare troverebbero i posti occupati”), sia  per i “renziani della prima ora” ed i “last” che rimangono che non possono, non devono fare una corrente(“con me le correnti non governano il partito).
Quindi, niente modifiche nemmeno per l’Italicum , anche  se appare  accenno per il prossimo futuro  la richiesta di sostituire  il ballottaggio tra partito con quello tra coalizioni,avanzata da un Dario Franceschini che, quasi a sorpresa visto che era considerato un possibile rivale del segretario, ha difeso a spada tratta Renzi. Il quale sostiene che oggi non c’è in Parlamento una maggioranza per operare solo questo cambiamento, ma in realtà attende  un segnale da Forza Italia dopo quello lanciato da Fedele Confalonieri con l’intervista a ”La Stampa” per un ritorno al Patto del Nazareno. Le reazioni tra i berlusconiani  sono state  in gran parte negative anche per non rompere definitivamente con Lega e Meloni senza avere precise contropartite dal premier  ad iniziare dalla modifica alla legge elettorale. Ufficialmente, dunque, rimane il “no” dei forzisti al referendum costituzionale , la cui data è ancora da determinare  perché prima si deve attendere la decisione della Suprema Corte sulla costituzionalità o meno della riforma e solo dopo il governo potrà stabilire quando  si farà il ricorso ai cittadini.
Non v’ha dubbio che sino ad allora  i contatti esistenti tra Renzi ed i più stretti collaboratori del Cavaliere proseguiranno, mentre Forza Italia accentuerà la sua caratteristica di partito di centro con l’obiettivo di recuperare i molti assenteisti che disertano le urne. E, probabilmente, di ristabilire , per ora, uno stretto collegamento con gli alfaniani, a partire dalla Sicilia, e con i verdiniani, alcuni dei quali , ad iniziare dai siciliani, non attendono altro che tornare con Berlusconi che pare intenzionato a riprendere le redini dei forzisti. Assistito  e consigliato,  innanzitutto, da un quartetto di suoi storici amici: Confalonieri,  Doris, Ghedini e un Gianni Letta tornato in primo piano.  Potrebbe, così, riprendere corpo quel Partito della Nazione  a vocazione maggioritaria, per il quale Matteo Renzi ha varato l’attuale Italicum e rottamato la sinistra dem.
Ad ogni modo, seppur sotto traccia, senza eccessivi clamori, ma già con i primi risultati è iniziato il processo di riunificazione dei moderati italiani. E’ frutto della svolta compiuta da Silvio Berlusconi nelle elezioni per il Comune di Roma , rompendo con l’asse Meloni-Salvini. I risultati di un mega-turno parziale amministrativo  hanno confermato la bontà della scelta operata,  nonostante i mugugni dei forzisti del Nord  , ed ha determinato, dopo il delicato  e riuscito intervento al cuore del Cavaliere,  il ritorno in prima linea della vecchia guardia berlusconiana, con in testa Gianni Letta che non ha mai condiviso la linea dell’ex-consigliere politico di Berlusconi ed ora presidente della Liguria Toti di uno stretto collegamento  con  Salvini.
Il rilancio di Forza Italia e le dichiarazioni europeiste del leader forzista all’uscita dall’ospedale   confermano  che la distanza  con il segretario leghista, schierato con la populista francese  Marine Le Pen e  favorevole ad uscire dall’UE.  E’ da prevedere,quindi, che durante l’estate  si accentuerà il processo di riunificazione dei moderati anche considerando che nell’ultimo sondaggio , quello di Ballarò, Forza Italia ha superato la Lega e la fiducia nei leader vede addirittura la risalita di Berlusconi che, con  il suo 25,1% insidia il quarto posto di Salvini (25,4%) e supera abbondantemente la Meloni (17,6%), mentre Renzi è sceso al secondo posto con il 27,2% (il suo governo è al 24%) e in testa c’è il 5Stelle Di Maio con il 30,6%.
Aggiungete le fibrillazioni nella maggioranza parlamentare  non tanto quelle della sinistra den , maltrattata e irrisa dal segretario-premier, ma soprattutto  per l’iniziativa di un gruppo di senatori del Nuovo Centro Destra che chiedono  l’uscita dal governo  per tornare alla casa madre perché “quello che dovevamo fare,l’abbiamo già fatto , ora dobbiamo ricostruire l’area moderata.” Il virgolettato è del senatore Giuseppe Esposito , molto vicino al suo  capogruppo  Schifani  che, da tempo, ha ripreso i contatti con il Cavaliere e sta lavorando , d’intesa con il leader forzista in Sicilia Miccichè ,  per una lista nelle elezioni regionali che riunisca tutti i berlusconiani, attuali ed ex. Pare, addirittura, sia stata ipotizzata, in un pranzo romano, la candidatura di Alfano a presidente dell’Isola  con il ministro dell’Interno che non avrebbe risposto di no, ma rinviando a tempi più opportuni una decisione.
Esposito ed altri sette senatori alfaniani insistono, comunque, per uscire dalla maggioranza.”Quando ? – si chiede retoricamente  l’esponente  ncd  -Già domani” si risponde, aggiungendo : “Renzi non reggerebbe ? Non è un mio problema.Adesso è finita la fase dell’emergenza: Dobbiamo uscire dal governo , non dobbiamo aspettare il referendum costituzionale.”  Un referendum  che sembra mettersi male per Renzi  perché sempre ieri sera a Ballarò i dati  emersi dal sondaggio della Ghisleri  danno il “No” in crescita con il 34% contro il 28,6 % dei “Sì”, ma anche con un 37,4% di chi risponde “non so”. Né appaiono tranquillizzanti per il governo le rivelazioni dell’Istat di giugno, addirittura  prima delle amministrative e della Brexit, ossia in tempi anche politicamente più tranquilli, visto che   sono calati gli indici di fiducia delle famiglie e delle imprese , particolarmente in quelle della vendita al dettaglio , segno che i consumi vanno male.
Logici, quindi, i movimenti tellurici che si verificano nella politica italiana  e il ricostituirsi, sotto l’egida  forzista, di  una forte centro che attragga i moderati ed offra rappresentanza ai cattolici..  Questa circostanza e la  parallela rottamazione della sinistra dem da parte di Renzi   fa prevedere che un possibile sbocco  finale sia  il famoso partito della Nazione capace  di vincere , probabilmente, senza andare al ballottaggio, rendendo inutile l’attuale dibattito sul cambiamento dell’Italicun,un dibattito che non sembra interessare Berlusconi  che per un paio di mesi farà riabilitazione, ma che potrà dedicare più tempo a riflettere sulla situazione politica e sulle iniziative da adottare.  Lo tenta molto la vittoria del “no” al referendum  perché rimarrebbe il consultellum, ossia quello salvato   della vecchia legge elettorale dalla Corte Suprema dopo la dichiarazione di incostituzionalità di certe parti. Si voterebbe di fatto con la proporzionale pura e lo sbarramento al 3% , mentre rimarrebbe il Senato, dunque i giochi si farebbero dopo , lasciando la porta aperta la varie soluzioni.
Berlusconi, infatti,  non esclude  un exit-b   che potrebbe comportare  anche un ritorno al centrodestra purchè senza Salvini ,ma con una Lega che abbandona posizioni estremiste e  valorizza quelle moderate del governatore veneto Zaia . Va considerato che già oggi, nei sondaggi il centrodestra  è in testa con il 31,7%,senza gli alfaniani, contro il 29,5% dei 5Stelle, primo partito, e il 29 del Pd  che in un eventuale ballottaggio con i grillini perderebbe alla grande.
In tutti i casi condizione fondamentale  è  che il processo di riunificazione dei moderati vada avanti sulla base  della difesa del vero europeismo , della ricostruzione del ceto medio  e del senso di responsabilità sulla base  di quei valori  che consentano  di recuperare la maggioranza che diserta le urne o vota scheda bianca e ,peggio, scheda nulla.Su queste impostazioni sarebbe ,certamente ,agevole  esprimere  anche  una leadership  capace di suscitare  i consensi degli italiani  e  dare al Paese un governo autorevole,sostenuto, finalmente, dal voto maggioritario dei cittadini  e non da un Parlamento  eletto da una legge elettorale incostituzionale.

L’Italicum un’insidia per Renzi e il governo

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Siamo in piena stagione degli attentati terroristici: a parte i precedenti Turchia e Bangladesh segnano il mondo; l’Europa scricchiola sotto il peso del distacco inglese; i brogli elettorali non sono una prerogativa del nostro Paese, un ramo teutonico ci fa lezione anche se in modo abbastanza maldestro; il Campionato di calcio europeo impazza, superando le più rosee previsioni, l’Italia è ai quarti e, chissà, forse domani la potremmo ritrovare in semifinale; l’occupazione giovanile l’abbiamo bloccata sotto il trenta per cento; ora dobbiamo vedere se Italicum SI o Italicum NO, modificato ? Le riforme costituzionali: dilemma amletico, No – Si.

Facciamo la crisi di governo? Questo salverebbe Renzi? Amleto non c’entra, cosa vogliono gli Italiani?

Ora anche Alfano minaccia la crisi  se non cambia l’Italicum. Intanto, tratta con Miccichè per un accordo con Forza Italia nelle prossime regionali in Sicilia e dialoga con Gianni Letta per un eventuale ritorno nel centrodestra alle “politiche” se Renzi continuerà a dire no a modifiche della legge elettorale, come ha fatto anche ieri imitato dalla Boschi.

E’ stata Sinistra Italiana a mettere la mina sotto la maggioranza parlamentare, ottenendo di discutere, in settembre alla Camera, ossia prima del fatidico 4 ottobre, giorno del referendum costituzionale, una mozione proprio sull’Italicum per dimostrarne i difetti.

La minoranza del Pd, che con la Brexit s’era schierata a difesa di Renzi per chiedere un drastico cambiamento dell’Unione Europea, è subito entrata in fibrillazione.   E il senatore  bersaniano  Gotor ha dato voce alla richiesta di  abbandonare l’Italicum per una nuova legge elettorale che “garantisca una maggiore rappresentanza.” “Spetta a Renzi prendere l’iniziativa – precisa – lui è un politico realista, attento ai rapporti di forza  e può lavorare all’unità del partito. Un accordo per cambiare l’Italicum va stretto da qui al referendum d’ottobre”. Altrimenti? Altrimenti “dopo l’estate  faremo un bilancio e decideremo come schierarci al referendum istituzionale”. Come a dire se non si cambia la legge elettorale  diremo tutti “no”, un “no” scandito a chiare lettere, martedì scorso a “Ballarò” da Massimo D’Alema  che ha sparato a zero su Renzi e una rottamazione che ha distrutto il partito, su una  politica economica del governo e dell’UE profondamente errata, sostenendo che oggi non esistono più in Europa veri leader ed addirittura  elogiando, come tale nel recente passato, il democristiano tedesco Khol . Ovviamente, il segretario-premier ha reagito: “non sono un usurpatore, D’Alema dice cose false perché non ha digerito la sconfitta alle primarie”: e ancora: “Non sono un pollo di batteria come loro, che se perdono fan finta di nulla. Io se perdo il referendum vado a casa”.

Nessun accenno renziano  diretto alla minaccia di Alfano :“se l’Italicum non cambia il nostro impegno può considerarsi concluso con il referendum”, ma un chiaro “no” a tutti coloro che chiedono un cambiamento della legge elettorale. Sa bene Renzi che il ministro dell’Interno se farà la crisi  questo si verificherà dopo il referendum e se vincesse il “sì” avrebbe partita vinta. Aveva deciso di giocarsi tutto sul voto referendario  e mantiene questa impostazione  del tutto o niente. E’ un rischio notevole che corre il premier  e c’è già chi è pronto a sostituirlo. Ad iniziare dal ministro dell’Economia Padoan che, in una pagina d’intervista al “Corriere della Sera”, ha fatto un clamoroso giravolta e da arcigno tutore dell’austerity, da ex-FMI s’è trasformato, come il suo collega tedesco, in un assertore della crescita  e degli interessi dei cittadini e non delle banche.  Potenza di una Brexit pilotata dai poteri forti internazionali e dalla Corona inglese?  Resta da vedere, comunque, se quei poteri e collegati  intendono ancora volere  o no Matteo Renzi a Palazzo Chigi. Il tempo scorre veloce e due mesi trascorrono in un soffio.