La guerra tra Fini e Berlusconi porta solo al suicidio del Paese

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Leggendo la cronaca politica di questi giorni, il livello che ha raggiunto, mi convinco sempre di più che questa è proprio una guerra suicida quella tra Gianfranco Fini e Silvio Berlusconi. Suicida per i due contendenti che rischiano di eliminarsi a vicenda; suicida per il Paese che, secondo il Presidente Napolitano, “sta attraversando il periodo più difficile della sua storia, paragonabile solo a quello vissuto all’indomani della guerra, con la ricostruzione”. Non v’è dubbio, comunque, che di fronte all’alluvione, che ha messo in ginocchio, con il Veneto, anche aree del Sud; al dissesto idrogeologico sempre più esteso e devastante; ad una situazione socio-economica che angoscia le famiglie, chi ha perso l’occupazione e i giovani precari o, addirittura, senza lavoro, dinnanzi a tutto questo gli attuali partiti, nessuno escluso, si mostrano del tutto inadeguati. E non offrono garanzia alcuna di rimediare ai loro errori, tutti presi da presunti interessi di parte al punto dal farci trovare nell’instabilità politica. Neppure un governo istituzionale o di transizione, come si dice, pare soluzione positiva. Innanzitutto avrebbe, agli occhi dei cittadini, il sapore di un ribaltone rispetto alla volontà popolare e farebbe di Silvio Berlusconi, che pure si vuole eliminare, quasi un martire con un grosso regalo politico, come dice giustamente il sindaco Pd di Firenze Matteo Renzi. Inoltre questo Esecutivo al Senato non avrebbe, stando ai conti di oggi, la maggioranza e, se anche riuscisse ad averla con qualche “acquisto” spesso rimproverato al premier, non sarebbe al suo interno omogeneo al punto che sarebbe difficile trovare un’intesa persino sulla legge elettorale che si vuole riformare. Non a caso Di Pietro ha annunciato che non entrerebbe in quel governo, dandogli solo un appoggio esterno a termine, ossia per 90 giorni. Vi immaginate che vita avrebbe un tal governo, il cui cemento sarebbe di costituire un Comitato di Liberazione da Berlusconi, visto che Fini e Casini sono decisamente contro il bipolarismo difeso dal Pd e non intendono fare una coalizione elettorale insieme ai democratici di Pier Luigi Bersani che, del resto, non ha alcuna intenzione di farla con i finiani?
Nonostante tutto questo, il Presidente della Camera insiste a chiedere le dimissioni  del premier con una crisi extraparlamentare (sic!) che prepari un nuovo centrodestra, ossia allargato all’Udc, soluzione non gradita alla Lega, e, soprattutto, con un altro Presidente del Consiglio, fatto sul quale
Casini è irremovibile. Il premier dal vertice di Seul ripete sino all’esasperazione: “non ho alcuna intenzione di dimettermi, se Fini vuole mi dovrà sfiduciare in Parlamento, alla luce del sole e davanti agli italiani”, in sostanza prendendosi la responsabilità della crisi in una situazione come quella che i cittadini hanno quotidianamente davanti agli occhi anche con le immagini dei Tg.

Così tutto viene rinviato a fine novembre e, probabilmente, a dicembre, ossia dopo l’approvazione della manovra economica anche con il voto dei finiani, se non sarà posta la fiducia, con la loro assenza in caso contrario. Intanto lunedì il ministro Ronchi, il vice-ministro Urso e il sottosegretario Menia presenteranno al premier quelle dimissioni che avevano messo in mano a Fini con un gesto non proprio di rispetto del Parlamento. Inizierà, così, una fase di maggior tensione anche per le ricorrenti voci  di ipotetiche soluzioni con governi di un centro destra allargato all’Udc presieduti ora da Alfano, ora da Gianni Letta, ora da  Tremonti o istituzionali con il governatore della Banca d’Italia Draghi a Palazzo Chigi. La famosa fabbrica del fango, che colpisce destra e a sinistra, rischia di lavorare a pieno ritmo, distruggendo ancor più una già devastata immagine dell’attuale classe politica che di tutto parla meno di una vera riforma di sistema indispensabile per risollevare l’Italia.

Tutto questo mentre la quotidianità incombe: il Veneto soffocato dal fango di una alluvione incruenta, non riesce a risollevarsi da solo e ciò significa avere una regione, quella più produttiva, ferma, senza creare reddito, indispensabile per il Paese; il salernitano che aspetta anch’egli gli aiuti indispensabili per continuare a vivere; Napoli che torna ad essere una ‘fabbrica’ di rifiuti buttati sulle strade: E chi più ne ha più ne metta.

Di fronte alla gravissima situazione in cui ci troviamo, le beghe dei partiti, gli scontri personali, dovrebbero ridimensionarsi e tutti assieme mettersi a tirare il carro Italia per portarlo fuori da questo pantano dove nessuno può vantarsi di aver fatto qualcosa perché non vi finisse dentro.

 Superare un momento di gravissima crisi dello Stato, quando si era giunti sull’orlo di una guerra civile, l’Italia fu salvata da una importante vittoria ciclistica  ottenuta da Gino Bartali: domani si corre il gran premio automobilistico di Dubai, chissà che una vittoria della Ferrari di Alonso non riesca a fare un secondo miracolo!?

 

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