Letta va a Bruxelles e Renzi propone il “sindaco d’Italia”

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Mentre Enrico Letta si prepara per giocare la sua partita europea, con la prudenza che richiede il momento, attento a non commettere l’errore di far vedere che vi possa essere qualche indizio di eventuali fughe in avanti, procede con l’appoggio di tutta la maggioranza che e con l’assicurazione dell’approvazione anche da parte della Francia e della Spagna in contrasto con la linea “negativa” portata fin qui dalla Germania.
Il Premier chiederà di sbloccare subito le risorse stanziate dall’Ue per l’arco di tempo 2014-2020 e rafforzare il piano europeo per l’occupazione. Escogitare ulteriori misure, definire un progetto operativo subito contro la disoccupazione giovanile. E’ questa la strada che Enrico Letta indichera’ all’Europa. Il premier sta pensando ad un’iniziativa comune tra paesi europei su piu’ fronti, gli ‘sherpa’ italiani stanno lavorando a stretto contatto con francesi e spagnoli. L’obiettivo e’ convincere la Germania a cambiare marcia. Ma soprattutto l’esecutivo punta a convincere l’Europa affinche’ chiuda la procedura di infrazione per deficit eccessivo.
Su queste proposte l’Italia puo’ contare anche sul sostegno del presidente americano che, in un colloquio con Letta, ha sottolineato gli sforzi fatti dall’Italia. Solo quando riuscirà a sboccare la partita sull’Europa si potrà pensare con più tranquillità al nostro Paese e passare alla fase del risanamento della nostra economia. Letta, pur facendo lavorare i ministri per predisporre proposte ed eventuali provvedimenti, rimane in stand-by in attesa dei due Consigli europei di domani e di fine giugno.
Intanto la politica continua a muoversi, non mi riferisco al disegno di legge presentato al Senato dalla senatrice Finocchiaro e dal capogruppo PD, Zanda, sull’applicazione dell’articolo 49 della Costituzione che sostiene che solo i partiti regolarmente organizzati possono concorrere alle elezioni ed al finanziamento pubblico, escludendo così i movimenti, Il riferimento è a quanto ha detto Renzi partecipando alla trasmissione di Vespa, “Porta a Porta”.
Ieri sera Renzi, tra le molte cose giuste dette in risposta alla pioggia di domande c’è stata una proposta che nel Pd suscita, in una parte consistente di dirigenti reazioni fortemente negative. Mi riferisco alla riforma elettorale : no ai palliativi,ma cambio radicale, eleggendo il “sindaco d’Italia” . Questo tipo di elezioni funziona per i sindaci, per i presidenti di Provincia ( finchè ci sono) e per i presidenti di Regione, perchè non applicarlo anche al vertice dello Stato ?
Matteo Renzi, non è la prima volta che lancia questa sua idea, solo che ora lo può dire con maggiore forza, è il momento che glielo consente oltre che la sua attuale posizione nel partito.
Sicuramente, Matteo Renzi ha letto l’ultimo libro di Bernard Marin “Princìpi del governo rappresentativo”, ma certo è che riflette le più moderne teorie politiche riassunte dal filosofo francese che insegna alla New York University. Il mondo è cambiato, non è una novità, ma l’attuale classe dirigente italiana non pare rendersene conto nemmeno dinnanzi al rischio dell’esplosione della violenza dei cittadini che non intendono più essere semplici sudditi vessati, oltretutto, da uno Stato inefficiente .
In questo contesto i partiti,così come sono oggi concepiti, si dimostrano largamente superati ed appare grottesco ritenere di risolvere problemi che sono politici con piccoli aggiustamenti della legge elettorale. Siamo , infatti, ad una crisi di sistema , sconvolgendo o distruggendo strutture consolidate, minando la rappresentatività di istituzioni obsolete e dimostrando l’incapacità di marxismo e capitalismo di risolvere i problemi che l’umanità si trova davanti.
Forse partendo dall’antica Atene a Montesquieu, da Aristotele a Rousseau, riscoprendo l’economia etica di Hume ci accorgeremmo che la nostra democrazia, quella nata dalla rivoluzione francese e integrata dagli sviluppi inglesi, è vecchia e sarà necessario passare dalla “democrazia dei partiti” di massa alla “democrazia del pubblico”. I partiti, così,”cedono spazio alle persone”, le identità collettive si svuotano,sostituite dalla “fiducia personale diretta” e la scelta elettorale non si esprime più con una appartenenza, ma col sostegno o la fiducia ad una proposta avanzata dal leader”, sostenuto da “nuove tipologie di comunicazione”.
In sostanza, oggi va messo in naftalina il partito-apparato con masse di iscritti a vantaggio di un partito-leggero che presenta un forte leader . L’elettore, così, “ sembra votare sempre più in base alla personalità del candidato e sempre meno in base all’identificazione con un campo politico.” E’ quel che è avvenuto con Grillo e sta avvenendo, soprattutto, con Matteo Renzi indicato come il presidente del Consiglio ideale dalla maggioranza degli elettori del Pd e del Pdl .
Credo che il sindaco di Firenze abbia ben compreso questo cambiamento epocale , abbia o no letto Manin, e per questo non ha alcuna intenzione di fare il segretario dei democratici. Un’identificazione così stretta con un partito gli farebbe perdere consensi diciamo berlusconiani e, inoltre, avrebbe la fronda di una parte consistente della sinistra interna che non lo sopporta e credo si prepari alla scissione attirata dalle sirene vendoliane. Ed è una sinistra che pare fuori dalla storia perché non comprende i cambiamenti intervenuti e, quindi, l’esigenza di una profonda autocritica ad iniziare proprio dai comportamenti di questi ultimi vent’anni.
Tacciare , ad esempio, di destra chi, in Italia, sostiene l’esigenza di una riforma del sistema politico che introduca o l’esempio francese – semipresidenzialismo_ o quello americano –presidenzialismo tout court – significa essere conservatori della peggior specie perché in drammatico ritardo nell’appuntamento con la storia.
Per questo ritengo che Renzi sia incompatibile con questi presunti progressisti .
Per vari personaggi della sinistra questa proposta apparirà quasi come un delitto di lesa maestà alla democrazia repubblicana, ma in Francia funziona, idem negli Stati Uniti e, guarda caso, nei due Paesi ci sono presidenti che piacciono a questi presunti progressisti nostrani .
Certo, per una innovazione così forte come “il sindaco d’Italia” va cambiata la Costituzione, occorrerà almeno un anno, un anno e mezzo, giusto il tempo per tutti gli altri provvedimenti capaci di farci uscire dalla crisi e di dare una concreta speranza ai giovani , aprendo le porte alla ripresa.
Qualche giornale interessato ha titolato che Renzi ha proposto nuova legge elettorale, provvedimenti urgenti economici e ,poi, subito alle elezioni, quasi facendo intendere che il sindaco di Firenze vuole il voto in autunno per presentarsi candidato premier. Non è così perché la riforma elettorale proposta richiede tempo, quel tempo che servirà per profonde novità politiche. Berlusconi, ad esempio, potrebbe fare un passo indietro come, del resto, già aveva fatto, richiamato,anche dall’estero, in servizio attivo per bloccare Bersani e così il Pdl imploderebbe senza più il suo capo carismatico, mentre nel Pd la sinistra, sempre più inquieta , potrebbe trovare un’altra strada. Due operazioni e il gioco sarebbe fatto per portare un Matteo Renzi a Palazzo Chigi, sostenuto da un’ampia maggioranza, magari composta da un grande centro alleato con una sinistra riformista. Utopia? Qualcuno lo abbia pensato quando, in tempi non sospetti,scrissi che Giorgio Napolitano sarebbe stato rieletto presidente della Repubblica . E proprio gli atti dell’attuale Capo dello Stato, in una situazione d’emergenza , danno forza all’ipotesi di un “sindaco d’Italia” eletto dal popolo.

TREGUA ARMATA NEL PD E CON IL PDL?

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Vorrei riprendere le considerazioni che avevo pubblicato ieri a caldo per approfondire quanto avevo scritto e aggiornare ad oggi con i nuovi fatti.

E’ tregua armata nel Pd, ma le tensioni rimangono , non a caso  nell’Assemblea che ha eletto segretario Guglielmo Epifani i votanti sono stati solo 593 su 939 aventi diritto (mi scuso se ieri avevo dato dei numeri superiori, parlavo di componenti l’Assemblea e non di delegati). E l’ex-segretario della Cgil ha ottenuto 458 voti , con 59 voti nulli e 71 schede bianche, quindi  il trionfalistico comunicato che parla dell’85,8% di consensi ha un fondamento molto relativo perché in realtà l’eletto è stato espresso da una minoranza. Forse avrà influito anche il fatto che il suo primo partito è stato il Psi, ma stando al risultato non avrà vita facile il successore di Bersani appoggiato, soprattutto,  da bersaniani e franceschiniani .  E, se vorrà come sembra ricandidarsi al Congresso, dovrà affrontare  concorrenti agguerriti, ad iniziare da quel Cuperlo che in molti volevano sin da sabato. Questo senza  considerare cosa farà Matteo Renzi che dice di non pensare al partito, lui punta alla premiership  per la quale è già in contesa (senza dirlo) con Enrico Letta, ma se le due cariche rimassero unite come lo sono oggi?

Da qui all’autunno, comunque, ne passerà di acqua sotto i ponti politici  e chissà se esisteranno ancora un Pd ed anche un Pdl. Il primo è sulla via dell’implosione  e l’iniziativa di Vendola, Rodotà, Gad Lerner, Concita De Gregorio (ex-direttrice de l’”Unità”) riuniti  per un comizio in piazza, sempre a Roma in concomitanza  dell’Assemblea dei democratici, per  sponsorizzare la rifondazione a sinistra, è un ulteriore segnale che le acque sono sempre più agitate nel fronte antiberlusconiano.  E’ significativo che “Il Fatto” abbia titolato a caratteri di scatola, in prima pagina, “PD: il funerale frettoloso di un partito imploso”. E che il sindaco di Bari, nonché segretario pugliese del partito, abbia detto: ”siamo in una “fase ospedaliera”, mentre  il prodiano Sandro Gozzi ha parlato di “suicidio del Pd”, imitato da altri. Né va dimenticato che né D’Alema, né Veltroni abbiamo parlato.

Indubbiamente, la scelta di Epifani a segretario ha, per il momento, sancito la tregua armata, ma fino a quando. L’ex-segretario della Cgil, probabilmente, è stata la mossa giusta anche se può aver  scontentato i “giovani turchi”. Lo è perché, di fatto, è un moderato , convinto che l’alleanza con il Pdl non aveva alternativa se si voleva tentare di salvare il Paese, non a caso Enrico Letta ha commentato: ecco una buona notizia per il governo.” Che qualche sussulto ha avuto visto lo scontro tra il premier e il suo vice ministro degli Interni Alfano , “reo” d’essere stato a fianco di Berlusconi al comizio di Brescia polemico con le toghe “rosse”.  Poi nella quiete piovosa di un’abbazia toscana, dove  l’Esecutivo è stato in ritiro di lavoro sino ad oggi, s’è trovata un’intesa che, trovo ridicola. 

Pensate un po’ che trovata: i ministri non parteciperanno alla campagna elettorale    in corso per una regione e vari Comuni, Roma compresa. Altro che governo di tecnici, qui siamo ad un governo di scimmiette che non vedono e non sentono, autocatapultati fuori dalla realtà sino al 26 maggio e quindici in più laddove si  andrà al ballottaggio.

Comprendo che Letta (nipote) cerchi di evitare polemiche, ma perché non ha richiamato, prima, all’ordine certi suoi ministri e sottosegretari, guarda caso tutti del suo partito, che se ne sono usciti con dichiarazioni capaci solo di provocare reazioni e critiche?

Certo, forse era meglio che Alfano non fosse andato a Brescia, ma ha certamente ragione  un osservatore come Antonio Polito, non certo berlusconiano visto che è stato anche senatore Pd, quando nel suo editoriale sul “Corriere” ha scritto: “E’ un diritto del Pdl di sventolare le sue bandiere , anche sulla giustizia e quando Epifani potrà srotolare le sue , lo stesso varrà per il Pd”. Ed ha definito “inquietante e non tollerabile” il riemergere di gruppi di facinorosi che, come a Brescia, aggrediscono  per “conculcare un diritto garantito dalla Costituzione.”  Sono, queste, affermazioni che avremmo voluto sentire echeggiare anche nell’Assemblea Pd e ripetere da quei componenti del governo che hanno criticato pubblicamente  il comizio di Brescia ed Alfano.

Sarebbe meglio che Letta limitasse anche lui certi interventi, non vorrei che a furia di ripetere in ogni circostanza, a proposito e a sproposito  che il suo non è “un governo a tutti i costi” e che “non deve andare avanti a tutti i costi”, alla fine qualcuno potrebbe prenderlo sul serio e provocarlo per fargli fare ciò che lui minaccia. Se dovesse prendere quella strada, Letta credo che sappia bene che anche per lui come per il suo amico PierLuigi, la pensione è quel che lo aspetta.

Comunque, ho l’impressione che dovremo più volte registrare polemiche e polemichette  di questo tipo con la speranza che non trovino eco quando in Parlamento ci saranno votazioni a scrutinio segreto. Se non prevale il senso di responsabilità, aiutando l’Esecutivo a compiere il suo dovere, che è quello  di varare, con urgenza, provvedimenti che blocchino la recessione ed aprano la strada alla ripresa, il rischio reale è di aprire le porte alla violenza e, di conseguenza, a soluzioni politiche di fatto autoritarie.

Dovrebbero rendersene conto anche  quei Pm che, con troppa disinvoltura, fanno prevalere le loro prevenzioni dando per acquisiti fatti che lasciano ampi spazi di dubbio. Adoperare due pesi e due misure nel giudicare, com’è avvenuto anche per Tangentopoli, significa delegittimare la magistratura più di chi  esasperato per l’eccesso di inchieste nei suoi confronti, può esagerare  nelle critiche.

Consiglierei anche a quei politici che sperano di eliminare Silvio Berlusconi per via giudiziaria di rifletterci su e di rifletterci molto. Perché, nonostante accuse, processi, assoluzioni e condanne discutibili, il Cavaliere aumenta i suoi consensi, mentre gli avversari vanno giù, pensate che il Pdl è valutato 27-30 % e il Pd  22-23,6%.

Per carità!, i sondaggi sono indicazioni molto parziali, mettete in conto anche un 30% di incerti o astenuti, ma  una tendenza la dimostrano. E va a tutto vantaggio di Berlusconi  che aveva già deciso di farsi da parte, ma una condanna in primo grado ha fatto tornare in campo, probabilmente anche su sollecitazione internazionale. Così, come già successe a Occhetto, la gioiosa macchina da guerra di Bersani s’è  rotta ed ora il governo presieduto da un esponente del Pd vive condizionato proprio dai berlusconiani. Fossi un Pm di sinistra farei, quindi, un pensierino a cambiar registro.

 

Assemblea PD: Epifani saprà evitare il rischio di implosione?

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Qualcuno aveva ipotizzato che  nell’Assemblea Pd alla fine Pier Luigi Bersani sarebbe stato costretto a ritirare le dimissioni come garante sulla strada del Congresso e , indirettamente, anche dell’Esecutivo.  Dicevano: potrebbe essere l’unica momentanea ancora di sicurezza per un partito allo sbando.

Poi le cose sono andate diversamente: alla fine un candidato si è trovato, forse non ha accontentato tutti ma nessuno ha voluto scoprirsi per avversarlo. L’uomo è il sindacalista Epifani che non ha avuto concorrenti.

La contesa era partita abbastanza sopra le righe: il ribelle Pippo Civati si lanciava nel dire che “ se va avanti così domani il Pd non c’è più”. Lo scontro interno è al calor bianco (“il primo che si alza scoppia la rissa” aveva scandito ancora Civati). Ed era andato oltre sostenendo che se non si fosse riuscito a trovare un successore sarebbe toccato al dimissionario Bersani portare il partito al congresso in autunno.

A causa dei veti incrociati  sono stati bruciati molti nomi,  compreso il giovane  Speranza , presidente dei deputati, non gradito a due big come D’Alema e Veltroni. Per la verità in una intervista apparsa oggi su “Repubblica”  ha fatto intendere che non avrebbe accettato la segreteria perché preferiva  essere il numero 1 dei suoi deputati.  

Il fatto è che ci vorrebbe un segretario condiviso in grado di pacificare un partito, dicevano in molti. Il problema, comunque, non è solo quello  di trovare un candidato accettato da una vasta maggioranza, ma anche di non sceglierlo tra la nomenklatura interna, cioè da personaggi per troppi anni in servizio attivo . Poi, come già era nell’aria, ecco che salta fuori dal cappello “il coniglio condiviso”, Guglielmo Epifani, già Segretario Generale della CISL di area socialista, eletto con voto minoritario ( delegati 1500, presenti 593, voti per il segretario 458) e, secondo qualcuno sarebbe stato nominato per convocare il congresso ma, senza porre limiti di tempo.

Questa segreteria non nasce certo sotto i migliori auspici. Dalla cronaca della giornata si dice che: “il segretario-fantoccio (così viene definito) scelto ieri alla Fiera di Roma, nel Partito democratico i veri comandanti sono e saranno i tanti capi corrente che nelle ultime settimane hanno guidato l’assalto alla diligenza dei posti di governo e di sottogoverno, e che da oggi in poi manovreranno come un burattino il nuovo sfortunato leader del Pd”.

Stando sempre ai si dice,  i renziani lavorano alacremente da giorni per vedere assegnati, in questa pur provvisoria segreteria, le principali poltrone di comando del partito. Ovviamente la preferenza sarebbe per organizzazione, dipartimento economico ed enti locali: cioè il fulcro del partito. Ma i bersaniani doc, quelli che non si arrendono alla fine del leader del tortellino, si starebbero riunendo in corrente per poter così accedere a qualche briciola che li mantenga in vita.

Insomma, Epifani che pur nelle parole, ha ottenuto un viatico tranquillo, Renzi nel suo intervento  gli ha dato la benedizione dicendo che lui sarà dalla sua parte come cittadino e come sindaco, così come ha assicurato che da parte sua non vi sarà alcuno sgambetto al governo, Letta può stare tranquillo (?). Letta, da parte sua, pur sostenendo che il governo che presiede non è quello che sognava, incassa gli appoggi poco convinti che gli vengono dati dall’Assemblea e va avanti mascherando la soddisfazione per una fortuna che gli è giunta talmente inaspettata che egli stesso stenta a crederci.

Il problema è: quanto durerà questo governo?  Le assicurazioni di Berlusconi ci sono tutte e sono pubbliche, non vengono neppure scalfite dalle polemiche sulla partecipazione di Alfano, vice premier e ministro dell’Interno,  alla manifestazione di Brescia, ma attenzione, sotto la cenere si nasconde sempre una bella brace viva, tutto sta a vedere chi sarà ad andare a scoprire la cenere per  ravvivare la fiamma.

 

IMPARARE A TACERE, PARLARE CON TEMPERANZA

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“Ad ognuno il suo mestiere”: sono pochi i proverbi che calzano a pennello come questo in relazione alla tenuta del Governo. L’ultima uscita dell’olimpica Iden, Ministro delle Pari Opportunità, che fa seguito a quella della sua collega Kyenge, affidandosi alla veicolo mediatico, l’idea di proporre un disegno di legge per il riconoscimento delle coppie gay.

Prima di entrare in questo argomento abbastanza delicato, sgombrare il campo dichiarando ufficialmente che il problema non mi tocca minimamente: non mi ritengo omofobo e mi è indifferente la scelta della sfera sessuale di qualsiasi individuo che, già di per se stesso dispone dei diritti che a tutti sono riconosciuti. Detto questo, senza entrare assolutamente nel merito della proposta, direi, e richiamo il mio articolo “Per Enrico Letta vita difficile”, pubblicato il 6 di maggio, Tutti abbiamo diritto alle nostre idee, anzi, direi, problemi di questa portata andrebbero sottoposti a referendum popolare, quello che invece mi preme rilevare è la mancanza e la carenza di valutazione politica nel buttare in pasto ai media proposte che più che essere di un ministro della Repubblica, sembrano chiacchiere da bar dello sport fatte di lunedì mattina dopo il derby giocato la domenica.

Perché dico questo? E’ sotto gli occhi di tutti il barcamenarsi del Presidente del Consiglio per tentare fra tanti scogli di approdare alla soluzione dei gravi problemi economici, dove già sarebbe sufficiente La controversia sull’IMU prima casa, senza dover mettere altra carne al fuoco. Già l’uscita della signora Kyenge sullo “ius soli”, tra l’altro bocciato brutalmente dal Grillo, oltre che dal PdL con la differenza che quest’ultimo è parte integrante della maggioranza di governo, per poi avere un ulteriore motivo di contrasto come quello delle coppie gay per mettere in discussione la vita del governo stesso.

Qui ritorna il proverbio: poiché non ritengo la signora Iden in malafede, così come sicuramente non lo era la sua collega, cioè non credo che abbia voluto buttare una molotov  fra i piedi di Letta, devo giocoforza pensare che, le due ministre, non hanno valutato minimamente ciò che andavano a proporre e quali potevano essere le conseguenze delle loro esternazioni.

Parole al vento, forse dettate più dall’apparire che da veri sentimenti. Entrambi le ministre, sicuramente credono in ciò che hanno detto, è la loro mancanza di professionalità politica che gli crea dei brutti scherzi: hanno fatto delle proposte che, guarda caso, sono all’opposto del pensiero del PdL che, sino a prova contraria, se il governo vuole sopravvivere deve andare in sintonia con gli alleati e, pertanto, sarebbe stato opportuno avere più cautela, non fosse per altro che per non mettere in difficoltà il Presidente del Consiglio.

Il consiglio per coloro che si agitano è sempre quello: ragionare e usare prudenza. La politica è un’arte nobile, la prima cosa che la contraddistingue è oltre alla capacità di sintesi c’è quella della meditazione su ciò che si dice e quella della mediazione, prima con se stessi poi con gli “altri”.

 

RISCHIO SCISSIONE – SCONTRO TRA LE VARIE ANIME

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PD: Ieri postavo sul blog (www.santateresagallurablog.it) una mia personale analisi sulla tenuta del governo. Mentre scrivevo non ero ancora a conoscenza del caso Nitto Palma – presidenza Commissione Giustizia, risoltosi poi positivamente. Nel mio scritto volevo sottolineare sottoliniare lo stato di crisi del PD che potrebbe trasmettersi sul governo con il preciso scopo di abbattere Letta.

Da notizie che mi pervengono, sembrerebbe che si sia giunti alla prima resa dei conti  in un Pd, dove lo scontro totale tra le varie anime, in particolare quelle ex-pci ed ex-dc, evoca una scissione. Il fatto è che la sinistra interna, anche a causa degli errori di Pierluigi Bersani, è sempre più insofferente per la scelta di un governo a trazione berlusconiana. Lo stesso premier Enrico Letta , che oltretutto nel partito ha scarso seguito, viene visto non proprio come un corpo estraneo, ma certo qualcosa di simile anche  per la stretta parentela con il braccio destro del Cavaliere. Aggiungete il malumore per ministri e sottosegretari ,anche con esclusioni eccellenti, la rivolta della base con varie occupazioni di sedi ,i  sondaggi che registrano continue emorragie di elettori con corrispondente crescita del centrodestra   e l’incognita Matteo Renzi con il timore che voglia essere leader di un vero grande centro ed avrete un quadro approssimativo di quel che si muove tra i democratici.

La vicenda dell’elezione del Capo dello Stato ha lasciato strascichi pesanti e  le varie correnti non si fidano più le une con le altre, alimentando sospetti , rancori, spirito di vendetta anche per i troppi franchi tiratori che hanno  impallinato  i due candidati del Pd, prima Franco Marini, accettato anche da Berlusconi, e  poi addirittura, uno dei padri storici del partito come Romano Prodi la cui candidatura era stata persino accolta con un’acclamazione dei grandi elettori democratici. Il risultato è stato la rielezione di Giorgio Napolitano, sponsorizzata da Obama e rilanciata dal Cavaliere con conseguente governo PD-PDL, dovuto certo all’emergenza Paese, ma in aperta contraddizione con gli impegni assunti proprio dal Pd con i propri elettori e dalle ripetute dichiarazioni di tutti i dirigenti, Enrico Letta compreso,  che  ci hanno inondato , un’ora sì, un’ora no, di “mai con Berlusconi”.

Tutto questo troverà eco sabato prossimo nell’assemblea che dovrà ratificare le dimissioni della Bindi da presidente e di Bersani da segretario ,nominando un leader provvisorio( qualcuno vorrebbe una triade) che accompagni il partito al Congresso in autunno, E si dovrebbe decidere anche  di scindere la carica di segretario da quella del candidato premier, oggi unite con le primarie, soluzione che ha visto il deciso no di Walter Veltroni e il consenso di Massimo D’Alema e Matteo Renzi che   intende candidarsi solo alla premiership e non alla segreteria.

Sembrano, queste, questioni di  lana caprina, in realtà  rispecchiano differenti concezioni del partito, La divisione tra i due ruoli, infatti, rispecchia il voler perpetuare la diversità tra l’anima ex-Pci e quella ex-Dc, proprio quello che Veltroni scongiura di non fare altrimenti non esisterà un PD.  La tendenza, però, è proprio quella temuta dall’ex-sindaco di Roma  e lo dimostra il fatto che candidati segretario, sia pure pro-tempore, siano Guglielmo Epifani e Gianni Cuperlo, il primo ex-segretario CGIL, il secondo ex-segretario della Federazione giovanile comunista, ossia l’opposto del premier Enrico Letta che viene dalla DC.

Sarà, quindi, quella di sabato un’assemblea tumultuosa se rispecchierà le dichiarazioni  di partenza come quella di Pippo Civati che non  nasconde l’eventualità di una scissione  e di Walter Veltroni che boccia i due candidati alla segreteria provvisoria e mette in campo un Chiamparino, renzuano  ex-sindaco  di Torino e un Castagnetti, che è stato luogotenente di De Mita nella DC e segretario del Partito Popolare ,

A  farne le spese potrebbe essere il governo, non certo amato dalla maggioranza del Pd  e dove un vice-ministro della sinistra come Fassina  non perde occasione per fare sull’Imu dichiarazioni che nel Pdl considerano provocatorie . E’ vero che Silvio Berlusconi cerca di calmare i non pochi falchi di casa sua, sostenendo che il governo Letta durerà almeno due anni , ma  come potrebbe passare sotto silenzio decisioni per lui negative assunte dall’Assemblea dei democratici ?

Come appunto scrivevo ieri, ci troviamo di fronte ad una crisi latente, in piena burrasca e non è certo Napolitano ancora una volta ha mettere in campo tutta la sua autorità per sedare i facinorosi del suo partito di origine a più miti consigli e ad anteporre le necessità degli italiani a quelle, di più bassa lega, del partito

PER ENRICO LETTA VITA DIFFICILE

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Da un pò di giorni ho diradato i miei commenti sulla vita politica del Paese, ho voluto farlo per rendermi conto dello stato di salute del neonato governo e se l’innesto ibrido di due ceppi originariamente incompatibili potesse superare il rigetto per poter dare buoni frutti ai cittadini italiani.

Benché i giorni trascorsi siano ancora pochi, obiettivamente, il mio abituale ottimismo è messo a dura prova dai fatti costringendomi ad ammettere che le possibilità di convivenza stanno affievolendosi di ora in ora, rendendo sempre più difficile una possibile convivenza.

Berlusconi continua a minacciare di togliere la fiducia al governo, votata solo da poche ore, se non si trova soluzione immediata per quell’IMU prima casa, ritenuta una tassa non solo iniqua ma, addirittura, per dirlo con un eufemismo, ingiusta. Letta, gda parte sua fa notare che il problema non è solo del PdL ma che, con qualche differenziazione per non apparire una scopiazzatura, è anche stato del PD sin dalla campagna elettorale. Quindi se tutto fosse ridotto all’IMU e a Letta, il caso non avrebbe seguito. Si da il fatto che i problemi sono tanti e non è sufficiente la buona volontà e la grande tradizionale capacità dei Letta nella mediazione.  Il PD con i suoi uomini rappresentativi, continuano a comportarsi non da maggioranza come sono nella coalizione di governo, bensì come fossero opposizione. Sta di fatto che oltre ad aver mal digerito l’inevitabile costituzione di un governo di coalizione con il PdL, non accettano che ad esserne stato messo a Capo sia stato Letta.

Perché questa contrarietà verso quell’uomo loro che gli ha tolto le castagne dal fuoco? La spiegazione la troviamo nella elezione del Presidente della Repubblica, dove, dentro il PD è successo di tutto e di peggio. Il risultato elettorale che avrebbe dovuto dare una maggioranza eclatante al PD, disegnata dall’ala post-comunista, non vi è stato. Questo ha imbaldanzito sia la parte catto-progressista che quella renziana che già si era smarcata dalla linea emersa dal partito. Possibilità di fare un governo che potesse avere qualche caratteristica ideologica accettabile, nulla dopo la posizione assunta dal Movimento 5S, pertanto bisognava sacrificare sull’ara dell’idea Bersani e ritentare la carta elettorale nella speranza che da qualche parte arrivasse la ciambella di salvataggio. Questi erano i conti fatti senza l’oste. Il grave stato di contingenza del Paese, quindi l’urgenza di dover affrontare i problemi legati alla situazione economica e sociale, hanno dovuto far riflettere e sollecitati dal Presidente Napolitano, al quale non hanno potuto non ridare il loro appoggio per la sua riconferma, hanno imposto la soluzione della coalizione con il PdL e Scelta Civica. A chi dare l’incarico? Fuori Bersani tutti avrebbero detto che toccasse al suo antagonista Renzi: questi pur disponendo di un discreto plotoncino di parlamentari, all’interno del partito ancora conta poco, perciò, non potendo pensare a nessuno dell’ala bersaniana, il gioco è passato nelle mani degli ex democristiani che hanno giocato la carta Letta.

Non potendo avversarlo direttamente il problema che si è posto immediatamente come limitare l’uomo. L’avevano sempre visto intelligente ma disponibile e dimesso, buon consigliere (consigliori) e ottimo numero due: in molti erano convinti che non ce l’avrebbe fatta e, se anche fosse, sarebbe stato afflitto da una debolezza endemica. Niente di tutto questo. Letta ha immediatamente sposato il ruolo e lo ha fatto con il pesante appoggio di Napolitano. In cinque giorni ha fatto ciò che non è riuscito a Bersani in cinquanta. Ricevuto la fiducia in Parlamento è volato nelle capitali europee che contano e rischia di essere il mattatore nel prossimo consiglio dei Capi di Stato e del Governo dei Paesi europei che si terrà a giugno. Se le cose vanno secondo le previsioni, cioè ottenere un minimo di apertura da parte europea, Letta diventa un mito, d’altra parte, così come stanno le cose nel vecchio continente, qualche maglia deve essere allargata, conviene a tutti, diversamente i paesi falchi sono sempre di meno e le colombe stanno aumentando giorno per giorno. Converrà alla Signora Merkel puntare sull’intransigenza se il rischio è ritrovarsi contro oltre alla Gran Bretagna, la Francia, l’Italia e la Spagna, oltre la Grecia, Portogallo, Cipro e quanti si trovano in difficoltà? Certamente no e a Letta arrivano i meriti non solo italiani ma anche il riconoscimento dei Paesi cui si è messo a capofila assieme a Holland.

Allora, bisogna limitare Letta ed il suo governo, l’IMU non è sufficiente, ci vogliono altre provocazioni: Le battute  della Biancofiore sulla omosessualità, nominata sottosegretario alle Pari Opportunità, vengono ingigantite e Letta viene costretto a spostare le deleghe appena date; Berlusconi si autopropone a presiedere la commissione per la Convenzione e li un fuoco di sbarramento contro; la nomina di Miccichè a sottosegretario viene osteggiata perché ritenuto impresentabile; ed alla fine le dichiarazioni della Ministra Cecile Kienge sono solo l’ultima goccia versata in un vaso che ormai è quasi al limite del travaso. Letta cerca in tutti i modi di destreggiarsi e lo fa con toni di grande saggezza nella trasmissione di Fazio ma, benché l’applob di famiglia non sembra essere scalfito, non riesce a nascondere completamente le difficoltà e gli handicap che si stanno susseguendo sul suo cammino.

Per quanto tempo riuscirà a superare indenne gli ostacoli che gli stanno ponendo è difficile dirlo ma è certo che in un clima così non sarà affatto facile andare avanti per realizzare un programma che già di per se diventa ogni giorno più difficile.

E’ di pochissimi minuti la notizia battuta dalle agenzie: la Cassazione ha respinto lo spostamento dei processi di Berlusconi da Milano. Se il Presidente del PdL venisse condannato, allora nulla potrà evitare la crisi di governo con l’unica alternativa di andare al voto.

Questa è la mia convinzione, chi vivrà vedrà.

 

GOVERNO DI SVOLTA O A TEMPO?

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Feltri ha definito il discorso programmatico di Letta per la fiducia alla Governo un intervento democristiano sullo stile degasperiano, io oserei dire che più moderato di così non poteva essere, credo che nessun pidiellino avrebbe potuto pronunciare un discorso diverso. Ora però bisogna attendere i fatti.

Bisogna ben dire che quello presieduto da Enrico Letta è un governo di svolta, come spera persino Eugenio Scalfari nell’elogiarlo, o soltanto a tempo? Difficile dirlo oggi prendendo alla lettera le sue parole, cioè, se entro diciotto mesi, tempo ragionevole per fare quelle riforme istituzionali indispensabili per quella svolta che lui stesso auspica, ne trarrà le dovute conseguenze. Dissento in pieno da Matteo Renzi che ha definito quello di Letta un buon governo, ma debole. E’ vero, ci sono le divisioni e le delusioni nel Pd, l’ira nascosta degli esclusi da ministri e le sirene dei sondaggi nel Pdl, oltre allo scontento dei montezemoliani in Scelta Civica. Sono queste realtà che costituiscono rischi per Letta (magari non subito) quando ci saranno voti segreti.

Che  sia un “governo politico, l’unico possibile come ha detto Il Capo dello Stato, lo testimoniano il premier, vice-segretario del PD,  il suo vice e ministro dell’Interno  Angelino Alfano, segretario  del Pdl e il ministro della Difesa Mario Mauro, capo dei senatori  di Scelta Civica.

Che sia l’unico possibile lo dimostrano la posizione di chiusura ad ogni collaborazione con gli attuali partiti espressa dal Movimento 5  Stelle, più volte confermata dal suo leader Beppe Grillo, e il risultato delle urne che non ha dato ad alcuna coalizione la maggioranza a Senato.

Altrettanto evidente è che Napolitano ritiene possa essere di tregua e pacificazione dopo gli inutili vent’anni di guerra continua, non a caso ha messo in soffitta l’antiberlusconismo, tornando ad un normale confronto  senza “impresentabili” e c’è la speranza che anche il berlusconismo più becero faccia un passo indietro. Tutto questo lo ha ripetutamente sottolineato nella parte politica del suo discorso programmatico, ferme restando le differenze, ma l’indispensabile necessità di rimanere tutti uniti nel momento delle necessità del Paese.

E’, senza ombra di dubbio, un governo di svolta ed è maggiormente evidenziato dalla scelta dei ministri  con l’evidente rinnovamento: basta guardare all’età media che non pare contraddire le capacità dei singoli, con significative  new entry ad alti livelli politico-operativi. Questo aggiunto ad un programma che, sintesi dei tre partiti e del lavoro dei dieci saggi, dovrebbe non solo affrontare e superare  l’emergenza, ridando fiato a famiglie e imprese e rilanciando l’occupazione, ma anche varare indispensabili riforme di struttura per determinare una discontinuità con i “vent’anni di guerra” e operare quei profondi cambiamenti che siano alla base di un nuovo sistema e di un nuovo stato.

Ci sarà il senso di responsabilità degli attuali attori politici per consentire tutto questo? Questo il problema. Non v’ha dubbio, infatti, che all’interno  dei partiti di maggioranza parlamentare esistano sacche di resistenza per l’intesa e delusi per le scelte dei ministri.   Soprattutto sono evidenti in un Pd profondamente diviso è a rischio scissione, con una sinistra interna all’offensiva, forse anche stanca dell’ anima ex-dc, oggi privilegiata dal governo Letta; una sinistra che, in alcuni parlamentari, si è già criticamente espressa nei confronti dell’accordo con il Pdl ed avverte il richiamo della foresta di Vendola. Se si aAggiunge l’ira delle  vittime della rottamazione (i dalemiani), dei franchi-tiratori (i mariniani e i prodiani), gli ignorati (i veltroniani)  e l’incognita renziani si  avrà un quadro non proprio esaltante.

Né è tutto tranquillo nel PdL, dove le esclusioni governative pesano , e non mi riferisco solo alla componente ex-An, tutto questo aggravato  dalla tentazione dei sondaggi e, quindi, di elezioni anticipate, mettiamo addirittura in autunno. Elezioni  che potrebbero dare la maggioranza al centrodestra anche al Senato con un’alleanza con Scelta Civica sempre più vicina al Pdl e con un Monti che in TV ha definito Silvio Berlusconi il “miglior politico” in circolazione.

Non mi pare, infine, che tutto fili liscio anche tra i montiani con i malumori dei montezemoliani esclusi dai ministeri.

Certo, nel voto palese  di fiducia  e nemmeno per i provvedimenti popolari mancherà la maggioranza, il rischio dei franchi-tiratori  è nei voti segreti. Alla Camera c’è, per il governo, un margine di 112 voti (maggioranza  315, 437 la somma dei tre partiti) e al Senato di 59 (160 la maggioranza, 219  la somma per Letta): sono molti , ma se si sommassero i malumori tutto potrebbe accadere. Va aggiunto, infine, il problema dei processi in corso per Silvio Berlusconi: una eventuale condanna ,con interdizione dai pubblici uffici, porterebbe inevitabilmente alla crisi governativa.

Saranno i prossimi mesi a dirci se quello Letta è veramente un governo di svolta o a tempo. Sarebbe un bel giorno, per il Paese, se fosse, davvero, quella realtà pacificatrice che chiude una dissennata e distruttiva “guerra dei vent’anni”.

L’INCARICO A LETTA HA EVITATO DI BRUCIARE RENZI

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“E’ una responsabilità che sento forte sulle mie spalle. E se posso permettermi, la sento più forte e pesante della mia capacità di reggerla”. “Ma mi metto con grande determinazione al lavoro perché penso che il paese abbia bisogno di risposte. Gli italiani non ne possono più di giochi e giochetti della politica, vogliono risposte, io mi metto davanti a loro con grande umiltà e senso dei miei limiti con una responsabilità che mi onora”. Con queste parole Enrico Letta ha comunicato di aver accettato con riserva l’incarico di formare un nuovo governo ricevuto da Giorgio Napolitano.

La sensazione che se ne trae dalle parole del Presidente incaricato è che l’incarico che gli è stato affidato sia come il dover bere un bicchiere di olio di ricino in uno momento di grave stipsi, sarebbe come dire: “non mi piace ma devo”.

Tutto sembra scorrere liscio come se tutto fosse predisposto solo che per arrivare a questo c’è voluto più tempo di quanto il Paese se ne potesse permettere. C’è voluta la svolta che portasse all’esecuzione di Bersani che, certamente non era amato da quegli ambienti internazionali che hanno il potere di decidere anche in casa d’altri: e, secondo me si tratta sempre della stessa regia, la solita, quella, cioè, che ha portato alla rielezione di Napolitano al Quirinale. Così l’incarico di formare il nuovo governo è andato ad Enrico Letta, da tempo lontano dai suoi trascorsi  con l’Arel e con Prodi, voglio dire non più allineato su posizioni che non piacciono agli americani. Inoltre, era il meno esposto all’interno di un Pd, dove ormai si assiste quasi ad una guerra per bande e le scissioni sono dietro l’angolo.

In sostanza, Letta, per il quale ha anche pesato d’esser nipote del più famoso Gianni, braccio destro del Cavaliere, offriva maggiori garanzie di avere la fiducia, quella del voto palese,  da parte dei suoi compagni democratici e non essere impallinato dai franchi tiratori al primo voto segreto. Per questo, Berlusconi gli ha dato il “via”, preferendolo addirittura ad Amato in testa alle scelte anche di Napolitano.

Così si spiega  il suo “no” a Matteo Renzi, dopo una prima entusiastica adesione di molti esponenti Pdl, con in testa Bondi, perché la regìa d’oltreoceano non voleva correre il rischio di bruciare il sindaco di Firenze e, forse, non era, inoltre, ancora pronta alla svolta che una tale situazione avrebbe provocato. Ho l’impressione che non si sia definitivamente individuata la nuova classe dirigente che dovrebbe accompagnare Renzi e il movimento politico-sociale che la comprenda. La scelta di Letta, con buona pace di Alfano che continua a non comprendere bene la situazione, rilasciando dichiarazioni improvvide che, evidentemente non ha concordato con il Cavaliere, in viaggio per Dallas, non è per un governo di lunga durata, ma per una tregua che consenta di affrontare l’emergenza.

Mi pare una mistificazione quella di dare per scontato che il “no” di Berlusconi dipenda dal timore che Renzi a Palazzo Chigi porti via consensi ad un Pdl in grande spolvero, con anche 8-10 punti di vantaggio su un Pd  in crisi. Se fosse vero, pensate davvero che si sarebbe andati, come voleva Obama (credo di averlo scritto in tempi non sospetti), alla rielezione di Giorgio Napolitano? Che il sindaco di Firenze goda di molte simpatie a Washington ed abbia anche il sostegno di un big della General Electric come Fresco è fatto noto . Che il Cavaliere goda di eccellenti relazioni con i presidenti Usa, non a caso è in volo per Dallas per andare ad una manifestazione dai suoi amici Bush, dove troverà Obama, Clinton, Blair  e Aznar.

Ora è possibile che proprio il filo-americano Berlusconi, probabilmente convinto a scendere di nuovo  in campo degli yankees per bloccare Bersani, abbia voluto stoppare un personaggio sul quale gli amici a stelle e strisce puntano anche per il futuro ?

Certo, da oggi gli avversari del sindaco di Firenze non potranno più accusarlo di intese con il nemico e, forse, potrà muoversi meglio nel preparare l’indispensabile svolta. Per il momento dobbiamo accontentarci di soluzioni interlocutorie che, comunque, confermano l’interesse americano verso il nostro Paese e il suo ruolo nel Mediterraneo, quindi per aver evitato ,almeno per il momento, l’esplodere della violenza. I provvedimenti del nuovo governo dovranno andare in questa direzione positiva, dando respiro a famiglie e aziende.

 

Il suicidio politico di Bersani e del Pd

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Ci sono voluti circa due mesi per tornare allo stato di partenza e mettere la palla al centro per dare inizio alla partita. C’è però una variante: durante il riscaldamento, l’uomo gol che ha voluto strafare, si è infortunato malamente e rischia di dover abbandonare definitivamente il rettangolo verde per appendere le scarpette al chiodo.

Un suicidio politico non facile da determinare ma Pier Luigi Bersani c’è riuscito. Ha tergiversato tutto questo tempo prendendosi gli insulti e gli sberleffi di Grillo e della sua armata brancaleone, nel tentativo di coinvolgerlo nell’agone politico. Poi, in estremis ha tentato l’accordo con il PdL, l’ha fatto con poca convinzione, forse forzato dalle insistenti voci interne al suo partito, precisando, almeno nelle dichiarazioni che all’elezione di un Presidente della Repubblica concordato, non necessariamente sarebbe seguito un governo di coalizione che comprendesse anche la seconda coalizione uscita dalle recentissime elezioni. Forse interiormente Bersani si augurava che Berlusconi non accettasse la sua proposta, invece no la ha accolta ed ha accolto anche la rosa di nomi che gli è stata proposta indicando il gradimento verso Franco Marini.

Che la rosa sottoposta al PdL fosse uscita da un circolo molto ristretto di suoi collaboratori, alla luce dei fatti, sembra quanto mai evidente: che la stessa rosa non fosse gradita alla sua sinistra è altrettanto chiaro, Vendola esce subito dalla coalizione, che quella rosa non andasse bene neppure alla sua destra, lo ha chiarito immediatamente Renzi che ha bocciato senza discutere la figura di Marini.

Qui l’altro grande errore di Bersani: Pur uscendo con una apparente votazione maggioritaria della assemblea dei parlamentari, porta quella candidatura alla seconda votazione dell’aula dove era necessario avere i due terzi degli elettori, e li prende la prima enorme musata, Marini viene sonoramente bocciato con voto dichiarato dai renziani e da un’altra pattuglia di franchi tiratori che si è associata ai primi.

Nel frattempo Grillo porta avanti la candidatura di Rodotà e ne fa il suo cavallo di battaglia, vorrebbe portare il PD ad accettare questa candidatura che ritiene integra e nuova nella vita politica (sic). Il PD non ci sta, in compenso a votare Rodotà ci pensa Vendola.

A questo punto, Bersani dice di voler cambiare completamente linea politica. Convoca un’assemblea dei suoi grandi elettori e, dopo aver incontrato Renzi, senza avvertire, almeno per un gesto di cortesia, il PdL che si era speso con coerenza e lealtà verso Marini, propone ai suoi parlamentari il nome di Prodi, padre di tutte le versioni che hanno portato al PD, che viene accolto con una ovazione.

Per il PdL quello è un nome improponibile e poiché si deve andare alla terza votazione , ultima a maggioranza dei due terzi, la presentazione di prodi viene rimandata alla quarta votazione, la prima a maggioranza assoluta.

La terza votazione si è svolta con una altissima serie di schede bianche, quelle del PdL e del PD. Scelta Civica di Mario Monti Propone a sorpresa il nome del Ministro Dell’Interno, Anna Maria Cancellieri.

Siamo alla quarta votazione. Viene posta la candidatura Prodi, sembra ormai cosa fatta: se riesce a portare Romano Prodi al Quirinale, si realizza la ritrovata unità tra i democratici e lui come leader consolida la sua posizione.

Purtroppo le cose sono andate in modo completamente opposto: questa volta il PdL anziché votare scheda bianca non si è presentato in aula, Monti ed i suoi hanno votato per la Cancellieri, la quale ha preso anche qualche voto in più di quello che avrebbe dovuto avere dai montiani, e Prodi è stato sacrificato dal fuoco amico, oltre cento democratici lo hanno impallinato.

A questo punto per Bersani a fare un passo indietro è inevitabile e lo fa anticipando che le sue dimissioni da tutto avranno effetto non appena sarà eletto il nuovo Presidente.

 La vittoria di Silvio Berlusconi è indiscutibile. Ma ha vinto pure quel partito, o quei partiti, che si formato all’interno del PD, che per ora ha tolto Bersani di torno ed altri lo seguiranno.

Dopo la fine di Marini, dopo quello che è stato fatto a Prodi, voglio vedere i dalemiani, gli ex-popolari di Marini, i veltroniani e chissà quale è il vero gioco dei renziani. La notte dei lunghi coltelli è appena iniziata.

Dopo l’annuncio della candidatura di Prodi c’è stata una standing ovation tra i “grandi elettori” democratici. Sì, ma i delitti politici vengono commessi spesso  nascondendo la mano che li commette, così è avvenuto. Ma nessuno vuole essere il Bruto della situazione, in molti vogliono vorrebbero la testa di Bersani ma vorrebbero che sia lui ad infilarla nel cappio.

Poi, come è noto a tutti, la corsa al Quirinale, ed è toccato proprio a lui andare ad inginocchiarsi per primo da Napolitano per implorare la sua permanenza nel Palazzo, un invito che ha dovuto rivolgere con la morte nel cuore sapendo di rischiare una votazione “Prodi bis”. Ormai la sua credibilità è a zero e per questo annuncia prima il suo ritiro, le sue dimissioni che, per ora sono dall’incarico di Partito ma che premoniscono un ritiro a vita privata.

E così, gioca l’ultima carta in mano al Pd che potrebbe ricompattare un po’ il partito, Giorgio Napolitano che ascolta le altre forze politiche moderate, quelle che possono dargli qualche garanzia e, comunque, rappresentano l’unico baluardo di serietà.

 La situazione di grave emergenza, impone che al Colle vi sia un personaggio conosciuto e stimato a livello internazionale, realmente al disopra delle parti al di là della sua provenienza partitica , capace di avere la fiducia della maggioranza degli italiani e di guidare , con mano ferma, questa difficile e delicata fase politica, evitando le elezioni anticipate e imponendo un governo del presidente, appoggiato e sostenuto oltre che dal PD che, dopo l’uscita di SEL dalla coalizione, non è più maggioranza relativa, dal PdL e da Scelta Civica,  prospettiva più concreta per portare in porto quei provvedimenti e quelle riforme istituzionali che possono dare respiro al Paese.

Chi altri, in questo momento se non Napolitano aveva ed ha tutti questi requisiti, non a caso Obama sperava di vederlo sul Colle per almeno un altro anno. E, forse, solo l’ex-comunista, con cultura crociana e da sempre filo-americano, può evitare al Paese un caos   dietro al quale può annidarsi la violenza.

 

SIAMO AL CAPOLINEA. CHISSA’ SE NE HANNO COSCIENZA

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Scrive oggi Sergio Romano, editorialista del corriere della Sera, riportando nel suo articolo di fondo, una cronaca ragionata della giornata politica di ieri. Riferendosi all’insuccesso di Marini Presidente scrive: “Benché altri,in questo caso abbiano contribuito all’insuccesso di Marini, la persona che può maggiormente compiacersi del risultato e rivendicarne la vittoria è Beppe Grillo”.

Credo non sia difficile per nessuno riconoscere che la giornata di ieri è stato un gravissimo disastro e, andando come sempre si fa in queste circostanze, si va alla ricerca delle responsabilità. Senza alcuna ombra di dubbio, tutto ricade sul partito di maggioranza seppur relativa. Bersani da oltre cinquanta giorni ha balbettato politica a livello di principiante, malgrado lo stato in cui versa il paese, ha insistito per “non fare”un governo che fosse in grado di emanare provvedimenti; all’ultimo momento, pressato da chi ne mastica più di lui, ha partorito un suo candidato per la Presidenza della Repubblica senza averlo concordato prima con il suo vero antagonista, Renzi. Il risultato è sotto gli occhi di tutti.

Ora, il tempo è scaduto ed a lui spetta la decisione finale: ma, con quali alternative? Credo che Bersani si trovi in un quadrivio: Imboccare la strada Grillo? Questo significa, oltre a rompere definitivamente con il PdL. Contribuire alla elezione di Rodotà o eventualmente a quella di Prodi, ammesso che riesca a ricompattare il suo partito, cosa quanto mai improbabile, significa mettersi totalmente nelle mani di Grillo e della Piazza, entrambi nemici giurati dei partiti che, imbaldanziti dal risultato ottenuto, se lo mangerebbero in un sol boccone.

La seconda via è quella di tentare di ricompattare il partito trattando (si fa per dire) con Renzi: Questo significa accettare un candidato indicato da lui che potrebbe essere Prodi(rivendicato pur4e da Grillo): questo potrebbe farcela, sempre che tutto il PD lo accetti, ma non sarebbe il suo candidato e poiché, se non interviene Grillo, non vi sarebbero poi numeri per costituire  un governo stabile, anche Prodi sui vedrebbe costretto a decidere per lo scioglimento delle Camere. Dopo le elezioni, dove sarà Bersani?

La terza via è quella di Berlusconi: Con lui potrebbe trattare, ma lo deve fare subito, un nome di grande impatto, un nome a livello di Draghi, al quale nessuno, escluso i soliti, possano rifiutare il voto, primi fra tutti quelli del suo partito. Questa potrebbe essere una soluzione praticabile, ma, anche qui vi è una incognita: il PdL è ben consapevole del grado di cottura del segretario del PD, a questo punto gli conviene seguire una linea che è ormai arrivata al capolinea? Non sarebbe più logico pensare di poter trattare con il futuro del PD anziché rischiare con il vecchio?

Rimane l’ultima via: Bersani riunisce la sua Direzione, magari allargata ai maggiori esponenti del Partito, e ad essa rimette il suo mandato di segretario, magari cercando di pilotare la composizione di un triunvirato con l’incarico di chiudere la partita della Presidenza della Repubblica per poi pensare ad un governo di “scopo”, come si una dire oggi, allargato possibilmente al periodo “balneare”, come si usava dire prima, risolvere quei quattro cinque punti urgenti per la nostra economia, disporre una nuova legge elettorale e, quindi, andare in ottobre al voto e, che vinca il migliore.

A questo punto qualcuno chiedersi: e Bersani? Be…per tutto c’è un inizio ed un termine; la legge Fornero non è detto che valga per tutti, una deroga si può sempre fare, se a goderne fosse Bersani, credo proprio che dopo questa triste, per il Paese, esperienza, per Bersani questa eccezione sia acclamato da molti.