LE SCORRETTEZZE DI REHN NON BASTANO PER BATTERE IL CAVALIERE

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Mi è piaciuta tanto la metafora di Francesco D’amato riportata nell’editoriale de Il Tempo, tale da ispirarmi il pezzo che mi affretto a scrivere per il mio blog.

Scrive D’Amato:  “Da ex calciatore, il finlandese commissario europeo  Olli  Rehn dovrebbe essere il primo a rendersi conto di avere tirato ieri contro la porta di Silvio Berlusconi da una posizione di fuori gioco”. Per coloro ai quali è sfuggita la notizia, il nostro (si fa per dire) finlandese ha attaccato che Berlusconi sostenendo che nell’autunno 2011 il governo decise di non rispettare gli impegni presi con l’Europa sulle riforme e risanamento dei conti.

All’illustre sig. Rehn, evidentemente, quando ha iniziato a dare i primi calci al pallone, nessuno gli ha insegnato la prima di tutte le regole, cioè che la formazione nella squadra avversa notoriamente viene fatta dal mister di quella squadra e che ha nessuno è dato discutere se quella formazione è giusta o sbagliata, tanto meno all’avversario. Ora noi italiani siamo abbastanza tolleranti ma certo è che ci viene difficile comprendere certi atteggiamenti che suonano tanto di imbecchatura merkeliana. Mi piacerebbe vedere la faccia di questo esimio signore se durante la campagna elettorale, sua o della signora Merkel, il PdL andasse in Germania a fare campagna elettorale contro di lui o nel suo Paese per la succitata signora che in qualche modo è promotrice di queste intromissioni.

Mi piacerebbe poter dire direttamente a questo signore, che no faccio fatica a credere che           Berlusconi non abbia voluto rispettare alcune imposizioni volute da una Europa ottusa: non stento a crederlo se quegli impegni sono gli stessi che poi ha sottoscritto il suo successore nel luglio successivo, trattati che incideranno sul nostro presente e futuro: si tratta quello sul ‘Fiscal compact’ e quello sul Meccanismo Europeo di Stabilità (MES).

Il primo impegna il nostro Paese a ridurre il debito pubblico nei prossimi venti anni, fino a portarlo entro la soglia stabilita dal Trattato di Maastricht (60% del PIL). Considerato che il debito italiano ammonta ormai a circa 2000 miliardi di Euro, che in rapporto al prodotto interno fa il 127%, e che continua a crescere, per raggiungere l’obiettivo del trattato tagliare la spesa pubblica o vendere beni dello Stato per oltre 900 miliardi di Euro in venti anni, 50 ogni anno, 150 milioni ogni giorno.

Il secondo è riferito invece all’istituzione del cosiddetto “Fondo salva stati”, un plafond di 650 miliardi di Euro che l’Europa metterebbe a disposizione, previa accettazione di vincoli stringenti dal lato della riduzione della spesa, dei paesi a rischio bancarotta. Chi alimenterà questo fondo? Gli Stati membri, in rapporto alla loro ricchezza (PIL). L’Italia ha dovuto sottoscrivere quote per il 18% dell’intero capitale, per un importo di circa 125 miliardi di Euro, da versare in 5 anni (25 miliardi anno).

Come si vede, si tratta di somme ingenti, quindi la prima domanda, a che sarà vncitore delle competizione elettorale, è: dove prenderà i soldi il nostro paese per onorare questi impegni? Sicuramente, per “stare in Europa”, chiunque vince le elezioni dovrà da una parte, effettuare una significativa contrazione della spesa pubblica, dall’altra, vendere asset statali (vendita e non svendita). Infine operare un ulteriore inasprimento generalizzato della pressione fiscale, diretta ed indiretta. Questo comporterà meno servizi e tutele per i cittadini, meno stato sociale, più tasse. Con tutte le conseguenze, in termini di recessione economica e patrimoniale e di crescita della povertà, che una simile spirale porta inevitabilmente con sé. Forse quello che è sfuggito al Sig. Rehn è questa situazione alla quale se vincesse Berlusconi sarebbe difficile non prendere in considerazione di dover ricontrattare certi parametri, ecco perché per la Germania della signora Merkel la presenza di una persona che, così come nel passato, ha puntato i piedi in più occasioni, nel futuro, magari accompagnato da una maggioranza parlamentare non certo costituita dai Fini della circostanza, non possa piacergli, figuriamoci se gli può far piacere averlo a Bruxelles come ministro dell’economia.

Il nostro Paese non può accettare una deindustrializzazione per seguire trattati assurdi che vorrebbero strangolare le nostre imprese e le nostre famiglie con misure di ulteriore austerità per uscire dalla crisi del debito che, proprio per le stesse quest’ultimo continua a lievitare a dismisura per effetto delle stesse strategie volte a ridurne la consistenza.

Berlusconi, ben sapendo da dove gli arriva l’attacco, forse sollecitato dallo stesso Monti che ormai ha abbandonato completamente il suo ‘applomb’, ha commentato: “ Gli italiani hanno capito che non conviene inchinarsi a questa Europa, io per governare ho chiesto il consenso degli italiani, non alla Merkel”.

giustus

 

 

Il trasformista – Monti abbandona la veste di gentleman e passa ad insultare gli avversari

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Riprendiamo la trasmissione di Porta a Porta. Nel salotto di Bruno Vespa, Monti definisce, con un sorrisetto perfido, Silvio Berlusconi “pifferaio magico”, ”vecchio illusionista ringalluzzito” e via su questa linea, compreso il fatto che le tasse le aumentate il Cavaliere.  Ma, ce n’è per tutti: e la sinistra? Anti-riforme, anche il Pd, condizionato dai suoi sinistri interni, fa il populista, “noi non saremo la stampella di nessuno”. Sino a provocare la reazione di Bersani che non ci sta e, parlando con i giornalisti, riferendosi alle battute di Monti dice “ questa campagna elettorale  sta uscendo fuori dai binari”.Inoltre, prosegue il Premier, sarebbe un disastro vedere Grillo al tavolo dei ministri a Bruxelles. Il premier uscente, e difficilmente di ritorno, ha fatto anche un po’ di confusione con la sua “agenda”, non ricordando bene alcune parti e non trovando le carte per un risposta precisa.

L’impressione che ha dato è che esibizioni televisive come queste siano frutto di  livore per vedere ex-sostenitori come Marchionne prendere le presa berlusconiana e trovarsi, nei sondaggi, quasi ai livelli di Grillo .Ossia ben distante dai suoi veri competitori Bersani e Berlusconi, quest’ultimo in costante risalita sì da iniziare a preoccupare il leader democratico.

Ovviamente il Cavaliere ha replicato a Monti sullo stesso tono: “lui è solo bluff e ci siamo caduti tutti, anch’io che ho sostenuto la proposta per senatore a vita per la quale non ha nessun merito. Ed è una mascalzonata sostenere che ho aumentato le tasse”. Ed ancora: “O gli iatliani sono tutti matti oppure c’è un uomo in giro che è convinto di chiamarsi Monti”.  Non da meno Pierluigi Bersani, per il quale la candidatura di Monti costituisce un fatto negativo, pur se sulle riforme con lui si può trattare, mentre Vendola manda all’inferno i ricchi, categoria alla quale appartengono vari big montiani.

Siamo, dunque, alla rissa politica il rischio è che si accentui con il premier che l’alimenta, trovandosi in evidente difficoltà di consensi e, forse, anche per far dimenticare i molti dati in rosso che stanno emergendo con record in ogni campo, sottolineati oltre che dalla BCE anche dal Financial Times, dalle tasse, alla disoccupazione, dal debito al calo della produzione industriale, dall’inflazione al miliardo di ore di cassa integrazione e alla chiusura di migliaia e migliaia di aziende per non andare oltre.

La scelta di scendere, pardon salire, in campo politico appare, quindi, infelice. Il Professore, però, aveva compreso d’essere stato abbandonato da alcuni “patroni”, massimi gli americani e i big del mondo ebraico, tipo Roschild e Rockfeller, ancora in competizione, ma uniti su certi temi. Il voto all’Onu a favore dei palestinesi ha posto Monti sullo stesso piano nel quale si trovarono Craxi e Andreotti dopo Segonella. Ricordate i carabinieri italiani, mitra in mano, a confronto con i marines attorno all’aereo che trasportava un big palestinese ritenuto dagli Usa un terrorista? Beh!, i due statisti hanno pagato quel gesto, come la cronaca politica del  nostro Paese  dimostra.

Come se non bastasse l’ex-sodale Merkel che avrebbe dovuto appoggiarlo per il Quirinale, avrebbe un altro candidato, ossia Draghi, la cui nomina avrebbe un doppio interesse, quello di avere un amico riconoscente ed un posto libero alla BCE per un candidato meno scomodo. Quindi Mario Monti, compreso d’essere escluso dal Colle ed in quanto ad amico sarebbe di poco peso, ha deciso di tentare un’iniziativa per cercare di rimanere a Palazzo Chigi, puntando sulla non vittoria di Bersani al Senato, circostanza probabile visti i sondaggi, almeno sino ad oggi, o, comunque, aprire una trattativa con il Pd costretto a dargli il via libera al Quirinale in cambio di Palazzo Chigi. A rompere le uova nel paniere, la continua ascesa elettorale del centrodestra che preoccupa a tal punto il premier, che vede il rischio di trovarsi con un pugno di mosche in mano, da farlo diventare uno dei più arrabbiati antiberlusconiani.

No, non è un bella figura, addio all’aplomb inglese, addio al personaggio tranquillo e serio. La politica urlata ha, quindi, trovato un nuovo adepto.

Per l’Italia, con sua buona pace, per noi una buona notizia. Fra qualche mese Monti sarà solo un brutto ricordo. Non ne sentiremo più parlare.

giustus

 

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MARIO MONTI, ARROGANTE O PRESUNTUOSO, O  ENTRAMBI


Ormai non si capisce più se Monti sia più arrogante o presuntuoso, oppure tutte e due le cose messe assieme.

Stamane nella trasmissione diretta da Franco Di Mare, Unomattina, si è   lasciato andare a dichiarazioni abbastanza azzardate, dirette a tutto campo: rivolto a Bersani ha affermato che un’apertura verso il PD “sarebbe possibile, a patto però che il segretario si liberi delle «frange estreme», da Stefano Fassina a Nichi Vendola a Cgil e Fiom, ferme su posizioni conservatrici e che impediscono di spingere a fondo con le riforme”. Proprio su Fassina che lo ha accusato di essere a capo di una lista ‘Rotary’, vale a dire delle elite e a difesa dei poteri forti, ha detto: «Io la lista Monti non la conosco ancora e comunque ho sempre combattuto contro le lobby. Suggerisco all’onorevole Fassina di aggiornare un po’ il suo pensiero».
Allo stesso modo anche nel Pdl ci sono delle «lobby che hanno impedito di andare avanti con la liberalizzazione di alcune professioni».

E in questo caso Monti ha chiamato in causa l’ex ministro per la Pubblica amministrazione, Renato Brunetta tra coloro che hanno ostacolato le riforme per favorire più concorrenza. 
Monti ha colto l’occasione per rispondere all’accusa mossa il 2 gennaio dall’ex presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi che
lo ha accusato di non aver mantenuto la promessa di non candidarsi: «Il leader del Pdl ha mostrato una certa volatilità di giudizio sulle vicende umane e politiche negli ultimi tempi. 

Dopo aver definito Berlusconi ‘volatile’ e e consigliato a Bersani di mettere la museruola a Fassina, considerando la CGIL e la FIOM “non proprio progressisti” con un concetto vetusto di mondo del lavoro.

Come si poteva ben immaginare le reazioni sono arrivate a tempo di record. Il primo a rispondere a Monti è stato l’ex ministro Brunetta. L’economista e coordinatore dei dipartimenti del Pdl, che s’è persino offerto a tutela del pensiero del rivale Fassina. “Con le sue parole di stamattina il prof. Monti – ha detto Brunetta – svela la sua natura più profonda, che è quella del tecnocrate autoritario, disinformato e pasticcione”. “Tutto mi divide sul piano dei contenuti da Stefano Fassina, ma farò ogni sforzo perché nessuno possa ridurre lui o altri al silenzio. Abbiamo toccato il fondo, prof. Monti. Intimare il silenzio a qualcuno mentre si ricopre il ruolo del capo del governo non ha cittadinanza in democrazia, ma ci riporta a tempi bui e dolorosi”.

Anche Bersani ha voluto rispondere al premier: “Tutti i difetti del Pd si scoprono oggi: per un lungo anno non si sono visti. Preferisco il rispetto ma chiedo il rispetto per tutto il Pd”. Poi, al termine di un pranzo con Matteo Renzi, ha osservato: “Siamo un partito liberale che non chiuderà la bocca mai a nessuno, che troverà sempre una sintesi e credo che il coraggio che mi si chiede l’ho dimostrato. Il coraggio non è quello di chiudere la bocca alla gente, ma di lasciarla parlare, partecipare e trovare una sintesi. Questa è la mia idea”.

Ora dobbiamo osservare che il nostro uomo che aveva ripetuto per un anno intero che la sua missione avrebbe avuto termine alla fine della legislatura, invece di fatto si è candidato premier guidando una coalizione con politici di lunga data come Casini, Cesa, Fini.

Come ha scritto l’”Osservatore Romano”, Monti è certamente “onesto e capace” ma in quanto a coerenza,  è meglio glissare. Quanto alla capacità come professore, stimato anche per i suoi 14 anni, ben retribuiti, quale commissario europeo (guarda caso indicato prima da Berlusconi e, poi, da Prodi) nulla da eccepire, ma come premier, beh!, persino Diego Della Valle, fraterno amico di Montezemolo sodale di  Monti, ha qualcosa da ridire ed è supercritico sulla “salita” in politica. E anche la Cei sta facendo una riflessione sull’”Agenda Monti” e i suoi sostenitori come i divorziati Casini e Fini, quest’ultimo oltretutto laicista come il suo rappresentante, l’ex-radicale Della Vedova ( il cattolicissimo ministro Ricardi non ha qualcosa da dire in proposito?)

Si direbbe che la stella di Monti, dopo la ‘salita’ in politica ed aver smesso la sua divisa di tecnico per indossare quella di politico puro e duro, stia scendendo dall’universo che si era creato.

Pareva al presidente dei Vescovi italiani, cardinal Bagnasco, al quotidiano della Santa Sede e ad “Avvenire” che con Monti  fosse spuntato quasi un nuovo De Gasperi, capace di difendere in politica i” valori non trattabili”, a partire dalla famiglia, dal matrimonio, della vita sin dal suo concepimento. Così alcune dichiarazioni e alcuni articoli avevano fatto scrivere ai mass media: la Chiesa appoggia il Professore. No, non è così, il ”Corriere della Sera” ha, di recente, dedicato una pagina per dimostrare che si è trattato di un abbaglio e lo stesso cardinal Bagnasco avrebbe cambiato idea e un altissimo prelato, strettamente collegato a Papa Ratzinger, come l’Arcivescovo di Milano cardinale Scola non aveva mancato di esprimere, in separata sede, la sua contrarietà alle prese di posizione pro-Monti. Non a caso, pubblicamente, aveva fatto varare dal Consiglio della Diocesi un documento nel quale era esplicitamente scritto: “un clima di fiducia sarà realizzabile se insieme si lavorerà per salvaguardare dall’erosione dell’individualismo le questioni etiche rilevanti, promuovendo i valori ispirati alla retta ragione e al Vangelo. Per questo i cattolici che fanno riferimento ai principi irrinunciabili dell’insegnamento del Magistero della Chiesa sulla famiglia, aperta alla vita e fondata sul matrimonio tra uomo e donna, sul rispetto per la sua vita dal suo concepimento al termine naturale, sulla libertà religiosa, sul diritto alla libertà di educazione dei genitori dei propri figli, sulla tutela sociale dei minori e delle vittime delle moderne forme di schiavitù, sullo sviluppo di un’economia che sia al servizio della persona e del bene sociale, sul ruolo da riconoscere sui principi di solidarietà e sussidiarietà”.

Di tutto questo vi è scarsa traccia nell’operato del governo e nessuna nella famosa “Agenda Monti”. E lo stesso professore ha tolto, infine, ogni dubbio, sostenendo che sulle “questioni etiche” “è molto importante rispettare la libertà di coscienza” individuale. Altro che difesa dei “valori irrinunciabili” come la Chiesa chiede ai cattolici impegnati in politica!

Forse è per recuperare verso quel mondo Cattolico l’attacco di oggi a Vendola ed alla sinistra di Bersani.  L’impressione è che mentre ci addentriamo in una campagna elettorale che sarà durissima e, nonostante le giuste esortazioni del Capo dello Stato si rivelerà aspramente conflittuale, il premier stia perdendo il suo aplond inglese, choccato anche per i sondaggi che, per il momento, deludono fortemente le attese. Tutto questo, sposando un vetero-antiberlusconismo che, unito a quello bersaniano finisce per fare il gioco del Cavaliere. Che, come avevamo previsto,ma negato da molti, ha fatto il suo “colpo di teatro”, dicendo che lui è il capo di una coalizione, non il candidato a Palazzo Chigi. Si è, così, compreso che, come avevamo scritto,  era tutto un gioco delle parti con la Lega, mentre il PD  vede sfumare la vittoria sia perché difficilmente potrà avere la maggioranza al Senato (condizione posta da Casini per un eventuale accordo), sia perché vede un centrodestra pericolosamente in risalita elettorale.

Certo, il panorama politico è quello che è, ma un’eventuale unione post-voto Monti-Bersani  è davvero un toccasana per il Paese e un fatto positivo per i cattolici? Auguriamoci non sia rinviata ai posteri la non ardua sentenza.