A SINISTRA UN TERREMOTO INSANABILE

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Con l’ultimo schiaffo ricevuto anche da Gentiloni, suo sodale principale, a Matteo Renzi rimangono poche alternative. Ieri l’uscita del Presidente Grasso dal Partito Democratico, oggi il Premier e Mattarella che, a dispetto dei santi, confermano Visco al governatorato della Banca d’Italia, una legge elettorale che, a dire dei più, fa semplicemente pena, per Mario Segni, addirittura una “schifezza” –altro che legge truffa di antica memoria-, lo stretto sentiero percorso da Matteo Renzi è al bivio, sfiduciare il Governo o dimettersi da segretario del Partito. Compiere uno dei due gesti è un atto di grande coraggio oltre che di sana e logica coerenza.

La cronaca: nei giorni scorsi, mentre si discuteva la nuova legge elettorale, il cosiddetto “Rosatellum”, all’improvviso, il segretario del PD faceva votare alla Camera una mozione nella quale si diceva che il PD si dissociava, anzi, era contrario alla riconferma di Visco a Governatore della Banca d’Italia. Fulmini e saette, insorgevano, sotto traccia, i poteri forti, Mattarella, Bersani, qualche ministro e, tiepidamente si smarcava il Premier che, poi, si venne a sapere dallo stesso Renzi che della cosa era stato informato e, addirittura, oltre ad esserne consapevole, aveva apportato delle modifiche al documento. Ovviamente non poteva mancare la presa di posizione di Boldrini e Grasso, entrambi inneggianti all’autonomia dell’Istituto di controllo del sistema bancario. Mi permetterei un appunto su questo argomento: se la Banca d’Italia non batte più moneta, i controlli li fa all’acqua di rose, visto che gli stipendi che paga ai suoi dipendenti che fanno impallidire anche quelli dei parlamentari, cosa ci sta a fare?

Chiuso l’inciso. Tornando all’argomento, Matteo, insiste assumendo la responsabilità diretta della mozione coinvolgendo il Partito, a quel punto c’è l’immediata presa di distanza del ministro Orlando, anche se in maniera leggermente più tenue, anche Franceschini rimane tiepido, insomma è il primo segno dell’ulteriore spaccatura. L’unica voce che pone qualche dubbio sulla persona Visco arriva da silvio Berlusconi che, debolmente, conferma l’assenza dei compiti di Istituto, cioè di controllo che sarebbero dovuti essere espletati e che sono arrivati con estremo ritardo, quando i buoi erano scappati.

Intanto la legge elettorale prosegue il suo cammino al Senato dove la situazione per la maggioranza di governo è sempre stata in bilico, allora, al fine di evitare sorprese, come aveva fatto alla Camera (si diceva per accelerare i tempi) fece mettere la fiducia al Governo che, in effetti, sulla legge elettorale non c’entrava nulla. Gentiloni, pur con qualche mugugno si è prestato al gioco della linea di Renzi. Già alla Camera erano insorti i pentastellati con tutta la sinistra e, tanto per non farsi mancare nulla, anche la destra della Meloni si teneva fuori a differenza di Berlusconi, Salvini e i loro arcipelagi, quindi, al Senato, a maggior ragione si votano tutti gli articoli con la fiducia del Governo, così in due giorni si arriva, grazie ai voti di Verdini, alla votazione finale dove a parare i colpi vi erano dichiaratamente Forza Italia, Lega e gli altri, la legge elettorale, battezzata Rosatellum ottiene la sospirata approvazione. A quel punto, le dimissioni del Presidente Grasso dal PD per passare al Gruppo Misto del Senato.

La decisione della seconda carica dello Stato, era cosa che maturava da tempi lontani, bisogna risalire alla primavera scorsa, ma anche prima, il “ragazzo di sinistra”, come ama definirsi, mal sopportava quella spaccatura che si stava giorno per giorno determinando con la sinistra del partito e che Renzi non faceva nulla per ricucire. Il segretario del PD ha mal digerito la sconfitta del referendum che riteneva scontato e che invece è stato il motivo del suo declino voluto con veemenza da quella sinistra che gli ha sempre rimproverato di spostare l’asse del Partito verso destra, di avere degli accordi sotterranei con Berlusconi, attacchi sfociati poi nella spaccatura e, addirittura, a lasciare il PD per costituirsi come Gruppo rappresentante l’ala moderata del vecchio PCI.

Certo è che la decisone di Grasso a lasciare il PD, per coerenza, non dovrebbe fermarsi, la Presidenza del Senato gli è stata data da quel Partito che ha abbandonato per protesta, di conseguenza, quando ha compiuto quel gesto avrebbe dovuto proseguire nelle azioni  e lasciare anche l’incarico istituzionale, almeno così si usava una volta quando a far politica vi erano altri uomini, ora i costumi sono cambiati e, magari mostrando una faccia che somiglia più al bronzo che ad una di quelle dove cresce notoriamente la barba, magari accampando scuse di carattere istituzionale, scuse che tutto coprono, si va avanti madama la marchesa.

Certo se Grasso lasciasse la Presidenza del Senato, lo scombussolamento sarebbe tale da coinvolgere anche Gentiloni con il suo Governo, cosa sicuramente gradita a Renzi che si vedrebbe togliere le castagne dal fuoco evitandogli di essere lui a far cadere questo governicchio che gli ha rotto le uova nel paniere con la vicenda Visco e che ha concluso essendo lui stesso a proporlo per il reincarico.

Una confusione difficilmente sanabile, ormai con la legge elettorale definita, andare al voto è auspicato da tutti e dopo quest’ultimo schiaffo sarà difficile contenere Renzi dalla tentazione di essere lui a togliere quella fiducia della quale il Governo non può fare a meno.

Gentiloni, nel Consiglio dei Ministri che ha decretato la riconferma di Visco, ha dovuto registrare, guarda caso, l’assenza dei ministri fedelissimi a Renzi, ma vi è di più, era assente il vice segretario del PD Martina, e questo la dice lunga, sarebbe dovuto essere un sintomo inequivocabile per il Premier, per prenderne atto e andare da Mattarella e porgere con una mano il decreto di proposta di nomina per Visco e nell’altra le dimissioni che il Presidente nel pieno dei suoi poteri avrebbe potuto respingere con l’incarico di tornare alle camere per chiedere la fiducia. Ma, come scrivevo pocanzi, così si faceva quando a far politica vi erano Uomini con la U maiuscola.

Che sotto vi sia una solenne “buggeratura” sotto la proposta di dialogo avanzata da Speranza a Renzi?

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Siamo ormai alle ultime battute: la legge elettorale ha ottenuto i primi due “si” al Senato, il primo in Commissione Affari Costituzionali, il secondo in Aula, ma, per evitare sorprese, anche in quel ramo del Parlamento, il Governo porrà la fiducia. Certo, quest’ultimo atto potrebbe essere a rischio ma, Renzi, a buon ragione, sa bene che all’occasione gli arriverà qualche salvagente da amici più o meno occulti.

Questo ragionamento non è sfuggito di certo a quella sinistra che ha lasciato il PD e, non certo un caso che il leader del Mpd Roberto Speranza abbia avanzato la proposta di dialogo a Renzi nella convinzione di giungere ad un risultato positivo. Proprio no perchè le due condizioni che ha posto per un incontro subito sono inaccettabili per il segretario dem. Che ha detto un secco no alla prima, ossia alle modifiche della legge elettorale approvata dalla Camera ed ora all’esame del Senato. Sulla seconda – modifiche alla legge di bilancio e “alle politiche sbagliate di questi anni” – Renzi non è stato altrettanto categorico, non ha detto “non si tocca” come sulla riforma elettorale, limitandosi ad accettare un confronto sulla manovra economica, ma, nel contempo –rivendicando proprio quanto fatto anche sul terreno economico dal suo governo e da quello Gentiloni, esaltando quel Jobs Act che i progressisti-democratici vorrebbero profondamente cambiare.

Il leader dem, probabilmente, non ha risposto picche su tutta la linea anche perchè all’interno del suo partito non solo la minoranza, ma anche un big della maggioranza come il ministro Franceschini hanno salutato con favore l’apertura di Speranza, che ha motivato la sua offerta di dialogo, sostenendo che “non è Renzi il nemico. Tra noi non c’è alcun problema personale, ma di linea politica” “C’è –ha specificato- da riparare la frattura con gli studenti, gli insegnanti, i lavoratori…con una politica di radicale discontinuità”.

Non mi pare che il big degli ex-scissionisti sia stato leggero nelle richieste per un dialogo che ha rilevato si rende necessario anche perchè “la destra ovunque è fortissima e nessuno di noi può far finta di niente. Io di certo non voglio.” Da qui la sfida a Renzi, all’incontro anche subito, cioè prima che al Senato entri nel vivo la discussione sulla legge elettorale.

C’è da tener conto che Speranza ha fatto la sua apertura al dialogo prima di conoscere i risultati dei referendum in Lombardia e Veneto ( 38-39%, 57,2 quando, ad esempio nelle ultime elezioni regionali in Emilia Romagna,votò appena il 35,7% ) dove il centro-destra s’è mostrato in grande spolvero nonostante il ministro Martina, vice-segretario Pd, avesse fatto campagna per l’astensione, soprattutto in Lombardia. Acquista, quindi, ancor maggior significato quanto aveva detto in un’ampia intervista: ”Se si tratta di discutere di cambiare la legge elettorale e la legge di bilancio sono disponibile ad incontrare chiunque: Lui è disponibile?” Lui, ovviamente, è Renzi. Prima , nel lanciare la sfida,aveva anche detto: “E’ l’ultima occasione per capire se il filo si è definitivamente spezzato o si può ancora riannodare.”

Mi sembra, quindi, evidente che Speranza abbia fatto una mossa molto tattica, sapendo che Renzi non solo non intende cambiare la legge elettorale, sulla quale ha addirittura fatto mettere la fiducia al governo nell’aula di Montecitorio, ma difficilmente potrà accettare di modificare, ad esempio, il Job Act che ritiene un suo gioiello.

Il risultato sarebbe che quel filo spezzato non si riannoderebbe in vista di una consultazione elettorale, dove il centrodestra si può presentare unito, e la responsabilità, i democratici-progressisti, la attribuirebbero al “cattivo” Renzi. Certo, le condizioni poste per l’incontro sono state ampie perchè in una trattativa si può, poi, cedere un pò e se il leader dem accettasse anche la metà delle richieste sarebbe già un successo per gli ex-scissionisti, ma questo mi pare una chimera e già Renzi è stato categorico su un punto fondamentale: la legge elettorale non si tocca.

C’è,inoltre, da considerare che l’ex-premier sa benissimo che se facesse un accordo con i Bersani ed i D’Alema (suo acerrimo nemico difeso a spada tratta da Speranza..) e, di conseguenza, anche con Sinistra italiana perderebbe voti al centro, dove spera, oltretutto, di trovare alleati “sicuri” ad iniziare dai Casini, dagli Alfano e da quel che resta di Scelta Civica, giocando tutto sull’opzione B delle elezioni: la grande coalizione con una Forza Italia rilanciata da Berlusconi che potrebbe portarsi dietro i leghisti, desiderosi di andare al governo, se il centrodestra non raggiungesse, come indicano oggi i sondaggi (ma domani coi voti reali chissà?) il fatidico 40% nel proporzionale alla Camera, al Senato e, contemporaneamente, la maggioranza nei collegi uninominali del Senato.

Il fatto è che Renzi, assolto l’impegno di rottamare soprattutto i big ex-comunisti , sa bene che in Italia come in Europa non si vince a sinistra. Così ha iniziato a fare un simil-populista per attrarre anche voti dai 5 Stelle e persino dall’ala moderata sia in quella che diserta le urne ma teme gli immigrati e vede con simpatia l’operato del Ministro Minniti, sia quella (soprattutto di parte cattolica) sconcertata dall’aggressività di Salvini e dalla sua continua polemica nei confronti di Papa Francesco .Si tratta di un opposto elettorato, uno anti-immigrati, uno a favore dell’accoglienza sia pure con la dovuta cautela e secondo regole certe, ma Renzi è bravo su questo fronte-bidirezionale come dimostrò quando prese il 40% nelle “europee”, tesoretto di voti poi dissipato da un’errata comunicazione ed un eccesso di protagonismo.

Ovviamente in politica tutto può accadere, lo ha confermato Trump sconfiggendo la Clinton per la Casa Bianca, ma sarebbe clamoroso rivedere nello stesso partito Matteo Renzi, Massimo D’Alema e Pier Luigi Bersani. Tra qualche giorno , con il sì (probabile) ed il no del Senato sulla legge elettorale sapremo la verità.

PER RENZI SARA’ UN ALIBI?

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Forse, cinque anni fa sarebbe stata presentata da Beppe Grillo, ora, probabilmente, non l’avrebbe fatto, ora pensa di andare a governare il Paese, quindi,  la prima regola è, non alienarsi i poteri forti, quei poteri che non lo hanno mai preso sul serio, che non lo stimano ma che ora sono lì attenti agli eventi, pronti a rivedere le loro posizioni.

Matteo Renzi ha fatto la sua mossa, se le cose dovessero andargli male, lui è pronto ad usarla come alibi, direbbe subito: “Vedete in mano a chi siamo?” ISe qualcuno aveva dei dubbi su chi detiene il potere, quello vero, quello che incide inesorabilmente sulla vita dei popoli, la mozione anti-Visco, voluta da Renzi e votata da buona parte del PD oltre agli altri che la hanno approvata, ora ne hanno  la prova evidente.o, il PD, preferiamo stare vicino ai più deboli, i piccoli risparmiatori. Siamo stati accusati di non essere di sinistra, di non rappresentarla, guardate chi difende Visco, i poteri forti, Bersani e la sua cricca.

Comunque, andiamo alla cronaca ragionata:quello provocato dalla mozione Pd che, alla Camera, critica Ignazio Visco, pur con le correzioni apportate da un sorpreso Gentiloni, è un brutto pasticciaccio perchè crea problemi al governo nel momento in cui si avvertono sintomi di ripresa dopo la pesante crisi economica.non del tutto superata e si determina un pericoloso allarme nei mercati che potrebbe avere ripercussioni negative su quella ripresa ancora debole. Brutto perchè apre la strada ad ogni tipo di illazioni ;anche pesantemente negative, sui motivi di questa imprevista mossa di Matteo Renzi. Brutto, infine, per l’inopinato scontro istituzionale che ha costretto il Presidente della Repubblica Mattarella a diramare un comunicato attraverso un’agenzia di stampa inglese per tranquillizzare i mercati e prendere le distanze dalla mozione dei deputati dem nella quale, anche con le correzioni gentiloniane, si criticava – aggiungo io, “giustamente”- la mancanta vigilanza, sulle crisi bancarie, il governatore della Banca d’Italia Visco che, ormai, si dava per riconfermato alla sua scadenza del 31 ottobre.

Che sia un “pasticcio brutto” lo si vede dalle reazioni, dalle polemiche, dalle spaccature anche all’interno del Pd, ma anche e direi soprattutto dai veleni che stanno emergendo e dalle indiscrezioni che emergono dal dossier sulle crisi bancarie ( 4200 pagine anche con file segreti) portato da Visco al presidente Casini ed ai vice-presidenti Renato Brunetta e Mauro Marino della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle banche. Sarà, ovviamente, ascoltato da tale commissione il governatore della Banca d’Italia che, intanto, ha premesso, forte anche delle molte solidarietà avute , che “in ogni attività di controllo del sistema creditizio ho tenuto informato il governo e all’accorrenza anche l’autorità giudiziaria.” E Francesco Verderami sul “Corriere” anticipa che tra quei file segreti ci sono anche documenti sulla crisi delle popolari venete , del Monte dei Paschi e di altre quatro banche,oltre ad una lettera di Visco su Banca Etruria”, dove vice.presidente era il padre della sottosegretaria Boschi che la mozione Pd aveva supervisionato, Da qui l’ipotesi, avanzata in una trasmissione Tv, che Renzi abbia assunto l’iniziativa della mozione per timore che da quelle carte emerga qualcosa di non positivo per qualcuno che fa parte di quello definito “giglio magico”, ossia la cerchia ristretta dei suoi collaboratori.

In ogni caso Renzi a voluto giocare l’azzardo della mozione, scegliendo il versante populista per non farsi anticipare. Un azzardo, però, non riuscito perchè ha provocato un terremoto, iniziando proprio dal Pd, dove la minoranza di Orlando e del governatore della Puglia ha duramente riprovato l’iniziativa, Cuperlo ha definito “un grave errore ed un autogol, Walter Veltroni “incomprensibile,ingiustificabile”, l’ex-presidente della Repubblica Napolitano “deplorevole”, mentre un ministro come Carlo Calenda ha detto : “non parlo per amor di Patria”. C’è,poi,da aggiungere che 60 deputati dem non hanno votato e lo stesso premier, a colazione al Quirinale con alcuni ministri, dinanzi all’indignazione di Mattarella per la mozione Pd , non solo ha convenuto, ma si è detto “esterrefatto” per il metodo e ritenuta “ingiusta” la mozione per il contenuto. La Boschi, presente alla colazione, sembra non abbia replicato e così, poi, ha avuto rinnovata, pubblicamente, la fiducia del premier, mentre Visco ha incassato la solidarietà, per telefono, del presidente della Banca Centrale Europea, ha avuto il saluto, i sorrisi ed una calorosa stretta di mano del ministro dell’Economia Padoan durante una pubblica cerimonia, oltrechè il sostegno del Capo dello Stato, al quale il governo dovrà presentare , entro il 31 di questo mese la proposta di conferma di Visco o del nome del successore: la nomina, infatti, viene fatta con decreto di Mattarella.

Siamo, quindi, ad un finale da libro giallo con i renziani Richetti, Rosato e Guerini che difendono l’iniziativa del segretario dem: “non vogliamo la testa di nessuno, ma è legittimo criticare” e “nessun attacco all’autonomia della Banca d’Italia che è un valore del Paese, però nessun timore di esprimere un giudizio”, mentre Matteo Orfini è stato lapidario.  “il Governatore non è infallibile come il Papa”.

A breve avremo la soluzione di questo giallo, ma gli strascichi e pesanti purtroppo rimarranno in una campagna elettorale che rischia di essere devastante anche perchè le indiscrezioni sui file segreti, contenuti in quelle 4200 pagine di dossier della Banca d’Italia, potrebbero inquinare ancor più la scena politica. Si’ credo proprio che Renzi, con il suo improvviso populismo, come molti sostengono, abbia commesso un grave errore di valutazione e, quindi, un autogol. Oppure, nella peggiore delle ipotesi, come supponevo, lo userà come alibi?

In tempi abbastanza brevi vedremo se saprà porre riparo prima che per il suo partito ed il Paese sia troppo tardi.

HA RAGIONE MATTEO, LA MOZIONE ANTI-VISCO E’ GIUSTA?

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Non sono in possesso di dati precisi ma, da quel che si è letto in tempi anche meno recenti, almeno l’ottanta per cento dei cittadini, quelli che leggono i quotidiani e seguono la politica ed i fatti di tutti i giorni, ha rivolto critiche, spesso anche aspre, verso il governo e gli organi di controllo delle banche ed in primis nei confronti della Banca d’Italia. Quest’ultima, insieme alla Consob, sono state accusate di non aver tutelato quella marea di risparmiatori che hanno perso tutto ciò che avevano depositato in quelle piccole banche locali, nelle quali avevano creduto ciecamente e che, loro, attraverso il malaffare, hanno dilapidato i risparmi di tanta povera gente. Che in tutto questo traffico vi fosse connivenza con il mondo politico, è possibile, anzi, seppur non provato, sembrerebbe facile dedurlo. Una cosa è, comunque, scontata, chi doveva vigilare in quel mentre guardava da ben altre parti.

Ora ci scandalizziamo perchè il Parlamento, la Camera dei Deputati, ha votato a maggioranza, una mozione sfavorevole al rinnovo dell’attuale Governatore della Banca D’Italia, in scadenza, ritenuto non meritevole, proprio per essere stato distratto anzichè vigilare su quanto stava succedendo nel piccolo mondo bancario del nostro Paese (piccolo, si fa per dire!).

A chiedere che fosse presentata e votata questa mozione è stato il Partito Democratico, strano a dirsi, proprio quel PD della Boschi e del suo Segretario Renzi. La mozione è stata votata ed approvata a maggioranza. Non sono andato a vedere chi l’ha votata e chi no, probabilmente ci sarà stato il voto di qualche distratto che senza accorgersene ha premuto il pulsante del ”si”, continuando nei suoi pensieri astratti.

Salvati cielo, i pentastellati hanno suonato tutte le trombe di cui disponevano, Di Maio, candidato Premier, è esploso in difesa del Governatore Visco. Alle prime proteste ad assumersi la responsabilità della presentazione di quella mozione denigratoria era stato il PD, dopo aver ascoltato il Governo, e poichè segretario di quel partito è Lui, l’unico, il solo, Matteo Renzi, spiegava di aver reso un buon servizio al Paese chiedendo di liberare l’Istituto di Vigilanza delle banche (è l’unico compito che gli è rimasto) da un elemento che, nel momento del bisogno non c’era e se c’era, dormiva.

Ebbene a scandalizzarsi per prime quasi tutte le vecchie cariatidi della Sinistra, da Napolitano a Prodi, da Veltroni a Bersani, e chi più ne ha più ne metta, sembrava di giocare a poker, “piatto ricco, mi ci ficco”.

Che in tutto questo vi siano tante note stonate, non vi è dubbio, la figura di Renzi in primis, forse, la meno adatta per esprimersi contro quel dr Visco, che, pur non avendo brillato in tutta quella vicenda veramente assurda, compresa quella del Monte dei Paschi di Siena, e prendendo atto che mai la sua voce si è fatta sentire in favore di quei poveri risparmiatori che in un refolo di vento hanno visto sparire il lavoro di una vita. Per fortuna, in questa circostanza non ha aperto bocca la Boschi, ci mancava solo lei.

La sorpresa è stata la dichiarazione di Berlusconi che, nella sostanza, ha approvato l’atteggiamento di Renzi pur rimanendo nella posizione del rispetto dell’autonomia dell’Istituto di via Nazionale. Gli altri, Brunetta, contro per principio, poi, Salvini che strillava assieme ai risparmiatori. Insomma cose matti.

Ora, il pallino è in mano a Mattarella, il quale ha avuto subito parole di biasimo per l’ingerenza del Parlamento in una questione, secondo lui, non pertinente alle sue prerogative.

Quì ci sarebbe qualcosa da dire: quel ramo di Parlamento è stato determinante per l’elezione dell’ultimo Presidente della Repubblica, che è stato ispirato proprio da quel Partito Democratico che ora vorrebbero tacciare quale usurpatore di iniziative non sue.

Andiamo al nocciolo. Sallusti nel suo editoriale, scrive: “La domanda è quindi perché Matteo Renzi abbia commesso un simile scivolone, che gli ha attirato le ire di mezzo mondo. Scartando, al momento e in assenza di prove certe, che sia uscito di testa, restano due ipotesi. La prima è che stia giocando d’anticipo rispetto a qualche cosa che potrebbe danneggiarlo in arrivo dal fronte delle inchieste giudiziarie, parlamentari (e della stessa Bankitalia) che stanno indagando sul fallimento di Etruria, banca molto vicina come noto al suo magico mondo fiorentino e in particolare alla fidata Maria Elena Boschi.

La seconda ipotesi è che si tratti di una manovra esclusivamente elettorale. Provare cioè a convincere gli italiani che lui e non Grillo è il paladino dei risparmiatori traditi da banche farlocche e dalla mancanza di vigilanza su di esse di Bankitalia. Visco, insomma, come il cattivo da dare in pasto all’opinione pubblica per saziarne la fame di vendetta.”.

Io sono propenso per la seconda ipotesi, senza escludere totalmente la prima, insomma, un viaggio, due servizi.

CATALOGNA: LA VITTORIA DEL BUONSENSO E DELLA NON VIOLENZA

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Alla luce dei fatti, a decretare la vittoria dei catalani non sono state tanto le schede inserite nelle urne, quanto i manganelli usati sulle persone inermi che erano lì per esprimere democraticamente il loro voto.

Mi perdoneranno i propugnatori dell’indipendenza della nostra terra sarda se, anche dopo il referendum catalano, continuo a ritenere che essa sia più che mai un’utopia. Anzi la mia convinzione si rafforza proprio alla luce delle reazioni dei vari gruppuscoli sardi, tutti pronti ad inneggiare il comportamento dei catalani, ad inveire contro la repressione spagnola ma, allo stesso tempo, rimanendo ognuno sulle loro posizioni, timorosi di perdere quel poco e insignificante potere dato da quel minimo, quasi inesistente microcosmo che vantano di avere.

Qualcuno si chiederà da dove vengono queste mie convinzioni: io avevo immaginato che la posizione, abbastanza coraggiosa, assunta dai catalani, potesse essere una occasione unica per sollecitare una concreta possibilità di unire il popolo sardo sotto un unico vessillo, anzi una sollecitazione ai partiti nazionali perché si facessero anche loro portatori di un contributo, quanto meno per una autonomia seria, visto, tra l’altro, che questa è prevista dalla Costituzione italiana. Dolorosamente devo prendere atto di essermi sbagliato, anzi di non aver capito che, per molti cosiddetti sardisti i motti catalani rappresentavano solo un’occasione per parlare ma, allo stesso tempo, mantenere quello status- quo utile solo solo a loro.

Una voce fuori dal coro, in effetti c’è stata: l’On, Mauro Pili, con intelligenza e con il tempismo che lo contraddistingue in tutte le azioni che lo vedono impegnato, ha immediatamente presentato una proposta di legge per promuovere un referendum sardo in auspicio all’indipendenza. Seguendo tutte le azioni di Pili, ameno, in questi ultimi anni, e conscio della sua intelligente capacità, ho immediatamente pensato che la sua fosse una prima provocazione, ben sapendo che essendo a fine legislatura, la sua proposta sarebbe rimasta lì agli atti della Camera e, comunque rimaneva come pietra miliare per momenti migliori. In effetti, la proposta Pili, un suo scopo poteva averlo, ed era quello di iniziare un dialogo unificatore fra i molteplici gruppi, gruppetti, corpuscoli e plotoncini, quelli tanto blaterano e poco concludono.  No è stata persa una buona occasione, non è neppure stato compreso che la reazione violenta della Spagna di Rajoy, coadiuvato da un sovrano improvvido che la ha approvata, avrebbe dovuto essere un argomento ancor più unificante proprio per quell’occasione che era stata fornita e sarebbe dovuto essere richiamo a tutti i sardi.

Certo, per chi crede in una Sardegna autonoma che impari a governarsi da sola, è stata una vera delusione sentire la dichiarazione del sardo che più sardo non si può, Gavino sale che dice: “C’è ancora molto lavoro da fare e non esistono scorciatoie…”. Ma, quale è la strada maestra che sta percorrendo, visto che sono lustri che ci predica una indipendenza dimostrando ora di non sapere esattamente cosa vuole? Perché poi il sig. Franco Devias, portavoce di se stesso, che dice addirittura: “Pili? Posizione fuori luogo. …”, così gli altri con lo stesso tono.

Mi si perdoni, quella di Pili sembra la strada più percorribile, è chiaro che l’Italia, come ha fatto la Spagna, non farà mai passare una legge che consenta un referendum per l’indipendenza della nostra regione, ma potrebbe essere invece l’inizio di un dialogo di apertura per rivedere la nostra autonomia tale da renderla il più vicino possibile all’indipendenza. Purtroppo, bisogna prenderne atto, finchè il popolo sardo sarà portato alle urne e da queste ne uscirà una Giunta come almeno le ultime due che hanno governato, credo proprio che gli spazi siano talmente ristretti per poter sperare. Noi sardi dovremmo puntare tutto per di riappropriarci delle tradizioni, la cultura, la lingua, e tutte quelle cose che ci hanno distinto nel lontano passato. Questo è possibilissimo se si remasse tutti nella stessa direzione per ottenere una regione unita, non chiusa in se stessa e proiettata verso un suo autonomo futuro. Corsica docet