Un fine anno con Il monito di Mattarella soprattutto ai politici

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Siamo arrivati alla fine dell’anno, quindi tempo di bilanci: un 2016 che definirlo travagliato sembra un eufemismo e non mi riferisco al nostro Paese, le ultime uscite di Obama sono quanto di peggio si possa immaginare in campo internazionale, una azione squallida e scomposta quella rivolta verso un Paese verso il quale bisognerebbe avere un po di rispetto e non farne uso per diatribe interne e per dare uno spettacolo che mai nessun Presidente degno di tale nome abbia mai dato. Forse neppure la signora Clinton credo sia stata d’accordo ad arrivare a questo punto. Ammesso che vi siano state infrazioni, Obama avrebbe fatto una miglior figura se il vecchio Presidente avesse lasciato al nuovo la soluzione del problema.

Ma, noi è bene che badiamo ai nostri di problemi che, purtroppo non sono pochi e di poco conto, comunque,

S’è confermato un positivo punto di riferimento in una fase estremamente delicata della nostra vita nazionale, il nostro Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Ha ricordato a tutti, in particolare ai politici, ai mezzi di comunicazione ed al sociale, che “chi diffonde sentimenti di inimicizia o, addirittura, di odio agisce contro la comunità nazionale e si illude di poterne orientare la direzione” perché quell’odio “penetra in una società, la pervade”. Sì, dunque, alla dialettica, ma che sia “corretta e seria quanto più grandi e impegnativi e talvolta drammatici sono i problemi che vanno affrontati”.

Quanti ed urgenti siano il Capo dello Stato li ha indicati nel suo intervento alla cerimonia dello scambio di auguri con i rappresentanti delle Istituzioni, delle forze politiche e della società civile. E lo ha fatto richiamando in particolare i politici al dovere di affrontarli e risolverli, ecco il duro monito nei confronti di chi guarda solo ad elezioni anticipate che quei problemi aggraverebbero. “Di fronte alle difficoltà di tante famiglie –ha detto-, di fronte a  giovani che non hanno possibilità di programmare la propria vita perché non trovano lavoro, di fronte a chi lo ha perduto o a chi lo ha sottoretribuito, di fronte ad un’ampia area di povertà…occorre rispetto e, quindi, un confronto di proposte con adeguate elaborazioni”.

Ho voluto citare questo lungo passo perché è estremamente significativo  accompagnato com’è dalla sottolineatura che il nuovo governo è “nella pienezza delle sue funzioni” ed oltre a cercare di “facilitare il lavoro parlamentare riguardo alla legge elettorale” che abbia un consenso più ampio della maggioranza, ha “il compito e il dovere di farsi carico dei tanti problemi presenti. E li ha così elencati: “dall’avvio della ricostruzione dei territori colpiti dal terremoto alla condizione economica del Paese e, nel suo a, bit, al ruolo degli operatori nei mercati; dalla sicurezza del risparmio affidato al sistema bancario, all’occupazione; dalla gestione del complesso fenomeno migratorio, ai rilevanti impegni internazionali dell’Italia” che Mattarella ha citato in dettaglio, specificando che “sono in giuoco il ruolo e il prestigio dell’Italia”.

Cosa avrebbe potuto dire di più a quei  vocianti politici che chiedono elezioni anticipate subito, che al dialogo preferiscono l’odio e, in non pochi casi, il turpiloquio? Molti dovremo attentamente leggere questo intervento di un Presidente della Repubblica che ha voluto anche dare un messaggio di speranza  dicendo che dobbiamo, sì, “prepararci a sfide nuove”, ma “il nostro Paese –la nostra società nel suo insieme – è capace di superare passaggi decisivi: talvolta fatichiamo a riconoscerne i pregi e ci fermiamo a sottolinearne soltanto lacune e pigrizie che, ovviamente, è bene indicare”. Da qui  la sottolineatura che, dinnanzi a gravi emergenze, sono emerse “tante energie positive”, tante “forme di solidarietà”, dimostrando “ancora una volta quanta vitalità vi è nei nostri territori, nella nostra cultura, nella nostra economia”, quanto grande sia il valore volontariato.

E’ stato, questo  di Mattarella, il miglior riconoscimento a quell’Italia maggioritaria che non cede alla rassegnazione, che ha tante eccellenze anche se ignorate dai mass media e che s’impegna quotidianamente, spesso in una difficile lotta per l’esistenza, ma anche consapevole del “privilegio di vivere e di operare in Italia” come ha detto il Capo dello Stato.

Peccato che quelle eccellenze cui fa cenno Mattarella siano state trascurate per questo governo che più che l’Italia, sembra voler rappresentare solo Renzi.

In ogni caso se ne renderanno conto le classi dirigenti italiane e, soprattutto, i politici troppo  distanti dal Paese reale, troppo presi nella loro referenzialità e in discutibili e presunti interessi di parte?

Per oggi …facciamo vacanza auguriamoci reciprocamente gli auguri più belli che il 2017 sia portatore di progresso, di serenità e pace per tutti. Auguri.

Renzi: autocritica ambigua poi, propone il Mattarellum

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(ma Grillo e Berlusconi dicono no)

Quello di Renzi in Assemblea è stato un discorso tutto diverso dal suo solito, tanto da far sorgere più di qualche dubbio sulla sua veridicità.

Un Matteo Renzi meno arrogante e apparentemente, quasi umile,  ha ammesso di aver “straperso” il referendum costituzionale e di non aver compreso i veri umori degli italiani.  Un Renzi inedito quello che ha aperto ieri, senza replica finale, l’Assemblea nazionale del Pd, difendendo, sì, i provvedimenti del suo governo – erano “giusti” -, ma ammettendo che non erano “condivisi”  oltre a non essere stati accompagnati da una comunicazione, quindi, poco comprensibile per i cittadini. E, soprattutto, per  le periferie delle metropoli, il Sud d’Italia e per i giovani, cioè tutti i  grandi protagonisti del “NO” referendario.

Nessun regolamento dei conti all’interno del partito, anche se brucia la dissidenza degli anti-sì  bollati  da un estemporaneo e grossolano intervento di  quel Giachetti, pluri-sconfitto dem  al Comune di Roma, rivolto a Speranza di “avere la faccia come il c…..”, costringendo Renzi a mettersi le mani nei capelli per la disperazione,  considerato che aveva fatto appello all’unità, ad essere una vera comunità -annunciando a sorpresa- con il congresso che si svolgerà regolarmente nel novembre del prossimo anno, consentendo, così, al Pd di voltar pagina  con una campagna d’ascolto per ri-sintonizzarsi con il sentire dei cittadini. Nessun accenno alle elezioni anticipate, lasciando, probabilmente, questo compito al ministro per le infrastrutture Del Rio per il quale il voto nel referendum ha dimostrato la volontà degli italiani  a favore del voto politico anticipato  e, dunque, occorre andarci al più presto con una nuova legge elettorale. Di parere contrario, però, è stato il ministro Franceschini che ha parlato subito dopo il segretario e che, con i suoi cento parlamentari, costituisce  un alleato indispensabile per il segretario. Che, comunque, ha lanciato la proposta  del Mattarellum, ossia della legge elettorale del tempo dell’Ulivo, quella che porta il nome dell’attuale Capo di Stato, 75% di seggi uninominali, 25% con il proporzionale con sbarramento al 4% e sottrazione dei voti ottenuti nel collegio uninominale dalla lista collegata, mentre tre quarti  dei seggi uninominali al Senato, il resto con il proporzionale.

Immediato il sì della Lega (Salvini: va bene qualsiasi legge purchè si vada subito al voto) e della Meloni, soddisfatta la sinistra dem, mentre Forza Italia, Grillo e gli alfanian-verdiniani  dicono forte e chiaro di “no”  e questo apre la strada a quello che sarebbe l’accordo sotterraneo, ma non troppo, tra Renzi e Berlusconi per un 30% di seggi con collegi uninominali, il 70% proporzionale con sbarramento al 4% o, se possibile, anche al 5% , lasciando, così, aperta la strada alle alleanza post-elezioni , senza ipotecare, prima, anche il futuro premier.

Certo, bersaniani e cuperliani preferiscono il “mattarellum”, ma alla fine potrebbero accettare una soluzione che , se si introducesse almeno una preferenza nel proporzionale, lascerebbe qualche spazio anche alla minoranza dem. Per ora, comunque, sono in fase di attesa  anche perché chiedono modifiche alla politica economica del governo ad iniziare dal Jobs Act sotto rischio di referendum. Per questo, si sono assentati dal voto sulla relazione  che, senza replica, fatto non usuale, ha confermato la larga maggioranza per Renzi: 481 si’, 10 astenuti e 2 contrari.

Sulla base di questo risultato alcuni osservatori prevedono che Matteo Renzi non sia intenzionato a fare altre concessioni, oltre quella dell’apertura di un dialogo interno e di  una segreteria allargata.   Per lui i provvedimenti economici contestati dalla sinistra dem erano giusti e non sono stati compresi soprattutto per una carenza comunicativa, alla quale si provvederà con la campagna dell’ascolto, alla quale si accompagna la speranza che alcuni di quei provvedimenti inizino a dare risultati concreti  e, dunque, visibili  e che il nuovo governo porti a casa, in tempi brevi, i decreti per l’attuazione di alcune leggi, ad iniziare da quella di bilancio.

Le vicende siciliane e, soprattutto, i guai romani dei Cinque Stelle con il commissariamento, di fatto, della sindaca Virginia Raggi, sempre più isolata e sempre più in difficoltà, danno un po’ di   respiro ai renziani convinti di una possibile rivincita, pur costretti a venire a patti con Franceschini. Tra questi patti potrebbe esserci sia  la scissione tra premier e segretario, sia il proseguimento della legislatura, sperando che i grillini proseguano  a farsi male da soli  e che il Pd recuperino moderati. Come, d’altra parte, vorrebbe fare anche Silvio Berlusconi, quasi certamente, possibile alleato di domani.

Il voto anticipato? Tutti lo vorrebbero ma…

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Sono in tanti a sbraitare sul voto anticipato, poi, a volerlo chi c’è realmente? Voi pensate veramente che Grillo voglia andare al voto subito? Con il rischio di vincere le elezioni? E poi, con la bagarre che si sta sviluppando a Roma con la Raggi, accerchiata dai suoi pentastellati interni al comune ed esterni, del Movimento; la minoranza del PD, la vecchia guardia del partito che, a parole, vorrebbe fare tutto e subito ma non è abbastanza organizzata se non per spingere Renzi nella speranza che commetta qualche errore; Forza Italia con Berlusconi ha, forse, una posizione chiara, ha votato la sfiducia al governo e non ha voluto partecipare al governo con Gentiloni lasciando che la responsabilità della gestione sia tutta del PD, si è detta, però, disponibile a sedersi ad un ipotetico tavolo per disporre una legge elettorale e se si volessero fare delle riforme costituzionali rivedute e corrette.

Questo. comunque, allo stato delle cose è nato e sarà un governo Renzi senza Renzi, fotocopia del precedente. Certo, fa sorridere un ministro degli Esteri che non parla inglese e l’ex-ministra Boschi che diceva: “se vince il “no” vado a casa” ed ora è stata promossa sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, dite tutto quello che volete, ma l’Esecutivo di Paolo Gentiloni supera in gradimento, agli inizi, tutti quelli di una Seconda Repubblica mai nata. E il nuovo premier ottiene, nei sondaggi, la maggioranza dei favori degli italiani, battendo persino l’ex-sindaco di Firenze.

Tutto questo dovrebbe far riflettere, innanzitutto, Matteo Renzi e, poi, gli altri vocianti e protestanti sostenitori delle elezioni politiche a stretto giro di posta. La corsa al voto subito, come sostengo, non è rispetto della democrazia, ma risponde ad interessi di parte, oltretutto a mio avviso sbagliati. Unico e solo il leghista Salvini, nel suo furore pro-urne, ha una motivazione perché  in caso contrario e, magari, con una legge elettorale proporzionale, vede sfumare il suo sogno di candidato leader del centrodestra che più d’un sogno pare vera e propria chimera. La considero, una sceneggiata quella di Grillo che sa bene  sia di non avere una classe dirigente per guidare il Paese, sia di non poter far scalare ai suoi Palazzo Chigi perché non lo consentono gli sponsor d’Oltreoceano  che, però, gradiscono un forte gruppo parlamentare grillino per le loro manovre.  Anche Silvio Berlusconi parla di elezioni, ma per tenere buoni i suoi  quando, in realtà, vuole maggior tempo  per rilanciare Forza Italia e recuperare i moderati a patto che si distingua dai Salvini e dalle Meloni.  

Intanto molte voci di autorevoli commentatori si stanno alzando, per sottolineare l’errore di andare al voto anticipato dinnanzi alla gravità dei problemi esistenti e delle sfide che si pongono all’Italia anche a livello internazionale per gli eventi che vede il nostro Paese protagonista. Ed anche la minoranza dem ritiene si debba andare alla scadenza normale della legislatura, con un cambio di marcia governativa e, quindi, opportune correzioni, mettendo in guardia i renziani – come ha fatto il bersaniano Speranza – dall’illusione di avere dalla propria parte tutto il 40% del “si”, ricordando che il Pci prese il 45% nel referendum, perso, sulla scala mobile e nelle successive elezioni politiche   si trasformò in un 27%. E con questo annunciava la sua candidatura alla segreteria del Partito.

La palla, quindi, ritorna a Matteo Renzi se si andrà, presto, alle urne o se la legislatura potrà proseguire, lasciando al governo Gentiloni di poter realizzare il programma presentato, condivisibile anche nelle aperture al dialogo con l’opposizione, e di far da protagonista in importanti impegni internazionali.

Il nuovo Esecutivo ha una maggioranza parlamentare  che può divenire   solida anche al Senato se l’ex-premier, superata la delusione della sconfitta referendaria e di una impossibile rivincita immediata, non terrà sospesa sulla testa del suo successore la spada di Damocle dei verdiniani, ai quali ha fatto negare un ministro, concedendo ad Ala qualche posto in più nelle altre cariche governative.

Qui si vedrà  se Matteo Renzi è, come sostiene Silvio Berlusconi, l’unico vero leader politico sulla piazza, escluso, ovviamente, il Cavaliere. E facendo prevalere gli interessi generali del Paese, in questo caso coincidenti, probabilmente, anche con i suoi , consentirà a Gentiloni di provare a meritarsi l’imprevista  fiducia che gli italiani hanno, oggi, in lui.

Un governo esposto ai venti elettorali

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Oggi pomeriggio dovrebbe, il condizionale è d’obbligo più che mai, con il voto al Senato, concludersi la vicenda della fiducia a questo nuovo governo che di nuovo non ha nulla se non le due nuove ministre nominate per fornire il loro contributo di esperienza visto le innumerevoli legislature che hanno sulle loro spalle. Certo, si poteva trovare di meglio. almeno alla Pubblica Istruzione si poteva pensare ad un ministro con regolare laurea. Ma, in effetti quelle sono quisquiglie. D’altra parte se si può avere un ministro degli esteri che l’unica lingua conosciuta, a parte quella che si mette per fare un buon brodo, è il dialetto siculo, ci può anche stare una ministra senza laurea..

Comunque, mi dispiace per Gentiloni, uomo dall’apparente cortesia-costante, il dominus rimane sempre lui Matteo Renzi. Ha fatto nascere il governo fotocopia di Paolo Gentiloni, ha piazzato la Boschi sul ponte di comando di sottosegretario alla presidenza, ha promosso il fidato Lotti a ministro e, soprattutto, tiene la leva di una crisi e, quindi, del voto anticipato se il nuovo premier non righerà diritto . L’asse con Verdini è tale, infatti, che negando ad Ala un ministro espone l’Esecutivo, appena nato a tempi record, ad ogni soffio di vento elettorale che può agitare quando più gli conviene. I verdiniani, infatti,negano la fiducia a Gentiloni, pur con qualche possibile defezione, vedi Zanetti che sarebbe disponibile a titolo personale, esponendolo ad una ristretta maggioranza al Senato.

Il nuovo premier, comunque, si sta comportando con grande dignità ed aplomp istituzionale, richiamando tutti al dovere di un civile confronto e, quindi, lasciando la vecchia strada dell’odio. Ha anche detto che il suo governo non si rivolgerà a quelli del “si” contro quelli del “no”, ma a tutti i cittadini italiani, si basa su una maggioranza che rispetta le opposizioni e chiede rispetto per le istituzioni. Ha specificato che è un “esecutivo di responsabilità” e durerà finchè avrà la fiducia dl Parlamento. In sostanza nessun termine temporale per un programma che affronta le emergenze dal post-terremoto, alle banche, dal Mezzogiorno, alla ripresa economica e che assolverà i delicati impegni internazionali iniziando dai temi europei, dalla presidenza del G7 e dall’ingresso del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, magari arrivando, per tutti gli impegni in calendario cos’ al fatidico settembre mese in cui ci sarà il vitalizio per tutti. Tutto questo proseguendo il molto fatto dal governo Renzi con riconoscimenti internazionali che –ha detto- “ci rendono orgogliosi” (sai quanto?) e favorendo il confronto parlamentare sulla legge elettorale.

Pare, in sostanza, un’impostazione da esecutivo di non breve durata , quasi proiettato a terminare regolarmente la legislatura e qui emergono i suggerimenti evidentemente offerti dal presidente Mattarella che non vorrebbe le elezioni anticipate.

Ancora una volta, purtroppo, stanno prevalendo gli interessi di parte, non quelli generali dei cittadini e certe irate e, in alcuni casi, addirittura isteriche reazioni di esponenti grillini e di Salvini non contribuiscono, certo, a ricreare un necessario civile confronto, quello che necessita per fare una buona legge elettorale. No, non è per questa via che si riconciliano gli italiani con la politica , a mio avviso presto si verso il voto anticipato ma senza corse eccessive, questo per non aggravare ulteriormente i molti problemi sul tappeto, acuendo il distacco tra partiti ed elettori.

Criticare il governo appena nato fa parte della democrazia, l’aver aumentato addirittura il numero dei ministri e piazzato in posizioni ancor più rilevanti gli amici del “cerchio magico” fiorentino non è stato un bel gesto istituzionale, ma è altrettanto vero che le emergenze e le sfide indicate da Paolo Gentiloni alle Camere sono reali e rinviarle per questa voglia di urne come panacea di tutti i mali rischia di diventare incomprensibile a molto parte di quei cittadini che, da tempo, si erano assentate dal voto. Le attuali forze politiche farebbero bene a rendersene conto. Prima che sia troppo tardi.

Governo – Una legge elettorale per tre minoranze

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Mai governo fu fatto così celermente e mai fu fatto un governo che oserei definire “tale e quale” quasi come lo show di Carlo Conti, la differenza solo nel fatto che i protagonisti sono quelli reali e, pertanto, sono solo tali.

E’ veramente ridicolo rifare un governo con le stesse persone, spostandone due tre da un dicastero all’altro, tanto che chiamarlo fotocopia sarebbe come svalutare una fotocopiatrice. Insomma, un insulto all’elettore che in stragrande maggioranza ha votato “NO”.

La vera novità è la Finocchiaro che dopo una infinità di legislature finalmente potrà andare in pensione dopo aver fatto pure il ministro. Per il resto, quasi, una “quadratura del cerchio” quella che il Presidente Mattarella ha affidato al governo Gentiloni, uomo tappabuchi, prima agli Esteri ed ora a tenere in caldo la sedia all’uomo che aveva detto che avrebbe lasciato la politica se il “Si” avesse perso. Ma bisogna seguire un calendario, insieme agli impegni internazionali, all’emergenza terremoto al G7 a Taormina, poi, bisogna dare l’addio all’Italicum, qualunque sia la sentenza della Consulta il 24 dicembre, a favore di una nuova legge elettorale capace di garantire la maggioranza e,quindi, la governabilità ad una delle tre minoranze che si contendono Palazzo Chigi. Si, proprio tre minoranze: 5Stelle al momento in testa, ma con solo il 31,5%, PD al secondo posto con il 29,%, seguito a breve distanza da un centro-destra esistente, però, sulla carta se Salvini rimane leader della Lega con il suo estremismo iper-populista.

Tra i vincitori anti-dem del “NO” al referendum costituzionale solo Berlusconi è disposto a sedersi attorno un tavolo per discutere di una riforma elettorale condivisa, forte, probabilmente, della pre-intesa tessuta da Gianni Letta con Renzi per la riforma elettorale. Non fa mistero il Cavaliere di preferire, per la Camera dei Deputati, un sistema proporzionale con sbarramento ed una percentuale sul 20, massimo 30% di collegi uninominali. Si eviterebbe, così, l’indicazione in partenza del candidato premier ed anche, probabilmente, delle alleanze, consentendo di fare scelte post-voto, compresa quella di un accordo Renzi in nome della governabilità sì da porre le basi del Partito della Nazione, quello che in tutti questi mesi è stato oggetto di continui approcci.

Una legge elettorale come quella ipotizzata andrebbe bene anche a Grillo, al di là della sceneggiata sulle elezioni subito con l’Italicum, sapendo bene di non avere una classe dirigente per governare né il placet per farlo da parte dei suoi sponsor d’Oltreoceano. I grillini avrebbero, comunque, un consistente gruppo parlamentare.

A fare opposizione sono, soprattutto, Salvini e la Meloni che addirittura stanno portando avanti proteste di piazza, oggi uniti, ma domani, in caso di molto eventuali primarie del centrodestra per la leadership, in fiera competizione.

Il fatto è che siamo già in campagna elettorale, almeno così siamo in molti a sperarlo, lo conferma verrebbe anche dal gesto, pur apprezzabile, di Matteo Renzi che ha rifiutato il reincarico per mantenere la parola data: se perdo il referendum lascio Palazzo Chigi (non più, la politica). Ora da segretario del Pd potrà preparare la riscossa, forte anche dei sondaggi che danno più voti ad un nuovo partito di Renzi che al Pd e di un governo che può guidare dall’esterno, avendo come successore il suo fidato collaboratore. Nel contempo può preparare il Congresso dem per la primavera, avendo recuperato il rapporto con Franceschini e la sua corrente, determinante all’interno, probabilmente pagando il prezzo, per il futuro, della scissione premier –segretario.

Certo varare una legge che gioca a favore di Renzi-Berlusconi non sarà semplice, ma se, arriverà la sonda Grillo, come fanno prevedere le vecchie dichiarazioni pro-proporzionale dei big 5Stelle, sarebbe difficile per Salvini bloccare una soluzione che lo metterebbe all’angolo perché Berlusconi avrebbe ben due opzioni: o con l’ex-sindaco di Firenze o con un centrodestra che vede, ad esempio, uno Zaia premier.

In tutto questo c’è un terribile neo, una cosa da nulla: nessuno pensa ai veri problemi degli italiani e nessuno opera per recuperare gli assenteisti dal voto, soprattutto i cattolici e i moderati. La corsa al voto anticipato, infatti, sembra un bis della dissennata campagna referendaria e se gli attuali partiti non cambiano atteggiamento rischiano di fare un clamoroso autogol e di farlo fare, purtroppo, agli italiani. Sì, perché tutti dovrebbero rendersi conto che l’alta affluenza al referendum è stato un forte segnale del disagio dei cittadini nei confronti di una politica che invece di dedicarsi alla soluzione dei problemi perde oltre sei mesi con il “Si” ed il “NO” ad una riforma delle regole fatta a colpi di maggioranza e molto distante dagli interessi reali dei troppi che non arrivano alla terza settimana del mese.

Ci sarà qualcuno che nei piani alti della nostra società se ne rende conto?

L’ORGOGLIO DI ESSERE SARDO

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Credo di averlo già scritto, non mi piace intervenire a caldo su avvenimenti di larga importanza, preferisco riflettere, leggere gli interventi di chi è più qualificato del sottoscritto e, poi, dire la mia, esprimere il mio pensiero. Sulle elezioni referendarie mi permetto di fare una eccezione. Devo.

Ho ascoltato il discorso di Matteo Renzi, un bilancio affrettato del suo operato: lascia e va via ma senza dare la sensazione che questo voglia dire ritirarsi a vita privata. Questo, forse, lo vedremo presto. A mio modestissimo parere aspetterà qualche giorno per farsi acclamare dal suo popolo per riprendere da dove ha lasciato. Comunque la mia è solo una supposizione non suffragata da alcuna prova.

La mia sorpresa l’ho avuta stamane accendendo il computer e aprire su fb per dare uno sguardo sulle reazioni del popolo dei social, l’ho fatto prima di andare a vedere i giornali, l’ho fatto per curiosità, visto tutto il battage che vi era stato per mesi, li si notava subito che il NO avrebbe vinto, anche se certe posizioni avevano assunto espressioni scomposte da entrambi le parti. Vi è stato addirittura chi si preoccupava di dover provvedere a collocare tutti i costituzionalisti nati su fb dopo la vittoria del Si e chi, addirittura sosteneva che votare NO gli dava la patente del vigliacco.

Questo è facebook, da prendere sempre con le molle.

La sorpresa vera è stata quella della richiesta di dimissioni del Presidente della Giunta della Regione Pigliaru.  Credevo di aver letto un refuso, si parlava di dimissioni di Renzi, non riuscivo a rendermi conto del nesso fra i due nomi, sono passato oltre ed ho iniziato la lettura dei giornali. Partendo da quelli locali, sulla Nuova, il primo aperto, ho trovato la risposta al mio dilemma: la Sardegna aveva votato il 73% per il NO ed il 27% per il Si.

Un voto quasi unanime, un 73% identitario, un voto qualificato per dire NO a quella modifica del TITOLO V, per dire che la nostra autonomia non si tocca, una quasi unanimità per dire che la Sardegna è nostra e che nessuno può permettersi di immaginare di imbrattarla ancora con schifezze che non riguardano i sardi. Una vittoria che non lascia dubbi su ciò che pensano i sardi sulla politica nazionale e su quella rinunciataria dei nostri amministratori.

Le dimissioni del Prof. Pigliaru non me le aspetto anche se quello si, sarebbe veramente, un gesto di coraggio, ma penso a quelle forze che si dicono “sarde” nel logo, che si fregiano con i quattro mori e poi stanno li a sostenere un governo nel quale non dovrebbero credere perchè appiattito su quello nazionale che non gli appartiene.

Perchè non approfittare di questo momento? Non sono certo io quello che incita all’insurrezione, mi piacerebbe però se i signori del PD sardo, quelli della altre forze politiche nazionali, consci della reale situazione determinata da questo voto plebiscitario, facessero veramente una azione di coraggio ed iniziassero a pensare ad una grande coalizione identitaria, presentandosi, uniti sotto una sola bandiera, ad una tornata elettorale magari anticipata, per eleggere un Consiglio Regionale sardo che pensi sardo che sia emblema anche nei confronti del resto d’Italia che, alla pari della Catalogna e della vicina Corsica, faccia sentire la nostra vera autonomia.

Quel No non dovremmo sprecarlo, ne facciano tesoro anche chi ha votato Si, che sia motivo di orgoglio per tutti i sardi, nessuno escluso.

Ed ora andiamo oltre il refendum

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Finalmente siamo giunti al termine. Una campagna elettorale sfibrante dove non si è risparmiato nessuno,; un Paese diviso da un baratro, da una frattura verticale, dilaniato, diviso in due parti pressoché uguali dove chi maggiormente ci ha rimesso è proprio quello che avremmo voluto fosse riformato. Comunque, ora le trombe hanno emesso gli ultimi squilli e, speriamo siano terminati anche gli ultimi insulti reciproci. Ora il silenzio (speriamo) del giorno del pre-voto e poi, finalmente, la parola ai cittadini. L’augurio è che molti italiani si rechino alle urne anche perché, questa volta, non c’è quorum e sarebbe un errore delegare ad altri una scelta su regole che dovrebbero avere il massimo dela condivisione.

In ogni caso, tranquilli, chiunque vinca non ci sarà l’apocalisse finanziaria ed economica evocata da chi sostiene il “Sì”, se prevarrà il “NO” (o, che Dio non voglia, se avverrà non sarà per il voto) , né almeno speriamo, entreremo in una dittatura  come ipotizza chi sostiene il”NO” nel caso siano i “governativi” ad affermarsi. Quel che è certo è che chiunque vinca le forze politiche, tutte, hanno il dovere di ritrovare la via del dialogo e di un civile confronto  ad iniziare da quello su una nuova legge elettorale   e sui modi di affrontare una vera e propria emergenza sociale ed economica.

Se, ad esempio, vincesse il “NO”, nonostante l’errore di aver personalizzato il referendum costituzionale, in molti sarebbero  sarebbero dell’idea che Matteo Renzi non lasci Palazzo Chigi,  per evitare che questo possa determinare, con la rinuncia, quella fibrillazione dei mercarti evocata per spaventare gli elettori. Certo, potrà rassegnare le dimissioni per un eccesso di scrupolo istituzionale, ma avendo ancora la maggioranza in Parlamento  con tutta probabilità il Capo dello Stato lo rinvierebbe alla Camera, riottenendo la fiducia semprechè non sia lui a dire di no come segretario del Pd. La stessa minoranza  dem che ha vota  “NO” come ha sempre ha detto, senza se e senza ma, che il premier deve rimanere a Palazzo Chigi e lo stesso ha fatto Silvio Berlusconi che, non a caso, ha anche proposto un tavolo con Renzi per la nuova legge elettorale e ripartire con una riforma costituzionale condivisa  .

Se prevalesse il “Sì” il segretario-premier dovrebbe, innanzitutto, evitare la tentazione di stravincere, mortificando la minoranza interna anche accelerando verso il Partito della Nazione  e cambiando, nuovamente  le carte in tavola, iniziando dalla legge elettorale con il ritorno all’Italicum già in vigore. Il tavolo proposto dal Cavaliere è, comunque sia l’esito del voto, un’occasione imperdibile per Renzi per riprendere con i berlusconiani il filo perduto di un dialogo che, anche in tempi di burrasca, ha visto Berlusconi dire che non vede in Italia, beninteso oltre lui, nessun leader politico oltre, appunto, l’ex-sindaco di Firenze. E non mi è mai sembrato un caso 8anche se non mi è piaciuto) che un big di Mediaset come Confalonieri, un berlusconiano-doc come Briatore e alcuni sindaci di Forza Italia si siano pronunciati per i “Sì”, mentre il premier deve tener conto che alcuni personaggi   “ulivisti”, come Prodi e Cacciari, abbiano fatto altrettanto, ma dicendo peste e corna della riforma e del suo proponente. In sostanza, l’ex-sindaco di Firenze non avrà vita facile anche vincendo, mentre potrebbe avere una sponda più sicura, tornando al Patto del Nazareno come credo voglia il Cavaliere, ma partendo (senza esagerare) da una vittoria del “NO”

Il fatto è che, lunedi’, 5 dicembre, avremo un paese  spaccato  con profonde divisioni in tutti  ceti sociali e in molti partiti, a partire dal Pd e con la scissione nell’Udc ed   un centro-destra  che Salvini ha, di fatto, scomposto, lacerando internamente anche la Lega, dove, ormai, non è all’offensiva solo il fondatore Bossi, ma si agitano  i potenti governatori Maroni e Zaia.

Se aggiungete che, nell’ultimo turno amministrativo, pur parziale, ha votato solo il 50% degli italiani e molti sindaci sono, di fatto, eletti da una netta minoranza, che la fiducia nei partiti politici è al lumicino in tutti i sondaggi, che un milione e mezzo di bambini in Italia sono in totale povertà, che la lotta tra gli ultimi ed i penultimi ( troppi tra gli italiani)  sta minando la nostra società e crea angosciosi problemi sociali e di sicurezza  (e moto altro potrei  citare) emerge un quadro sempre più preoccupante.

Forse è arrivato il momento di ascoltare i moniti che, continuamente, lancia il Presidente Mattarella, positivo punto di riferimento per tutti i cittadini, recuperando un comune sentire, ossia quella cultura del dialogo e del confronto  che ha sempre salvato l’Italia democratica nei momenti più difficili della storia. Speriamo se ne rendano conto le attuali classi dirigenti ad iniziare da quelle politiche. Prima che sia troppo tardi.